Nella guerra aumentata l’AI torna a diventare una micidiale forma di logistica di combattimento1
Tredici/B Techné Storie di media e società
Michele Mezza
Docente di Epidemiologia sociale dei dati e degli algoritmi, all’Università Federico II di Napoli
Michele Mezza, docente di Epidemiologia sociale dei dati e degli algoritmi, all’Università Federico II di Napoli, nell’articolo “Guerra ibrida in Italia. È emergenza cybersecurity” osserva come in Italia “siamo in una vera emergenza di stabilità sia della sfera comunicativa sia della difesa dei nostri dati sensibili”: “L’irruzione dell’intelligenza artificiale nella “guerra ibrida” visibilmente muta – scrive l’autore – sia il quadro tradizionale della cybersecurity, con continui aggiornamenti degli assetti e modelli di protezione, sia il quadro diciamo ideologico, ossia quell’insieme di contenuti e concezioni che vengono alterate da una diffusione mirata e massiccia di manipolazioni dell’informazione. Ma la stessa terribile forma del combattimento viene ridisegnata, come ci ha mostrato il recente scambio di attacchi fra Israele e Iran, dove le potenze tecnologiche in campo sembra che si siano neutralizzate spingendo i belligeranti, potremmo dire, a tornare alle forme più materiali e tragiche della guerra guerreggiata”. Ne emerge – scrive l’autore ricordando la capacità di reazione dell’esercito israeliano al recente attacco iraniano contro lo Stato ebraico – quella che Mezza considera una sorta di ‘guerra aumentata’ “in cui l’intelligenza artificiale, più che guidare malware, torna a diventare una micidiale forma di logistica di combattimento”.
10 maggio 2024
Il prezzo della guerra del domani su informazione e manipolazione
“La polarizzazione dei conflitti ha spostato l’asse delle minacce dagli aspetti più securitari in senso stretto verso una dimensione più ampia attraverso strategie di attacco combinate (spionaggio cibernetico, penetrazione nelle realtà economiche nazionali, disinformazione sui social media) finalizzate a influenzare i nostri processi democratici. Ciò grazie anche allo sviluppo esponenziale della componente tecnologica. Ecco allora che sempre più si parla di “minaccia ibrida” per caratterizzare lo scenario con cui gli apparati di intelligence devono oggi cimentarsi, ovverosia di attività ostili condotte combinando l’uso di strumenti convenzionali e non”.
Non poteva essere più esplicita la dottoressa Alessandra Guidi, vice direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, la struttura della presidenza del Consiglio che coordina l’attività dell’intelligence, in una sua recente intervista, nel segnalare lo scenario in cui da tempo ormai siamo costretti a operare2.
Proprio in questi giorni gli interventi del presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite di New York e del ministro degli interni Matteo Piantedosi, alla riunione dei vertici dei servizi di sicurezza, hanno ripetuto che siamo in una vera emergenza di stabilità sia della sfera comunicativa sia della difesa dei nostri dati sensibili.
Uno scenario che dobbiamo costantemente aggiornare e integrare, soprattutto in una fase, quale l’attuale, in cui i Paesi europei sono chiamati ad accentuare la propria capacità di difesa e presidio del campo, colmando il vuoto che si annuncia con un ripiegamento, o almeno un alleggerimento a seconda di quale ipotesi prevarrà nelle prossime elezioni presidenziali statunitense, del nostro alleato d’oltre atlantico.
Diventa oggi prioritario capire come si stia riarticolando la strategia di difesa e contrasto alle minacce militari, e identificando la nuova gamma di insidie che stanno diventando logistica militare quale appunto la manomissione di informazioni, la circolazione guidata di distorsioni della verità, oltre che un massiccio attacco all’integrità delle infrastrutture digitali.
L’irruzione dell’intelligenza artificiale nella guerra ibrida
Siamo da una parte a un ulteriore avvitamento del concetto di sicurezza che dalla protezione dei propri depositi di contenuti sensibili si sta inesorabilmente estendendo alla minaccia, sempre più incombente, alla autonomia e sovranità di stati o singole comunità nella selezione e diffusione di un proprio senso comune. L’irruzione dell’intelligenza artificiale in questa “guerra ibrida”, come l’ha definì ormai più di dieci anni fa il capo di stato maggiore russo Gerasimov, visibilmente muta sia il quadro tradizionale della cybersecurity, con continui aggiornamenti degli assetti e modelli di protezione, sia il quadro diciamo ideologico, ossia quell’insieme di contenuti e concezioni che vengono alterate da una diffusione mirata e massiccia di manipolazioni dell’informazione.
Ma la stessa terribile forma del combattimento viene ridisegnata, come ci ha mostrato il recente scambio di attacchi fra Israele e Iran, dove le potenze tecnologiche in campo sembra che si siano neutralizzate spingendo i belligeranti, potremmo dire, a tornare alle forme più materiali e tragiche della guerra guerreggiata. Infatti, è evidente che le incursioni digitali con malware, sebbene abbiano causato danni significativi al sistema di ricerca nucleare iraniano circa dieci anni fa (il caso Stuxnet), stiano ora rallentando. Questo rallentamento può essere attribuito al fatto che, in un contesto di evoluzione tecnologica più equilibrata tra i contendenti, la velocità di adattamento e di cambiamento dei sistemi di difesa rende i tempi di elaborazione dei virus meno efficaci nel causare danni. Questo cambiamento di scenario è paradossale: la stessa spirale di innovazione tecnologica che sembrava portare verso una maggiore simmetria tra i Paesi e le imprese sta invece riducendo l’impatto delle dinamiche belliche più devastanti. È improbabile, pertanto, assistere a breve termine a un’azione devastante simile a quella scatenata dal malware Stuxnet. Ci sono diversi motivi per questa previsione. Innanzitutto, la natura strategica di Stuxnet ha mantenuto fino ad oggi incertezze sull’attribuzione. In un contesto di conflitto aperto, rivelare tale capacità potrebbe compromettere vantaggi strategici a medio e lungo termine per un vantaggio tattico a breve termine. Inoltre, la realizzazione di Stuxnet richiedeva un lavoro intensivo di tre anni. Nell’attuale contesto di rapida evoluzione tecnologica, progettare un malware efficace è reso difficile dalla velocità con cui cambiano le architetture dei sistemi informatici e delle apparecchiature. Sfruttare immediatamente eventuali vulnerabilità o zeroday è essenziale per non perdere l’opportunità e la finestra tecnologica disponibile. Non da ultimo, dal punto di vista operativo, lo sviluppo di Stuxnet è stato costoso, stimato intorno a 1 miliardo di dollari. A confronto, il lancio di missili e droni, con un costo di circa 30 milioni di dollari, potrebbe risultare più efficace ed efficiente in termini di successo.
