di Alessio Genovese
C’è stato un tempo in cui l’Italia non chinava la testa. Un tempo in cui il coraggio non si misurava nei sondaggi, ma nelle scelte che avrebbero potuto costare carriere, alleanze, persino vite. Quando la parola “sovranità” non era una parola da dibattiti televisivi, ma un confine netto, da difendere anche a rischio di rompere tutto.
Ottobre 1985. Una pista d’asfalto in Sicilia, Sigonella, illuminata dai fari, circondata da uomini armati. Due eserciti amici, Italia e Stati Uniti, schierati uno di fronte all’altro, con le armi spianate e il dito pronto sul grilletto. Da un lato i reparti speciali americani della Delta Force, venuti a prendersi i terroristi palestinesi che avevano dirottato la nave italiana Achille Lauro e ucciso un cittadino ebreo americano, Leon Klinghoffer. Dall’altro c’erano giovani militari italiani, guidati da un sottotenente dell’Aeronautica di appena ventiquattro anni, Giuseppe Gumina, che si ritrovò a puntare i fucili contro un alleato troppo invadente.
Quella notte l’Italia disse no. Bettino Craxi, da Roma, non cedette alle urla e alle minacce di Reagan e Shultz che dall’altra parte dell’oceano pretendevano obbedienza cieca. Nessuno avrebbe portato via quei prigionieri senza che fosse prima un tribunale italiano a decidere. Accanto a Craxi, Giulio Andreotti reggeva i fili sottilissimi della diplomazia con il Segretario di Stato americano, mentre Giovanni Spadolini, alla Difesa, garantiva che i soldati italiani sarebbero rimasti fermi, schierati, qualunque cosa fosse successa.
Non ci furono spari. Ma fu la guerra più importante: quella silenziosa, per la nostra indipendenza e, paradossalmente, fu proprio da lì che iniziò a sgretolarsi qualcosa.
Gli Stati Uniti compresero che non bastavano le minacce o la forza militare. Occorreva cambiare l’Italia dall’interno. E arrivarono i canali riservati di Michael Ledeen e dei Servizi Segreti di Israele, Tangentopoli, Di Pietro, le procure “etiche” che spazzarono via quella classe politica che aveva osato dire di no. Renzi, “il rottamatore”, recise ogni continuità con un passato che avrà avuto i suoi limiti, ma anche il coraggio di decidere. I 5 Stelle, nati per scardinare il sistema, finirono per renderlo ancora più allineato.
Così, oggi, nessuno osa più mettere in discussione l’asse israelo-statunitense.
Così siamo diventati un Paese che svende porti e aziende a fondi come BlackRock, che tace mentre a Gaza cadono bombe su scuole e ospedali, che non alza la voce nemmeno quando il nostro Presidente Mattarella afferma che i palestinesi avrebbero diritto a “un focolare entro confini certi”, riprendendo così, per restituire al mittente, la Dichiarazione di Balfour. Parole che, però, si spengono da sole, senza mai trasformarsi in una vera scelta politica. Perché oggi l’Italia preferisce obbedire. Altro che sovranità.
Dove sono finiti il coraggio e la visione di un’Italia pronta a difendere i propri valori contro le prepotenze internazionali? Le parole di Mattarella si sovrappongono a quelle di Bettino Craxi, che, nel discorso alla Camera dei deputati del 6 novembre 1985, dichiarò che l’Italia non avrebbe mai ceduto alle pressioni straniere. Craxi ribadì l’importanza di difendere la sovranità e i diritti universali, anche a costo di sfidare gli Stati Uniti.
Se allora l’Italia difendeva i propri principi, oggi sembra aver smarrito quella determinazione. Nonostante il governo di Giorgia Meloni spesso invoca i principi di sovranità, l’Italia sembra adattarsi sempre più alle esigenze delle grandi potenze. Sebbene la Meloni si presenti come portavoce di un’Italia più forte e indipendente, le sue scelte politiche non riflettono la volontà di “dire no” quando è necessario. L’Italia, ormai, preferisce allinearsi.
In questo contesto Salvo Fleres e Paolo Garofalo ci riportano indietro, a un momento in cui l’Italia non era disposta a piegarsi. Raccontano quella notte del 1985 con la precisione di cronisti e la passione di chi ama la verità. L’ora che manca alla storia. Sigonella quarant’anni dopo non si limita a narrare quella notte del 1985, la rivive in ogni dettaglio, la scava con la freddezza dei documenti, la ricostruisce con lucidità, con i pensieri dei protagonisti e con i volti tirati dei soldati italiani che, su quella pista, potevano morire pur di non cedere. Ma soprattutto, questo libro ti lascia con una domanda che brucia dentro, più forte di qualsiasi slogan o discorso: se domani tornasse un’altra Sigonella, saremmo capaci di fare la stessa scelta?

Ecco perché questo libro, edito da L’Officina della Stampa di Catania, non andrebbe solo letto. Non è un libro da riporre in uno scaffale, ma da tenere accanto, pronto a ricordarci chi siamo. Perché chi ha davvero a cuore questo Paese, e comprende che la sovranità non è una parola vuota ma un prezzo da pagare, non può permettersi di ignorarlo.

Alessio Genovese è assegnista di ricerca in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università degli Studi di Enna “KORE”, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in Inclusione sociale nei contesti multiculturali. Impegnato anche in politica, è segretario provinciale della Federazione di Enna e componente del Consiglio Nazionale del Partito Socialista Italiano.

Paolo Garofalo, è nato e vive in Sicilia. Fondatore e presidente del Centro Studi Med. Mez. per le Ricerche e la Documentazione sul Mediterraneo e il Mezzogiorno “Napoleone Colajanni”, è stato capogruppo del Partito Socialista Italiano nella città di Enna dal 1990, segretario cittadino dei DS e sindaco col PD nel 2010 anno in cui prese anche la tessera del Partito Radicale sostenendo diverse campagne, in particolare sulle carceri e sui diritti di scelta dell’eutanasia.
Autore di diversi saggi sui diritti umani e sulla comunicazione politica, sta curando per l’Officina della Stampa la collana “I Simboli della Politica”.

Salvo Fleres












