UN ROMANZO IN ODORE DI ‘STREGA’

di Dalisca

Se non sei la persona libera che vuoi essere devi trovare un posto dove dire la verità al riguardo. Dove dire come stanno le cose per te”. Anne Carson

Così scrive la poetessa canadese, così si apre la prima pagina del libro “L’Anniversario” di Andrea Bajani, edito Feltrinelli in lizza al Premio Strega, primo nella cinquina finale.

Un libro molto forte e toccante nel quale lo scrittore si pone questa domanda: si possono abbandonare il proprio padre e la propria madre? La risposta che lui ne dà è positiva nel senso che si può; infatti, egli lo ha fatto e dichiara che i 10 anni dell’abbandono sono stati per lui gli anni più belli della sua vita.

Siamo a Torino negli anni ‘70, una famiglia piuttosto modesta: padre, madre e due figli: un maschio ed una femmina, nessuna sregolatezza; il tempo passava ferocemente impassibile noncurante delle tragedie che occorrevano in famiglia che, fingendo la naturalezza dei comportamenti da parte dei componenti, assisteva alla loro decadenza e consunzione come cadaveri che si consumano consapevoli delle loro incapacità di sottrarsi alla volontà della loro sorte.

Man mano che il libro si snoda sotto gli occhi del lettore si assiste ad un processo inarrestabile da parte di un figlio in preda ad una presa di coscienza senza se e senza ma. Non si avverte rabbia, né rancore bensì freddezza e assuefazione a scene e momenti di narrazione senza lacrime né coinvolgimento quasi che la sua vita vissuta in prima persona fino a quel momento non lo riguardasse, a mo’ di uno spettatore che racconta di un film di tanto tempo fa.

Ma cosa sta succedendo alla famiglia intesa come fino ad ora lo è stata? È normale da parte dei figli man mano che crescono considerare i genitori esseri normali con il loro pregi e i loro difetti ed accettarli per tali in modo particolare durante la loro pubertà quando da bambini diventano, adolescenti e reclamano la loro completa autonomia di azione e di pensiero. È altrettanto normale che i genitori mettano dei freni alla incoscienza giovanile nell’interesse primordiale di proteggere i loro figli. Ma non si era mai giunti ad una anomalia tale da rifiutare letteralmente e violentemente coloro che li hanno messi al mondo.

Continuamente assistiamo a scempi di questo tipo e cioè all’eliminazione fisica dei protagonisti quando non li abbandonano come nel caso del nostro scrittore.

La lettura di questo libro pone molte domande per le quali è molto difficile trovare risposte che siano quelle giuste. Certamente possiamo chiederci dove le generazioni precedenti hanno sbagliato e quali sono i punti deboli creati e i relativi comportamenti che hanno indotto i giovani di oggi a simili misfatti.

Carnefici o vittime?

Non saprei giudicare; non è vero che si vuole distruggere la famiglia anzi oggi più che mai i giovani hanno necessità di ricreare una famiglia nuova basata su principi diversi da quelli passati. Ad esempio, nel racconto del libro si comprende subito la non condivisione degli atteggiamenti assunti dal padre padrone, il quale ha sempre maltrattato i figli usando anche le maniere forti che di sicuro non aiutano piuttosto mortificano la persona. La madre, che succube del marito, per una educazione ricevuta nel suo ambito familiare fondata sull’idea che il matrimonio fosse un sacrificarsi sull’altare di un amore mal concepito, si è annullata per inerzia e per quieto vivere. Forse questi principi ancora oggi, purtroppo validi, non soddisfano più le nuove generazioni protese verso un rapporto umano meno aggressivo per poter godere e sottolineo questo verbo perché non contemplato nelle passate famiglie anzi concepito quasi come un peccato in base ad una cattiva concezione della nostra religione.

Bisogna leggere con attenzione questo interessante libro anche perché in qualche modo ripercorre un’analisi, in parte, già affrontata lo scorso anno da Antonio Franchini nel suo libro (Premio Campiello) “Il fuoco che ti porti dentro” dove affronta un rapporto sfrontato soprattutto con la madre.

Non so se Bajani vincerà il tanto ambito premio, ma se arriverà primo, lo dovrà non solo all’argomento trattato e al modo con cui ha toccato corde così intime dell’essere umano, ma anche e soprattutto alla forma della sua scrittura personalissima e penetrante. Volendo descriverla visivamente oserei immaginarla come una danza di note su di un pentagramma.

P.S.    È tutto vero quel che è scritto, ma raccomando di leggere con un’attenzione particolare l’ultimo verso con il quale lo scrittore si congeda dal lettore.

Un verso poetico, bellissimo che ci fa comprendere, nonostante tutto, la necessità di amore materno che ancora alberga nel suo animo, quell’amore volutamente nascosto per tutto il tempo del romanzo, ma che albeggerà come l’alba che sta per sorgere!