Sedici/A Hermes Storie di geopolitica – Mondo
Giampiero Gramaglia
Giornalista,
co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Washington e a Bruxelles
Giampiero Gramaglia in due corrispondenze scritte il 20 e il 27 novembre analizza “L’accelerazione impressa dalla vittoria di Trump alle dinamiche belliche e diplomatiche”.
Da un lato in Ucraina la situazione a mille giorni dall’inizio della resistenza all’invasione russa, dall’altro la situazione in Medio Oriente dopo l’accordo intervenuto di martedì 26 novembre che ha portato ad un cessate-il-fuoco fra Israele e Hezbollah sul fronte libanese.
30 novembre 2024
I mille giorni della resistenza all’invasione russa
Ucraina mille e non più mille. In Medio Oriente Netanyahu senza freni[1]
L’Ucraina celebra i mille giorni della sua resistenza all’invasione russa (Fonte: Euronews)
Mille giorni di guerra in Ucraina, mille giorni di invasione russa
Mille e non più mille: la profezia dei Vangeli apocrifi sembra stavolta destinata a realizzarsi, perché l’elezione di Donald Trump, avvenuta il 5 novembre, ha già impresso un’accelerazione alle dinamiche internazionali, belliche e diplomatiche, anche se il magnate entrerà in carica solo il 20 gennaio 2025. Vale per l’Ucraina. E può valere pure per le guerre nel Medio Oriente. Una tregua, almeno sul fronte libanese, pare più vicina che mai, mentre a Gaza non v’è segnale di cessazione delle ostilità: gli israeliani fanno ogni giorno, con i loro attacchi, decine di vittime palestinesi.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj è conscio che il conflitto, con Trump alla Casa Bianca, potrebbe durare ancora poco e cerca di migliorare le posizioni sul terreno, in vista di un negoziato, con gli aiuti senza precedenti che sta ricevendo dall’Amministrazione Biden.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu vuole, invece, compiacere Trump e punta a completare le operazioni a Gaza per l’insediamento, contribuendo alla mitologia dell’uomo che non fa le guerre, ma le fa finire.
La decisione del presidente statunitense in esercizio Joe Biden di consentire all’Ucraina di impiegare missili a lunga gittata contro obiettivi russi in territorio russo è piombata sulla fase di transizione dei poteri negli Stati Uniti e ha già innescato reazioni russe. L’iniziativa di Biden, presa a poco più di due mesi dalla fine del suo mandato, in aperto contrasto con la visione sull’Ucraina espressa dal suo successore, autorizza per la prima volta Kiev a usare sistemi missilistici noti come Atacms (Army Tactical Missile Systems) per colpire le forze russe nella regione di Kursk, dove da mesi gli ucraini occupano una porzione di territorio russo.
Test antincendio dal vivo al White Sands Missile Range, Nuovo Messico, 14 dicembre 2021, delle prime versioni del sistema missilistico tattico dell’esercito
Nell’area sono presenti, a sostegno delle forze russe, truppe nord-coreane, per aiutarle a recuperare centinaia di chilometri quadrati russi finiti sotto controllo ucraino. Martedì 19 novembre, si è appreso che l’esercito ucraino ha già compiuto diversi attacchi – sei, secondo fonti di stampa concordi – con missili Atacms contro bersagli russi in territorio russo, specie nell’area di Bryansk.
Fonti militari statunitensi citate dalla Associated Press indicano che la disponibilità di Atacms è, tuttavia, limitata e che potrebbe risultare non sufficiente a «fare la differenza». Altre fonti, invece, sostengono che anche pochi attacchi in profondità sul territorio russo possono costringere le truppe russe a riposizionarsi; e c’è chi ritiene che i russi, in realtà, abbiano già messo fuori tiro il grosso di uomini e mezzi, depositi e postazioni. Biden ha pure approvato la cessione all’Ucraina di mine antiuomo, modificando una scelta fatta nel 2022 e suscitando critiche da chi si batte per il controllo degli armamenti: missili e mine sono due componenti dello sforzo in atto, probabilmente tardivo, per rinvigorire le capacità di difesa dell’Ucraina, recentemente affievolitesi.
Per mesi, il presidente Zelens’kyj e molti leader occidentali avevano sollecitato Biden a concedere l’autorizzazione all’uso degli Atacms, sostenendo che altrimenti l’Ucraina non avrebbe potuto fermare gli attacchi notturni sulle sue città e sulle infrastrutture energetiche e industriali, che si sono fatti più intensi e più insistenti nelle ultime settimane.
