ARTICOLO IN ELABORAZIONE
Avevo vent’anni. Ci ho passato nottate intere fino dai primi giorni. Fu irresistibile. Studiavo architettura e passavo ore davanti al tecnigrafo. Finivamo la sera tardi e poi di corsa si andava in quel luogo consonante al nostro fremito vitale per ballare insieme fino allo sfinimento. Ricordo i Rokes, dopo di loro l’Equipe 84 e Patty Pravo col suo casco d’oro, ragazza sconosciuta e silente che ondeggiava al ritmo del rock al pari di noi. Un’esperienza che cambiò gusti e modi di vivere. Ci si immedesimava in pieno nello “stile democratico” americano, Nasceva la discoteca come luogo di suggestioni collettive (estetica della “folla solitaria”) che rimpiazzava i piaceri del classico locale notturno quale evasione elitaria e individuale. Di lì nacquero tanti comportamenti di massa. Si presentava una ideologia del “giovanilismo contestatore” (i capelloni e il “ma che colpa abbiamo noi”) che poi scaricò il tutto nel 1968. Fui trascinato in quel gorgo irresistibile. Ancora me ne pento.