L’OMICIDIO MATTEI. IL CONTESTO GEOPOLITICO DELL’EPOCA

«Il petrolio è una risorsa politica per eccellenza, fin dall’epoca in cui la sua importanza era più strategica che economica. Si tratta ora di utilizzarlo al servizio di una buona politica, senza ricordi imperialisti e colonialisti, che miri al mantenimento della pace e al benessere di coloro che, grazie alla natura, sono i proprietari di questa risorsa e di coloro che l’utilizzano per il loro sviluppo economico.»

(Da un discorso di Enrico Mattei al Centro Studi di Politica estera di Parigi nel 1957)

In questo secondo articolo, scritto in occasione dell’anniversario della morte di Enrico Mattei, propongo alcuni elementi che potrebbero essere utili per continuare la riflessione sulla figura e l’opera del fondatore e presidente dell’ENI, sul contesto geopolitico dell’epoca e sulle rivoluzionarie prospettive politiche ed economiche per l’Italia e l’Europa che il 27 otttobre 1962 furono interrotte con la morte di Mattei. Una riflessione che ci porta all’attualità del cosiddetto “Piano Mattei”, che nell’autunno 2022 è stato richiamato dalla Premier Giorgia Meloni come Piano Mattei per l’Africa , un progetto per creare uno “spazio di stabilità e di prosperità condivisa” nei Paesi dell’Africa, ben presente in occasione della sua prima visita ufficiale in Algeria il 22/23 gennaio 2023.

Ecco in sintesi alcuni argomenti che potrete leggere in questo mio secondo articolo:

  • Ripercorro l’inchiesta giudiziaria del viceprocuratore di Pavia Vincenzo Calia durata dal 1994 al 2003 che ha chiarito definitivamente che l’aereo di Mattei esplose in volo per sabotaggio
  • L’articolo di Repubblica del 17 dicembre scorso su “Mattei fascista”, ispirato da documenti emersi dalla recente apertura degli archivi americani sul delitto Kennedy e che documenta l’opera di disinformazione della Cia negli anni ’50 e ’60 su Enrico Mattei.
  • Attraverso le testimonianze di Benito Li Vigni, alto dirigente dell’ENI e “responsabile dell’intelligence aziendale” di Mattei, i ricordi di Italo Pietra, allora direttore de Il Giorno, analizzeremo i rapporti tra Mattei e l’amministrazione Kennedy per la stabilizzazione politica dell’Italia agli inizi degli anni ’60. Si stava concretizzando un progetto di accordo tra ENI e le “ Sette Sorelle”, ed era previsto l’incontro tra Mattei e Kennedy alla Casa Bianca in programma a novembre 1962. Esisteva una tendenza verso una politica neutralistica tra Nato e Patto di Varsavia perseguita da Mattei? Quali avrebbero potuto essere le ripercussioni degli accordi economici paritetici con le giovani nazioni emerse dalla decolonizzazione, con l’URSS e con la Cina?
  • L’importanza dell’Algeria per l’Italia. Il 1962 è l’anno in cui vennero raccolti i frutti dell’azione di Mattei in favore del Governo Provvisorio della Repubblica algerina, con l’azione mediatrice tra francesi e algerini durante le trattative di pace si apriva la strada ad un grande e promettente accordo con l’Algeria per l’utilizzo delle enormi risorse energetiche del Sahara algerino.
  • La recente pubblicazione di una poco conosciuta lettera del 19 settembre 1962 dell’allora segretario della DC Aldo Moro ad Enrico Mattei, nella quale gli si chiedeva di rinunciare a ricandidarsi alla presidenza dell’ENI.
  • Infine un memoriale inedito di Giacomo Rumor, cugino di Mariano Rumor più volte ministro democristiano, sulle possibili responsabilità nel sabotaggio dell’aereo di Mattei e sulle recenti ipotesi del giudice Vincenzo Calia su responsabili e mandanti dell’omicidio di Mattei. Sono anticipazioni di un mio futuro terzo articolo sulle varie ipotesi emerse in questi anni su mandanti ed esecutori di un delitto che cambiò la storia d’Italia: i servizi di intelligence anglo/americani, la SDECE francese, l’OAS, la pista interna italiana e la mafia.