C’è la sensazione che Mosca abbia intenzione di devastare le capacità ucraine di produzione di energia elettrica, in vista dell’inverno, per piegare, forse definitivamente, la volontà di resistenza del popolo ucraino. In una sola notte, fra il 18 e il 19 novembre 2024, le forze russe hanno lanciato oltre 200 missili e droni, un po’ ovunque sull’Ucraina: molti sono stati intercettati, altri sono andati a segno, causando vittime e devastazioni.
il contesto internazionale dopo la vittoria di Trump
A metà novembre, a margine dei vertici dell’Apec in Perù e del G20 in Brasile, Biden ha avuto contatti diretti con diversi leader, fra cui quelli cinese, giapponese e sud-coreano, con cui ha specialmente parlato del coinvolgimento delle truppe nord-coreane nel conflitto russo-ucraino.
La successione di Vertici, compreso un G7 riunito dalla presidenza di turno italiana, dopo l’ok di Biden sui missili, ha evidenziato la crisi della diplomazia multilaterale, incapace d’incidere sugli eventi e anche solo di formulare comunicati condivisi – crisi che trova eco nelle trattative sul clima in corso in Azerbaigian -. Mosca, che aveva più volte avvertito in passato che una decisione del genere sui missili non sarebbe rimasta senza reazione, ha formalizzato la revisione della sua dottrina nucleare, che adesso prevede il ricorso all’atomica anche in caso di attacco convenzionale al territorio russo da parte di un Paese non nucleare, purché spalleggiato da una potenza nucleare, se la sicurezza nazionale è a rischio. Forse, Putin non intende avvalersi di questa possibilità, almeno non prima di capire se il cambio della guardia alla Casa Bianca cambierà davvero le prospettive del conflitto, ma ha comunque in mano una carta in più.
Va per completezza d’informazione ricordato che la Nato non ha mai rinunciato all’opzione del ‘first strike’, cioè di ricorrere per prima al nucleare, in considerazione dell’inferiorità delle sue forze convenzionali in Europa rispetto a quelle russe. Però, proprio l’Europa, in tutto questo fermento, resta ai margini. L’elezione di Trump scrive Stefano Feltri sui suoi Appunti,
“ha sbloccato uno stallo”,
e non è detto che sia “una cattiva notizia”. Ma bisogna capire “che fine farà l’Ucraina”. Secondo Politico, le decisioni di Biden su missili e mine “mettono nell’angolo” il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che aveva appena azzardato una telefonata di riapertura del dialogo a Putin. Il presidente francese Emanuel Macron sollecita il presidente russo a essere “ragionevole” sul nucleare.Il Parlamento europeo, nel giorno mille da inizio invasione, martedì 19 novembre 2024, accoglie con un’ovazione l’intervento in video di Zelens’kyj alla plenaria di Strasburgo: è un omaggio a quelli che la presidente dell’Assemblea Roberta Metsola presenta come
“i mille giorni di resilienza del popolo ucraino”.
Zelens’kyj dice:
“Dobbiamo porre fine alla guerra in modo equo e giusto”.
Parole che tutti sottoscrivono, dando però loro significati diversi.
La percezione è quella di un momento di caos e di incertezza nelle guerre aperte; e, quindi, di instabilità e di pericolo. Un probabile sabotaggio nel Mar Baltico suscita allarme a Berlino e a Helsinki: evoca il sabotaggio al NordSteam del settembre 2022, attribuito ai russi e, invece, opera degli ucraini. E i lavori del G20 sono turbati da un piano sventato per uccidere il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva: segno che le pulsioni eversive rimaste dopo la sconfitta elettorale di Jair Messias Bolsonaro persistono nel Paese e hanno magari trovato nuova linfa nella vittoria di Trump il 5 novembre.
