Sarà capitato anche a voi, di provare imbarazzo nell’attraversare le periferie, il suburbio, l’hinterland di qualsiasi città italiana; un senso di vuoto che ci attraversa e che permane come sensazione di fondo, percorrendo questo spazio urbano anonimo e sgraziato. Un susseguirsi di case e vuoti inospitali, ma sempre “giustificati” dall’appropriato regolamento comunale. Agglomerati costruiti nel vuoto di agri sospesi nel tempo, cresciuti con i migliori auspici di leggi speciali, varate con l’idea di perseguire un’utopistica modernità.
Un “motivo” già intonato nel 1966 quando… “là dove c’era l’erba, ora c’è una città; e quella casa in mezzo al verde ormai… dove sarà”; un leitmotiv costantemente ripreso dei rapper di ogni età, prospettando un illusorio riscatto delle generazioni avvenire.
Il nostro immaginario in merito all’esplosione della moderna città, in realtà, ha, più o meno inconsapevolmente, annullato il sedime di strade, tracciati, architetture di un tempo passato, smarrito dalla memoria dei più.
Camminare in questi spazi, con queste conoscenze e maggiore consapevolezza, cambia radicalmente il punto focale del contesto che attraversiamo.
Il contesto…l’elemento imprescindibile per comprendere qualsiasi situazione, definito da tutti gli elementi stratificati che lo compongono, che sia verbale, logico, architettonico, storico-culturale e via dicendo, dà conto delle motivazioni, del perché qualcosa è in una determinata maniera e non in un’altra! Solo penetrando e non prescindendo dal contesto, nel caso specifico urbano, si può nuovamente ritornare a dialogare con la storia in una prospettiva diversa, che non sia mera contemplazione, ma recupero del passato e della memoria storica dei luoghi.
Nelle periferie manca la consapevolezza degli abitanti della presenza della storia, che si manifesta nel più totale anonimato. Le periferie sociali, palcoscenico dove si esibiscono generazioni omologate che vivono in città prive di narrazione, respingenti i processi di civiltà, “ammantano” di anonimo la dignità di ognuno di noi!
La moda diffusa dei murales, finanziati dalle attività di rigenerazione urbana, resta, poi, un vano rimedio per cercare di risolvere (mascherare!) problemi ben più complessi; con l’illusoria pretesa di affermare la propria presenza: “io sono qui”, rimangono inconsapevoli comparse, rispetto a ciò che li ha preceduti, ma soprattutto assenti spettatori di un futuro anonimo. I murales non privi di una loro indubbia dignità lì dove sono apparsi come esplicita manifestazione di un malessere sociale, voluti, invece, da una committenza pubblica, perdono il loro humus, non nutrendosi più di quell’impegno sociale che li ha generati e producono esiti culturali discutibili su chi quei luoghi li vive. Non valore aggiunto pertanto, dal momento che definiscono uno spazio urbano standardizzato, riproposto in maniera pressoché identica in tutte le periferie delle nostre città, ma omologazione, appiattimento e desertificazione della memoria dei luoghi e degli abitanti.
Se si riuscisse, invece, ad affrancare la vacuità che si vive nella periferia, facendo rifiorire il contesto, sarebbe un grande riscatto per gli abitanti, nonché motivo di orgoglio, una nuova dimensione identitaria per chi abita quei quartieri con ritrovata consapevolezza e dignità e, inoltre, lustro per l’intera collettività.
A questo punto come muoversi?
Riprendere il dialogo con quanto c’era prima (la storia), allineandolo alla contemporaneità e proiettandolo nel futuro?
È evidente pertanto, da questa brevissima riflessione, che si rendono necessarie possibilità alternative rispetto alla moda dei murales, che siano in grado di individuare la molteplicità dell’evoluzione urbana: un lavoro necessario e imprescindibile che implica il “rilievo” del luogo e la conoscenza di ciò che è stato.
…e se un abitante delle periferie scoprisse che il luogo da lui vissuto rappresenti un Valore?
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