Il paradosso Intelligenza Artificiale
Intanto bisogna considerare che proprio in ambito militare la stessa intelligenza artificiale viene usata per testare continuamente la vulnerabilità delle infrastrutture belliche strategiche e porre rimedio a eventuali falle, modificando e aggiornando i sistemi difensivi in tempi ridottissimi.
Una corsa contro il tempo che, come abbiamo visto, spesso non vale nemmeno la pena intraprendere, e, per esempio, ha spinto Iran e Israele a ricorrere piuttosto ai sistemi tradizionali di attacco per provocare danni equivalenti: droni, missili balistici o cruise. Costano senz’altro di più, ma la loro efficacia è sicura o per lo meno più affidabile in termine di capacità di offesa all’avversario in proporzione allo sforzo bellico compiuto. Soprattutto se, come sta avvenendo ora in Medio Oriente, la cyber – integrata con risorse di intelligenza artificiale che perfezionano i dispositivi di controllo e contrasto delle strategie di attacco automatico -, interviene particolarmente a supporto dell’azione condotta nel dominio aereo.
Il suo recente utilizzo da parte dell’esercito israeliano
L’intelligenza artificiale, come abbiamo visto in quella che è stata superficialmente chiamata una battaglia “telefonata” per i ridotti effetti dell’attacco iraniano, è stata infatti utilizzata da Israele per aumentare l’accuratezza, l’efficienza e l’efficacia del sistema di difesa aereo Iron Dome, che, insieme allo scudo interalleato, alla combinazione di diversi sistemi e alla collaborazione delle intelligence saudita ed emiratina, ha permesso di abbattere il 99 per cento dei vettori lanciati nella notte di sabato 13 aprile dal territorio iraniano.
L’intelligenza artificiale viene poi usata da Tsahal anche per finalizzare in maniera sempre precisa nelle azioni volte al dominio terrestre: nell’offensiva in corso a Gaza sono stati ampiamente impiegati due sistemi sostenuti dall’intelligenza artificiale, Gospel e Lavender.
Il primo identifica gli obiettivi fisici su cui indirizzare gli attacchi di artiglieria e dell’aviazione – possibili basi o nascondigli di Hamas, depositi di armi, stazioni di ascolto – mentre il secondo profila le fattezze fisiche di possibili militanti, indirizzando armi a controllo remoto contro gli obiettivi umani identificati nei momenti più vulnerabili – spesso il ritorno a casa dopo una giornata di combattimenti. In questo campo si sta ponendo con forza, anche per le reazioni dell’opinione pubblica dinanzi agli effetti più invasivi di queste tecniche di intervento, la questione del livello di controllo umano di questi processi decisionali che pianificano azioni militari.
Nel conflitto aereo tra Iran e Israele la componente cyber viene inoltre utilizzata sotto il profilo dell’intelligence, nel sostegno alla fase preparatoria degli attacchi, nell’accecare la contraerea e colpire le infrastrutture per la trasmissione di energia.
Infine, esercita anche un ruolo nell’amplificare gli esiti di un attacco una volta concluso, attraverso una serie di azioni di disinformazione per minare il morale della popolazione dello stato avversario e di propaganda per sostenere il fronte interno.
In ogni caso, in questa fase il conflitto nel cyberspazio sembra destinato a essere confinato in ambito regionale, con tutte le risorse dei due contendenti concentrate nel prevalere nel teatro mediorientale.
L’intelligenza artificiale nella guerra aumentata: uno strumento logistico bellico di prossimità
Improvvisamente, la guerra guerreggiata ha trasformato la più globale delle armi in uno strumento bellico di prossimità, innescando così una sorta di deterrenza di reciprocità tecnologica che limita la spirale di “minaccia ibrida” ai sistemi cyber.
Una dinamica questa che andrà attentamente analizzata e misurata dagli esperti europei per comprendere come ipotizzare un modello di difesa che combini uno sbarramento efficace sul fronte dell’intrusione nei circuiti informativi e culturali, con una capacità di fronteggiare queste azioni di “guerra aumentata” potremmo dire, in cui l’intelligenza artificiale più che guidare malware torna a diventare una micidiale forma di logistica di combattimento.
- Huffpost, 7 maggio 2024. Questo post è stato scritto insieme a Pierguido Iezzi. Cf.
https://www.huffingtonpost.it/blog/2024/05/07/news/guerra_ibrida_in_italia_e_emergenza_cybersecurity15813493/ ↩︎ - Gabriele Carrer e Federico Goya, “Così è cambiato il concetto di sicurezza nazionale. Intervista al prefetto Guidi (Dis)”, Formiche, 7 maggio 2024. Cf. https://formiche.net/2024/04/intelligence-intervista-guidi-dis/#content ↩︎
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