Sospetto di sabotaggio per i cavi sottomarini tranciati nel Baltico
In Medio Oriente, per Israele ‘war as usual’ dopo la vittoria di Trump
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant, prima della sua defenestrazione
Nel pendolo dei media sulle guerre, da metà novembre l’Ucraina ha di nuovo sopravanzato Israele e quanto avviene nel Sud del Libano e nella Striscia di Gaza, dopo che, per oltre un anno, gli eventi in Medio Oriente hanno ricevuto maggiore attenzione e nonostante che lì ci siano ogni giorno decine di vittime civili, molte di più di quelle che si registrano in Ucraina. Lo stillicidio di attacchi e stragi è quotidiano, così come lo sono le grida d’allarme per la situazione umanitaria drammatica a Gaza e per i rischi di escalation del conflitto. Gli Stati Uniti sfornano missioni diplomatiche a getto continuo, finora tutte infruttuose; Hezbollah continua a subire uccisioni di leader e comandanti; Hamas accuse perdite quotidiane; Netanyahu ammette che solo una metà dei 101 ostaggi sequestrati il 7 ottobre 2023 e mai restituiti alle famiglie sono ancora in vita. Impotente, la diplomazia s’astiene dall’intervenire, missioni statunitensi kamikaze a parte, che dimostrano solo l’irrilevanza (accresciuta dopo il voto) dell’Amministrazione Biden. E i 27 Paesi membri dell’Unione europea bocciano l’ultima iniziativa del capo della diplomazia europea Josep Borrell, che, al passo d’addio, vorrebbe sospendere il dialogo politico con Israele, dando un segnale di dissenso per quanto avviene a Gaza.
In Ucraina la Nato non demorde. Intenso il fermento diplomatico
Medio Oriente, cessate-il-fuoco Israele/Hezbollah[2]
Il cessate-il-fuoco tra Israele e Hezbollah, entrato in vigore all’alba di mercoledì 28 novembre 2024, poche ore dopo l’annuncio parallelo del presidente statunitense Joe Biden e dal premier israeliano Benjamin Netanyahu, chiude un fronte di conflitto aperto da oltre un anno, ma non riporta la pace in Medio Oriente, perché nella Striscia di Gaza Israele prosegue la sua offensiva. La tregua è fragile ed è esposta a violazioni dall’una e dall’altra parte: dopo l’annuncio, ma prima dell’entrata in vigore del cessate-il-fuoco, gli Hezbollah libanesi hanno lanciato droni contro “obiettivi militari sensibili” di Tel Aviv e dintorni, per rispondere ai “letali attacchi israeliani” fatti su Beirut e che, nelle 48 ore precedenti, avevano causato decine di vittime civili.
Le famiglie sfollate trasportano materassi mentre si preparano a tornare nei loro villaggi dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco in Libano (AP Photo Mohammed Zaatari)
In Ucraina, non c’è, invece, aria di tregua: i russi martellano la notte con missili e droni città e infrastrutture energetiche e industriali; avanzano di centinaia di metri al giorno sul terreno; e, appoggiati dai rinforzi nord-coreani e yemeniti, cercano di riprendere il controllo della porzione di territorio di Kursk occupata dagli ucraini.
Ma il fermento diplomatico intorno al conflitto è intenso, forse come non lo era mai stato.
Dopo avere fatto visita al presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, il nuovo segretario generale della Nato Mark Rutte ha detto che è ora
“di cambiare la traiettoria della guerra”.
Significa rovesciarne l’inerzia, attualmente favorevole ai russi; ma significar anche pensare a come fare cessare le ostilità, in linea con le promesse di pace di Trump.
L’intesa per una tregua in Libano viene letta dai media statunitensi nella chiave della transizione dei poteri dal presidente uscente al presidente eletto.
Il cessate-il-fuoco appare un successo, sia pure tardivo, dell’Amministrazione Biden, e alimenta l’ipotesi che il cambio della guardia tra Biden e Trump possa coincidere con la cessazione delle ostilità nella Striscia, avendo Israele ottenuto – o dichiarando di averlo fatto – i suoi obiettivi.
Nelle analisi dei media, c’è cautela sulla tenuta dell’accordo. In attesa di commenti di Trump, che non sono finora venuti, i giornali riferiscono che il team per la transizione del presidente eletto ha ricevuto “ampie informazioni” sull’intesa dal negoziatore di Biden.
Amos Hochstein ha avuto due incontri in merito con la squadra per la sicurezza nazionale di Trump, specie sugli impegni degli Stati Uniti per la supervisione della tregua: uno si è svolto poco dopo le elezioni e l’altro nell’imminenza della conclusione delle trattative, quando l’accordo era vicino.
Il cessate-il-fuoco tra Israele e Hezbollah, gli annunci e i primi effetti
Beirut dotto i bombardamenti israeliani (Fonte: New York Times)
Ufficializzato nella tarda serata – ora italiana – di martedì 26 novembre 2024, in contemporanea a Washington e Gerusalemme, il cessate-il-fuoco è entrato in vigore alle 4 del mattino di mercoledì 27 novembre ora locale, le 3 del mattino in Italia. Colonne di profughi all’interno del Libano si sono subito mosse per ritornare alle proprie case nel Sud del Paese, nonostante gli inviti dell’esercito israeliano ad attendere: si calcola che siano oltre un milione i libanesi che hanno dovuto sottrarsi all’offensiva israeliana.