L’attualità del “Piano Mattei”

Nel mio precedente articolo del 1° dicembre 2022 Enrico Mattei. Un grande italiano. Un grande visionariohttps://ilmondonuovo.club/enrico-mattei-un-grande-italiano-un-grande-visionario/ , scrittoper proporre una riflessione sulla figura e l’opera di Enrico Mattei a 60 anni dalla morte (27 ottobre 1962), avevo evidenziato quanto la sua azione fosse presente nel dibattito politico italiano con il richiamo ad un “piano Mattei per l’Africa” sia da parte della Presidente del Consiglio nel suo discorso alle Camere, che del Ministro degli interni in occasione di una audizione alla Camera dei deputati relativa all’immigrazione, sia nel messaggio del Presidente della Repubblica in vista del giorno dell’anniversario.

In verità il richiamo al “piano Mattei” ha continuato e continua ad essere presente nel dibattito: la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni è tornata a citarlo in chiusura dell’8ª edizione del Med Dialogues a Roma, sabato 3 dicembre 2017:

Una solida geopolitica del dialogo si può costruire e consolidare nell’area solo muovendo dalla consapevolezza delle nostre identità culturali e valoriali, dalla constatazione che la nostra prosperità non è possibile se non c’è anche quella dei nostri vicini. Come ho detto all’insediamento, l’Italia si fa promotrice di un piano Mattei per l’Africa, un modello virtuoso di collaborazione tra l’Unione Europea e le nazioni africane, con un approccio che, prendendo esempio da un grande italiano come Enrico Mattei, non abbia una postura predatoria nei confronti delle altre nazioni, ma invece collaborativa e rispettosa dei reciproci interessi”.

Il 22 e 23 gennaio 2023, a distanza di nove mesi dalla visita di Mario Draghi dell’ aprile 2022 (che portò alla firma di vari accordi commerciali nel luglio 2022), la Premier Giorgia Meloni ha compiuto il suo primo viaggio di Stato in Algeria per alimentare e sviluppare la partnership sul fronte strategico dell’energia che Mario Draghi aveva avviato subito dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Il riferimento al “Piano Mattei per l’Africa ” è particolarmente significativo e comprensibile in Algeria.

Il “Piano Mattei per l’Africa” preconizzato da Giorgia Meloni è quello di creare uno “spazio di stabilità e di prosperità condivisa” nei Paesi dell’Africa, anche per affrontare in modo strutturale il problema delle migrazioni. In questa prospettiva da parte del governo c’è la volontà di confermare il futuro dell’Italia quale hub energetico (di gas ma anche di idrogeno verde) del Mediterraneo, come ponte fra Africa e Europa.

Un Piano Mattei trova il suo fondamento nel famoso (e rivoluzionario) discorso tenuto da Enrico Mattei nel novembre 1957 al Centro studi di politica estera di Parigi. Il presidente dell’Eni affermò che

il petrolio è una risorsa economica per eccellenza, fin dall’epoca in cui la sua importanza era più strategica che economica. Si tratta di utilizzarlo al servizio di una buona politica (…) che miri al mantenimento della pace ed al benessere di coloro che, grazie alla natura, sono i proprietari di questa risorsa e di coloro che l’utilizzano per il loro sviluppo economico”.

E’ infatti significativo che ad Algeri Meloni abbia reso omaggio alla figura di Mattei con una tappa simbolica nel centro della capitale, al Giardino intitolato al fondatore dell’ENI – unico straniero a ricevere un riconoscimento del genere – giardino che fu inaugurato nel novembre 2021 alla presenza del Presidente Mattarella. Nel giardino si trova una stele in cui si ricorda il sostegno di Mattei per la rivoluzione e l’indipendenza algerina. Il presidente della Repubblica algerina, Abdelmadjid Tebboune, il 29 marzo dello scorso anno aveva conferito la medaglia d’oro “Amici della Rivoluzione algerina” alla memoria di Enrico Mattei, ritirata dal pronipote Aroldo Curzi Mattei (presidente della Fondazione Mattei).

Nello scorso articolo avevo proposto come interessante esempio di omaggio a Mattei l’iniziativa “Maratona Mattei per sempre” organizzata dalla ANPC-Associazione Nazionale Partigiani Cristiani con tre appuntamenti a Roma il 27 /10 , a Rieti il 1 /12 e a San Donato Milanese il 4 /12, nei quali si sono svolte lectio magistrali e interventi di storici, ricercatori e testimoni sull’azione di Mattei partigiano, politico, imprenditore. Nell’articolo avevo riassunto brevemente la lezione del prof. Aldo Ferrara sulla visione di politica economica di Mattei e la sua azione come innovatore e motore del miracolo economico italiano e promotore di una politica lungimirante per il futuro dell’indipendenza energetica italiana ed europea, anche alla luce della situazione attuale.

