La scomparsa di Giorgio Rochat (Pavia 1936 -Torre Pellice 2024)
Sedici/D Lexicon Fresco di stampa
Mimmo Franzinelli, Storico del periodo fascista e del secondo dopoguerra
Mimmo Franzinelli, storico del fascismo e del secondo dopoguerra, ricorda la figura di Giorgio Rochat a pochi giorni dalla scomparsa.
22 ottobre 2024
Giorgio Rochat rimarrà negli annali della storiografia italiana quale pioniere degli studi sulle Forze Armate, settore sul quale lo istradò Piero Pieri, che scrisse la prefazione al suo volume d’esordio, L’Esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini, pubblicato nel 1967 da Laterza nella collana dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione, sodalizio cui Rochat fornì un forte contributo – unitamente a Luigi Ganapini, Massimo Legnani e diversi altri giovani che hanno rinnovato l’approccio alla storia contemporanea.
Tra i suoi volumi imprescindibili – editi da Feltrinelli, il Mulino, Einaudi – figurano monografie sulla grande guerra, sul contrastato rapporto tra fascismo e microcosmo militare, sulle guerre coloniali, su Italo Balbo e il maresciallo Badoglio.
Vi è poi una sua produzione di saggi, probabilmente meno nota ma di certo non secondaria, inerente all’antimilitarismo, nonché il legame tra chiese evangeliche e regime.
Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e di dialogare con lui ne ricorda la passione con cui – da vecchio alpino – parlava della Prima guerra mondiale (stigmatizzando il comportamento talvolta disumano dei comandanti e commuovendosi alla narrazione dei sacrifici sopportati dai soldati), la rigorosa visione valdese, la schiettezza con cui emetteva giudizi che riflettevano grandi amori e ostinate avversioni, come era nel suo carattere schietto e sanguigno. Nulla di più lontano, nel suo approccio e nella sua etica, dell’accademico supponente o dell’intellettuale chiuso nella torre eburnea.
Giorgio Rochat ha preso parte in modo pieno alla vita culturale e sociale del suo tempo, ha avviato e motivato generazioni di studenti alla ricerca storica, in ambito universitario (negli atenei di Milano, Ferrara e Torino) e al di fuori da esso; contemporaneamente, con eguale impegno ha svolto un rilevante ruolo di operatore culturale all’INSMLI (da lui presieduto per un quadriennio) e di animatore di una molteplicità di convegni di studio, nei quali rappresentava un fattore di irruenza e una ventata innovativa in termini analitici.
Il suo antifascismo era istintivo: come raccontava, lo aveva appreso da bimbo nell’assistere ai rastrellamenti antipartigiani nelle vallate piemontesi. Anche per questo motivo è sempre stato un avversario ostico per i nostalgici del regime, cui non faceva giustamente alcun sconto. E che non gli risparmiarono attacchi anche velenosi.
Lo rivediamo a suo agio nel sodalizio amicale – prima ancora che storiografico – allacciato con altri protagonisti della ricerca storica quali Angelo Del Boca e Mario Isnenghi, ai quali era accomunato dai valori di fondo e dalla rigorosità degli studi.
Negli ultimi anni si era ritirato in disparte, nella sua Torre Pellice, in una vallata a lui cara; il riposo impostogli dal peso degli anni e dalla malattia era lenito dalla consapevolezza di avere combattuto la sua battaglia culturale e civile per svecchiare da provincialismi e stereotipi l’ambiente intellettuale italiano, e per spostare in avanti i confini della conoscenza. Per tutto questo, lo ricordiamo con stima e nostalgia.
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