D’altra parte, anche le decine di migliaia di israeliani sfollati dai loro villaggi nel Nord del Paese sono ansiose di rientrare nelle loro case, una volta certi del rispetto della tregua e della fine dell’incubo di razzi di Hezbollah sulle loro case.
Biden e Netanyahu hanno parlato al telefono, prima di fare i rispettivi annunci: il premier israeliano ha ringraziato il presidente statunitense per l’impegno nel raggiungimento dell’accordo e per la clausola per cui Israele mantiene “libertà d’azione” contro Hezbollah, in caso di violazione dell’intesa. I ‘salamelecchi’ di Netanyahu a Biden appaiono quasi una presa in giro diplomatica: per 14 mesi, infatti, il premier ha ‘menato per il naso’ il presidente, ignorandone gli appelli alla moderazione e arrivando più volte sull’orlo dell’intesa per una tregua a Gaza, salvo poi fare sempre saltare tutto all’ultimo istante. L’atteggiamento sprezzante di Netanyahu verso Biden e verso i suoi emissari (Antony Blinken, il segretario di Stato, ha fatto una dozzina di missioni a vuoto in Medio Oriente) è una delle cause – non l’unica né la principale – della vittoria di Trump nelle elezioni presidenziali del 5 novembre.
Il cessate-il-fuoco tra Israele e Hezbollah, le motivazioni e le reazioni
Gli effetti a Beirut dei bombardamenti israeliani (Fonte: Il Fatto)
“La tregua è un nuovo inizio per il Libano – ha detto Biden -… Hezbollah non potrà più minacciare la sicurezza di Israele”, anche se “non ci saranno truppe degli Stati Uniti nel sud del Paese dei Cedri”.
Biden ha proseguito:
“Nei prossimi giorni gli Stati Uniti lanceranno una nuova iniziativa, con Turchia, Egitto, Qatar, Israele e altri Paesi, per il cessate-il-fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas”
– si calcola siano un centinaio, una metà dei quali sarebbero ancora vivi -.
Da Beirut, il premier libanese Najib Mikati ha commentato l’accordo come
“un passo fondamentale verso la stabilità regionale”.
Poco prima dell’annuncio della firma dell’intesa, Netanyahu aveva fatto una conferenza stampa spiegando agli israeliani le ragioni della tregua, osteggiata, anche all’interno del suo governo, dagli integralisti religiosi:
“Se Hezbollah viola l’accordo e tenta di riarmarsi, colpiremo”.
Agli annunci ufficiali s’è aggiunto il presidente francese Emmanuel Macron: in una nota congiunta, Stati Uniti e Francia si impegnano a garantire il rispetto della tregua.
Secondo fonti di stampa, la guida suprema dell’Iran Ali Khamenei ha dato il via libera alla tregua tra Hezbollah e Israele. Teheran saluta con favore
“la fine dell’aggressione del regime sionista contro il Libano” e “sostiene fermamente il governo, la nazione e la resistenza libanese”.
I ribelli Huthi yemeniti, alleati dell’Iran, parlano di “vittoria degli Hezbollah” su Israele, anche se, dall’estate, l’offensiva israeliana ha decapitato l’organizzazione sciita filoiraniana e ne ha decimato i ranghi a tutti i livelli, limitandone le capacità militari e distruggendone buona parte degli arsenali.
Il quotidiano libanese al Akhbar, vicino agli Hezbollah, scrive che
“i libanesi sono vicini alla fine dell’aggressione israeliana, a meno che non ci sia un nuovo piano da parte di Netanyahu”.
Come dire che la diffidenza è grande su entrambi i fronti.
Il ‘cessate-il fuoco tra Israele e Hezbollah, gli ultimi fuochi
Il fumo si alza a seguito di un attacco aereo israeliano su Dahiyeh, a Beirut, in Libano, martedì 26 novembre 2024
E che la situazione resti fluida, esposta a colpi di testa estemporanei e quindi pericolosa, lo provano i razzi lanciati da postazioni Hezbollah verso Israele a cessate-il-fuoco annunciato, ma non ancora operativo, e pure un attacco statunitense contro un obiettivo “legato all’Iran” in Siria – un deposito di munizioni -, in risposta a un attacco compiuto contro personale americano.