Avevo concluso dando appuntamento per un secondo articolo che prendesse spunto dall’intervento il 4 dicembre a San Donato Milanese del magistrato (ora in pensione ) Vincenzo Calia, che dal 1996 al 2003, come vice procuratore a Pavia, ha indagato sulla morte del presidente dell’ENI, smentendo le conclusioni della prima inchiesta militare e riaprendo l’inchiesta giudiziaria conclusa nel 1962. Calia ha ribaltato l’allora conclusione sulla causa della tragedia come incidente aereo, e, con una importante e molto circostanziata indagine giudiziaria, concluse con prove inoppugnabili che l’aereo di Mattei fu sabotato con 100 grammi di esplosivo Compoud B posto dietro il cruscotto del bireattore Morane-Saulnier MS.760 Paris e innescato dal comando che abbassava il carrello, e quindi che Mattei, il pilota Bertuzzi e il giornalista McHale furono assassinati. Ma nella sentenza del processo non si giunse ad una individuazione dei mandanti e degli esecutori del sabotaggio.

In questo articolo vorrei proporre una riflessione sulle ipotesi ad oggi formulate e basate su documenti e testimonianze sui possibili mandanti ed esecutori dell’attentato, e sulle motivazioni che possono aver indotto alla eliminazione di una figura scomoda e fuori dagli schemi geopolitici dell’epoca come quella di Mattei.

Nelle pagine seguenti vedremo documenti e testimonianze per cercare di capire o di rispondere ad alcuni interrogativi:

  1. L’inchiesta del giudice Vincenzo Calia. Un documentario del 2001 della TSI e l’intervento di Calia il 4 dicembre 2022 a San Donato Milanese.
  2. La recente pubblicazione su La Repubblica di un articolo sulla desecretazione di documenti della Cia del 1955 inerenti l’assassinio di J.F. Kennedy e che metterebbero in rilievo un ipotetico “passato fascista” di Enrico Mattei.
  3. Il dialogo con l’ amministrazione Kennedy che prevedeva un incontro di Mattei con Kennedy a novembre 1962. Era per un progetto politico che potesse prevedere un nuovo futuro politico di Mattei? Vedremo le testimonianze di Benito Li Vigni, dirigente dell’ENI, autore di numerosi saggi sulla figura di Mattei, sulla Mafia e sulla economia del petrolio, di Italo Pietra allora direttore de Il Giorno, e le analisi di altri ricercatori.

Dopo gli anni di scontro con il monopolio del cartello petrolifero si profilava un accordo con le Sette Sorelle? Con l’avvicinamento commerciale all’URSS, alla Repubblica Popolare Cinese e l’attenzione ai paesi arabi produttori di petrolio, gli accordi con Algeria e Iraq, l’attenzione ai paesi non allineati, Mattei stava lavorando affinchè in Italia si avviasse una politica di non allineamento e di neutralità tra NATO e Blocco di Varsavia?

  1. L’importanza strategica degli accordi con la giovane Repubblica d’Algeria a inizio anni ’60, accordi di collaborazione commerciale successivamente sospesi da Eugenio Cefis dopo la morte di Mattei.
  2. La recente pubblicazione di una lettera di Aldo Moro del 19 settembre 1962, nella quale l’allora segretario della Democrazia Cristiana chiedeva a Mattei di rinunciare a presentarsi per il rinnovo della carica di presidente dell’ENI.
  3. Una ipotesi su mandanti ed esecutori dell’attentato a Mattei che si trova in margine ad un libro scritto da Paolo Rumor, figlio di Giacomo, cugino dell’esponente DC Mariano Rumor, e basato su un memoriale inedito del padre. E’ un documento che nessuno degli studiosi da me letti prende in considerazione. Lo presento, insieme ad alcune riflessioni del giudice Vincenzo Calia, come un anticipo del mio futuro terzo articolo su Mattei, nel quale cercherò di proporre le varie ipotesi emerse dal 1962 ad oggi su mandanti ed esecutori di un omicidio che cambiò la storia dell’Italia.
La prima pagina de Il giorno del 28 ottobre 1962.
Due le notizie in prima pagina: la morte di Mattei e la fine della crisi dei missili a Cuba

L’inchiesta giudiziaria del magistrato Vincenzo Calia

Partiamo dalle conclusioni dell’inchiesta del Magistrato Vincenzo Calia, durata 10 anni, una requisitoria di 429 pagine, oltre 5.604 pagine di documentazione, 626 testimoni ascoltati.

