CI SONO RIUSCITI

di Beppe Attene

Hanno faticato, si sono dovuti impegnare ma alla fine ci sono riusciti.

Sono riusciti a ridurre il dibattito politico-culturale italiano alla consolidata questione Fascismo vs Antifascismo.

È stata una cosa emozionante. Una destra che di destra non fa niente (anche perché non fa niente in generale) si scontra con una sinistra che di sinistra non fa niente (anche perché non fa niente in generale).

E così via a una fantastica rappresentazione in cui ci si divide tra chi starebbe limitando le libertà agli italiani e chi quelle libertà vuole difendere ed anzi estendere.

Ognuno dei due fasulli combattenti certifica l’altro attribuendogli le stimmate di fascisti sulla via del ritorno oppure di devastanti distruttori della morale tradizionale.

Da qui la commemorazione in Aula dei combattenti di Salò contrapposta alla valorizzazione democratica di qualunque scelta di orientamento sessuale.

Tutto, come ben si comprende, molto utile e interessante per la vita degli italiani e la condizione della nostra Nazione nei nuovi equilibri mondiali.

Ma non dobbiamo pensare che si tratti di una novità nella breve storia italiana.

Dal 1861 ad oggi, l’Italia ha vissuto diversi momenti di “auto-generazione” dell’orizzonte collettivo attraverso la costruzione di finte realtà in cui il popolo veniva “fortemente” invitato a riconoscersi.

È avvenuto con la costruzione della mitologia Risorgimentale, con l’interventismo irredentista verso la Prima Guerra Mondiale e, naturalmente, con il Regime Fascista che della esistenza di un mito collettivo di identificazione ha fatto la sua stessa ragione di esistenza.

In questo senso la breve stagione che va dalla Costituente ai primi anni ’90 è una breve eccezione (meno di un terzo!) di lucidità e realismo pur nel rispetto delle varie opinioni contrapposte.

Tuttavia, non ci dovremmo fare l’abitudine e, soprattutto, renderci conto che in questo ultimo caso l’assenza di una vera ed estesa lettura del mondo ha radici più profonde e appare ancora più preoccupante.

Come altre volte ricordato stiamo globalmente vivendo la contemporanea esplosione di due vastissimi fattori: alla mondializzazione del mercato si è affiancata la completa finanziarizzazione dell’economia.

La contemporanea azione di questi due fattori ha immediatamente condizionato la esistenza di valori collettivi che ci eravamo abituati a dare per acquisiti e scontati.

In primo luogo, naturalmente, l’idea di Stato Nazione con le conseguenze di politica economica “identitaria” che esso portava con sé.

In particolare la costruzione e la difesa di un mercato domestico vissuto come espressione dello sviluppo realizzato e rifornito in prevalenza dalle aziende nazionali.

L’articolazione delle forme di protezionismo, l’uso strumentale dei dazi  e l’insistenza sulla preferenza da dare al prodotto nazionale sono, insieme alle illusioni autarchiche del Mussolinismo, i principali elementi di questa prima identificazione.

Ad essa si affiancava non ostilmente il concetto di “bene comune”  per gli appartenenti alla comunità nazionale e linguistica.

Il bene comune andava perseguito non estendendolo alla Umanità (salvo nel caso della cultura cattolica) ma garantendo lo sviluppo più equilibrato possibile e, se necessario, anche la difesa da infiltrazioni estranee.

Su quella base si valutava il percorso e il momento di ciascun Paese.

È di tutta evidenza come il nuovo quadro economico abbia in gran parte dissolto la forza di questi elementi identitari aprendo a contraddizioni difficili da cogliere e soprattutto da governare.

Se, per esempio, una azienda italiana valutasse di dislocare altrove la propria produzione per guadagnare in termini di efficienza e di profitto, cosa dovrebbe fare un governo nazionale? Come valuterebbe in quel contesto operativo l’obiettivo di bene comune?

E come potrebbe rischiare una crisi strutturale rinunciando alla concorrenza e proteggendosi? E con quali strumenti lo potrebbe poi fare?

I Paesi che per la loro Storia dispongono, nel bene e nel male, di un forte e accreditato riconoscimento collettivo interno stanno affrontando questa transizione difficile attraverso il rafforzamento  del sentimento identitario.

La Russia para-comunista di Putin sta violentemente operando in stretta continuità con l’esempio che ad essa proveniva dal compagno Stalin che, a sua volta, riprendeva i valori di conquista ed egemonia che gli provenivano dagli zar.

Il finto liberalismo di Donald Trump costruisce. invece, forme identitarie  rivolte alla evocazione di una responsabilità mondiale contro cui operano le immigrazioni e le difese delle altre Nazioni. Quella grande frontiera capace di offrire una opportunità ad ognuno, era stata un tempo rappresentata nel mitico West mentre ora si disporrebbe su tutto il globo terrestre.

Ma gli italiani non dispongono (forse fortunatamente) degli elementi auto-identificativi che in altre situazioni si basano soprattutto su una violenta riduzione delle libertà individuali e di espressione.

Abbiamo necessità di una classe dirigente che, come fu all’epoca di Alcide De Gasperi, sia capace di imporre una soluzione di continuità abbandonando la ripetizione di vecchi copioni.

Occorrerebbe essere capaci di adottare nuovi comportamenti adatti alla bisogna ma anche di iniziare a fondare una nuova e condivisa identità collettiva che sia capace di proporsi come (stavolta speriamo stabile) identità nazionale.

Il gioco si va facendo molto duro.

È evidente che l’Europa non è riuscita a costruire una identità complessiva in cui potessero riconoscersi i vari Popoli e i vari Stati aderenti.

Il contesto mondiale è caratterizzato da giganteschi iper-nazionalismi che operano con forza e obiettivi definiti nella economia mondializzata e finanzia rizzata.

Ognuno di essi (USA, Cina o Russia che sia) potrà vincere o perdere.

In nessun caso, però, rischia di disperdere il riconoscimento interno del proprio Popolo.

Il percorso fondante della identità democratica italiana si era basato sul superamento (non la sconfitta!) del Fascismo, l’estensione assoluta dei diritti di partecipazione e il senso di una Nazione in cui Stato e Società Civile dovevano dividersi ed insieme collaborare per quell’obiettivo che abbiamo definito del bene comune. 

Ciò imponeva una costante lettura e rilettura delle condizioni esterne dal nostro e peculiare punto di vista.

Questo patrimonio è stato irriso e dissolto con il golpe giudiziario dei primi anni ’90.

I sopravvissuti ad esso, o anche i suoi nuovi profeti, non hanno avvertito il bisogno di analizzare e studiare il modificarsi dei  contesti.

Si sono rivelati indifferenti persino al fatto che il loro mandato venisse espresso e riconosciuto da meno della metà della popolazione elettorale.

Non stupisce che quando si chiede loro “chi siete?” o anche soltanto “chi siamo?” non possano altro che riscoprire vecchi slogan qua e là galleggianti.

Per non perdere del tutto le cattive abitudini ci aggiungono un poco di antisemitismo, un pacifintismo che nemmeno i figli dei fiori e una facile quanto inutile posizione anti USA.

Non stupisce, certo, ma non può non preoccuparci davvero.