“Gli Stati Uniti non tollereranno nessun attacco contro il loro personale o quello dei loro alleati”,
avverte il Centcom, cioè il comando d’area, in un post su X.
Nella serata di martedì 26 novembre, mentre Netanyahu già parlava di tregua, le forze armate israeliane colpivano il cuore della capitale libanese.
Tra gli obiettivi, le filiali dell’associazione Al-Qard al-Hasan, finanziate da Teheran e utilizzata da Hezbollah come una banca. E solo poche ore prima l’esercito d’Israele aveva raggiunto il fiume Litani, per la prima volta dal 2000, anno in cui Israele si ritirò dalla zona; e l’aviazione ebraica aveva compiuto devastanti raid, oltre che sulla capitale libanese, nel sud e nella valle della Bekaa.
I miliziani del partito di Dio avevano a loro volta martellato il nord di Israele, con ondate di razzi e droni su Haifa e Acri, sulla Galilea e sul centro di Israele – tre razzi a lungo raggio, abbattuti -.
Anche dal punto di vista politico, le ultime ore pre–tregua sono state calde, in Israele, con una serie di consultazioni febbrili del premier prima con i ministri dell’ultradestra contrari al cessate-il-fuoco e poi in un comitato ristretto al Ministero della Difesa.
L’accordo è stato sottoposto all’approvazione solo del gabinetto di guerra, dov’è passato con dieci voti favorevoli e uno contrario, e non del governo e della Knesset, sulla base un po’ speciosa del fatto che questo è un documento procedurale e non una decisione politica – in realtà, Netanyahu ha così evitato confronti rischiosi con i suoi ministri e in Parlamento -.
Gli analisti israeliani notano che l’intesa con il Libano, e soprattutto quella collaterale con gli Stati Uniti, forniscono a Israele l’opportunità di distruggere legittimamente le infrastrutture militari che Hezbollah cercasse di ricostituire a sud del Litani e pure di intervenire – entrando con i suoi caccia nello spazio aereo libanese – ogni volta che i miliziani filoiraniani violassero la tregua.
Il cessate-il-fuoco tra Israele e Hezbollah, i contenuti dell’intesa
Perché fare una tregua adesso? Netanyahu ha indicato tre motivi, tutti e tre bellicosi: concentrarsi sulla minaccia dell’Iran; ripristinare gli arsenali militari; separare i fronti e isolare Hamas. L’intesa dovrebbe durare 60 giorni – ed arrivare, dunque, oltre l’insediamento di Trump alla Casa Bianca, che avverrà il 20 gennaio 2005-, anche se tutto
“dipenderà da ciò che succederà sul terreno”.
Il nocciolo dell’accordo è la creazione di una fascia di sicurezza profonda circa 30 chilometri dentro il territorio libanese, dal confine con Israele fino al fiume Litani. Questa zona dovrà essere completamente smilitarizzata entro 60 giorni: Hezbollah dovrà ritirare tutti i suoi combattenti e tutte le sue armi a Nord del fiume, mentre Israele dovrà fare rientrare i suoi soldati entro i suoi confini. Per la prima volta, gli Stati Uniti assumeranno un ruolo – non militare – nel monitorare la tregua e guideranno un comitato di supervisione internazionale.
L’architettura di sicurezza prevista è complessa: nella zona cuscinetto potranno operare solo l’esercito regolare libanese – con una forza di almeno “5 mila soldati” – e i caschi blu della missione dell’Onu in Libano (Unifil).
Il comitato di supervisione internazionale guidato dagli Stati Uniti rappresenta un tentativo di superare i limiti dell’accordo del 2006, quando dopo la precedente guerra tra Israele e Hezbollah, la sola presenza dei caschi blu non seppe impedire all’organizzazione sciita di ricostruire il proprio arsenale militare nel Sud del Libano, a distanza di tiro dei missili su Israele.
Il piano definisce zone di competenza precise: l’area a Nord del Litani sarà sotto controllo libanese, mentre la fascia di 30 chilometri tra il fiume e il confine verrà pattugliata congiuntamente dall’esercito libanese e dalle forze Unifil. L’esercito israeliano dovrà rimanere nei propri confini, mantenendo solo capacità di osservazione a distanza.