Tra le varie fonti consultate, metto in particolare evidenza:

  • In primis Il caso Mattei- Le prove dell’omicidio del presidente dell’ENI dopo bugie, i depistaggi e manipolazione della veritàdi Vincenzo Calia e Sabrina Pisu. (terza edizione Chiarelettere 2020)
  • Dal recente libro del 2022 Enrico Mattei e l’intelligence- Petrolio e interesse nazionale nella guerra fredda, di autori vari, a cura di Mario Caligiuri, il contributo di Vincenzo Calia Il processo sull’omicidio Mattei
  • L’Italia nel petrolio- Mattei, Cefis, Pasolini e il sogno infranto dell’indipendenza energeticadi Giuseppe Oddo e Riccardo Antoniani, Feltrinelli 2022
  • All’Agip con il Principale io c’ero – La tragica fine di Enrico Mattei non fu un incidente di Giuseppe Accorinti, Roma 2022
  • Mattei La pecora nera di Italo Pietra, SugarCo 1987
  • Una recente intervista del giudice Vincenzo Calia pubblicata su Il Giorno 25 ottobre 2022: L’ultimo magistrato che indagò sulla morte di Enrico Mattei: “Fu certamente omicidio” : L’ultimo magistrato che indagò sulla morte di Enrico Mattei: “Fu certamente omicidio” – Cronaca (ilgiorno.it)

Alcune recenti testimonianze on line del magistrato Calia sull’inchiesta giudiziaria:

  • Dal sito della Associazione Nazionale Partigiani Cristiani l’intervento del giudice Calia il 4 dicembre 2022 a San Donato Milanese durante il terzo appuntamento di Maratona Mattei per sempre Maratona Mattei San Donato Milanese 4-12-2022 – YouTube
  • Il documentario Enrico Mattei, processo al silenzio, prodotto nel 2001 da Arte-Wdr-Televisione della Svizzera italiana.

Scrive Vincenzo Calia nel 2022 nel saggio Il processo sull’omicidio Mattei.

L’indagine sulla morte di Enrico Mattei, avviata a fine 1994 e conclusa con l’archiviazione nel 2003, è stata portata a termine nella consapevolezza che il lavoro giudiziario non sarebbe andato perso, ma avrebbe consentito agli studiosi di scorgere nuovi problemi e di avanzare nuove ipotesi, che superassero le vulgate storiografiche, le selezioni narrative, le soppressioni e l’occultamento delle prove che, sul caso Mattei, sono leggibili già dalla sera del 27 ottobre 1962, quando Mattei muore nel cielo di Bascapè”.

Prima di dare la parola al giudice Calia nel suo intervento al terzo appuntamento dell’iniziativa “Maratona Mattei per sempre” a San Donato Milanese il 4 dicembre 2022, vorrei proporre la trascrizione di alcune parti di un documentario prodotto dalla TSI nel 2001 “Enrico Mattei- Processo al silenzio”, interessante perché segue in quegli anni le indagini di Calia, che durarono dal 1996 al 2003, ci mostra prove processuali importanti e documenta con testimonianze quanto sarà concluso nell’inchiesta della procura di Pavia. Quindi passeremo all’intervento del Giudice Calia al convegno e ad altri suoi scritti degli ultimi anni.

Enrico Mattei, processo al silenzio

Il documentario trasmesso nel 2001 dalla TSI.

Il documentario trasmesso nel 2001 dalla Televisione della Svizzera Italiana Enrico Mattei, processo al silenzio, si basa sulle indagini del magistrato Calia ma viene prodotto prima della conclusione dell’indagine con l’archiviazione (2003). Consiglio di visionarlo, perché mi sembra interessante approcciare lo straordinario lavoro degli investigatori partendo da questo documentario, di cui riporto l’audio e le testimonianze, avendo la possibilità di vedere le prove, di osservare i protagonisti, di entrare negli ambienti dell’indagine, vedendo e sentendo testimoni, studiosi, esperti che ritroveremo in molti saggi scritti in questi anni e nella documentazione successiva.

Il video racconta le vicende legate alla morte di Enrico Mattei, attribuita ufficialmente ad un incidente aereo ma che successive inchieste hanno dimostrato essere dovuta al sabotaggio del suo aereo con una carica esplosiva. Il documentario è stato girato nel 2001, da Bernhard Fletschinghl e Claus Bedenbrock con la collaborazione di Carlo Ercole Gariboldi, prodotto daArte-Wdr-Televisione della Svizzera Italiana. (Gariboldi, giornalista de La provincia di Pavia, ha collaborato anche alla prima edizione dedicata al Caso Mattei di Blu notte di Carlo Lucarelli, visionabile su RaiPlay.)