Il G7 e la complicazione del mandato di cattura per Netanyahu
L’accordo sulla tregua è maturato mentre i ministri degli Esteri del G7 erano riuniti a Fiuggi: l’ultimo loro incontro previsto sotto presidenza di turno italiana. A fine lavori, il segretario di Stato statunitense Antony Blinken ha detto che l’intesa aiuterà a raggiungere la fine della guerra anche a Gaza. E il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha espresso “l’orgoglio” del Gruppo di
“avere dato un contributo determinante a questo importante risultato per la pace in Medio Oriente”.
La fine della guerra a Gaza è un obiettivo anche di Netanyahu, ma solo dopo che nello Studio Ovale siederà Trump, da cui il premier israeliano spera maggiore ‘generosità’ nei suoi confronti di quella che poteva aspettarsi da Biden.
C’è pure da gestire il mandato di cattura nei confronti di Netanyahu e dell’ex ministro della difesa israeliano Yoav Gallant, oltre che di leader di Hamas, dalla Corte penale internazionale dell’Aja, per crimini di guerra e contro l’umanità nel conflitto a Gaza.
In quasi 14 mesi di guerra, il numero delle vittime palestinesi ha superato le 44 mila, in gran parte civili, bambini, donne, anziani. Il conflitto venne innescato dagli attacchi terroristici del 7 ottobre 2023 di Hamas e altre sigle palestinesi in territorio israeliano, che fecero circa 1200 vittime e portarono alla cattura di circa 250 ostaggi.
A Fiuggi, il capo della diplomazia europea Josep Borrell, al passo d’addio – era la sua ultima sortita nel ruolo -, è stato chiaro in merito:
“Gli europei devono seguire e applicare le decisioni della Corte: non è qualcosa che si può scegliere di fare quando è contro Putin – il presidente russo è stato colpito da analogo mandato nel marzo 2023, ndr – e di ignorare quando è contro Netanyahu”.
Solo gli Stati Uniti d’America fra i Paesi del G7 non riconoscono la Corte e non sono quindi tenuti a rispettarne gli ordini.
A proposito di Netanyahu, la commissione civile israeliana che indagava sul massacro del 7 ottobre ha concluso:
“Il premier israeliano ha una responsabilità personale nel fallimento della risposta all’attacco di Hamas”.
E il capo dell’opposizione Yair Lapid ha chiesto se
“il premier sapesse che le persone a lui più vicine, nel suo ufficio, hanno ricevuto una grande quantità di denaro dai sostenitori di Hamas in Qatar”.
Il riferimento è a Yonatan Orich e Shmulik Einhorn, coinvolti nella campagna per migliorare l’immagine del Qatar in vista dei Mondiali del 2022, presentandolo come un Paese “che aspira alla pace”, nonostante il suo supporto finanziario a Hamas.
Ucraina, conferme sostegno Kiev, ma non muove foglia che Trump non voglia
Il G7, l’Unione Europea, la Nato, gli Stati Uniti, le singole capitali confermano il sostegno dell’Occidente all’Ucraina, ma, in realtà, ormai non si muove foglia che Trump non voglia: l’auspicio del Parlamento europeo perché i 27 rafforzino l’assistenza “politica, finanziaria, militare e umanitaria” e la disponibilità per un maggiore coinvolgimento anche militare espressa dal presidente francese Emmanuel Macron e dal premier britannico Keir Starmer fluttuano nell’aria, ma tutto pare rimandato a dopo l’insediamento a Washington del presidente eletto.
Le Monde scrive che
“sono state riattivate le discussioni sull’invio di truppe occidentali e di società di difesa private sul suolo ucraino, nel quadro di consulti fra Parigi e Londra sulla cooperazione in materia di difesa, in particolare con l’obiettivo di creare un nocciolo duro di alleati europei focalizzato sull’Ucraina”.
Il ministro degli Esteri italiano Tajani su questo punto è netto:
”Noi non invieremo nessun soldato a combattere in Ucraina”.
Se l’Europa attende, la Russia agisce: risponde sperimentando un missile ipersonico ai missili statunitensi lanciati dagli ucraini sul territorio russo; e schiera nell’area di Kursk, oltre a truppe nord-coreane, anche milizie yemenite. Obiettivo: ricacciare gli ucraini oltre frontiera entro il 20 gennaio 2025, così che Kiev non abbia territori da scambiare con quelli occupati da russi, al momento della trattativa.
[1]Scritto il 20 novembre 2024 per The Watcher Post. Cfr. https://www.giampierogramaglia.eu/2024/11/20/guerre-ucraina-1000/.
[2] Scritto il 27 novembre 2024 per The Watcher Post Cfr. https://www.giampierogramaglia.eu/2024/11/28/guerre-tregua-israele-libano/.