Il documentario ricorda che, dopo una prima inchiesta che aveva escluso l’ipotesi dell’attentato, il caso Mattei cadde nell’oblio, sino al momento della riapertura delle indagini con l’inchiesta giudiziaria del giudice Vincenzo Calia. Si documenta lo svolgimento dell’indagine con interviste al giudice, al maresciallo dei carabinieri, con immagini dei reperti, dei documenti in archivio della prima e della seconda inchiesta.

Si parte dal verbale dell’interrogatorio di pentiti mafiosi siciliani del 1993, si legge che la richiesta di uccidere Mattei era giunta dall’americana Cosa Nostra per difendere gli interessi delle maggiori società petrolifere americane, e ad affermarlo è Tommaso Buscetta.

Il giudice Vincenzo Calia, allora Sostituto Procuratore a Pavia, dichiara:

Abbiamo dovuto iniziare delle indagini per verificare la fondatezza di quanto questo signore aveva raccontato ai magistrati siciliani. E per fare questo ci siamo posti nella stessa situazione nella quale ci saremmo trovati se l’aereo di Enrico Mattei fosse caduto il giorno prima”.

Tuttavia dapprima vennero tolti dall’archivio gli incartamenti della Commissione Andreotti, allora Ministro della Difesa, che condusse la prima inchiesta militare.

IlMaresciallo dei Carabinieri Enrico Guastini, tra gli investigatori dello staff di Calia:

Questi sono gli atti dell’inchiesta del 1962” (vediamo due faldoni e il loro contenuto ) , sono solo questi, non c’è altro. Qui praticamente non c’è nulla, non è stato fatto alcun tipo di indagine, non è stato fatto nulla a suo tempo, né poteva essere fatto perché sul luogo dell’incidente i pezzi, contrariamente alle norme, sono stati lavati immediatamente e disinfettati, e gli strumenti dell’aereo che non potevano essere lavati sono stati messi a bagno nell’acido, questo risulta agli atti, quindi non era possibile in ogni caso fare nulla “.

Furono iniziate indagini accurate alla ricerca di tracce ancora esistenti. Il 25 ottobre 1995 la Rai riferì la notizia della esumazione su ordine di Calia delle salme di Mattei e del pilota Bertuzzi . Nei resti di cadavere vengono rinvenuti frammenti metallici che mostravano tipiche malformazione da esplosione.

(voce Maresciallo ) “Questi sono alcune delle ossa di Enrico Mattei. Conficcate in queste ossa sono stati trovati frammenti di aereo e anche la testa di vite vista precedentemente. “

Il maresciallo mostra i fascicoli della inchiesta attuale, sono 12 volumi, con i verbali dei testi, mentre in un armadio a parte sono archiviati gli atti e i documenti non testimoniali con numerosi altri faldoni. Vengono riesaminati anche gli oggetti personali delle vittime che erano stati consegnati ai familiari dopo la fine delle indagini del 1962 : la borsa, la carta di identità di Mattei e l’orologio: i periti avevano trovato che le lancette erano incollate al quadrante concludendo che l’orologio ha subito un urto da esplosione.

Nel suo rapporto finale il sostituto procuratore Calia stabilisce:

Il mezzo utilizzato fu una limitata carica esplosiva, probabilmente innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelli dei loro alloggiamenti”.

Dopo sei anni di lavoro istruttorio nel maggio del 1999 viene aperto a Pavia un nuovo processo sul caso Enrico Mattei. Prove schiaccianti dimostrano che la tragedia di Bascapè, liquidata come un incidente aereo, in realtà nasconde un triplice omicidio.

Sul banco degli imputati non siedono mandati o esecutori dell’attentato, su di loro il magistrato Calia continua ad indagare. Nel corso della sua istruttoria egli rileva incongruenze nelle deposizioni di un testimone che già nel 1962 aveva modificato la sua prima deposizione a caldo, che accreditava la tesi dell’esplosione in volo, per avvalorare quella dell’incidente. Per la Commissione Andreotti era un testimone oculare, un agricoltore di Bascapè Mario Ronchi, che viene sentito come imputato, al quale Calia contesta le due versioni della sua testimonianza il 27 e il 29 ottobre. In particolare quella rilasciata al Telegiornale della Rai del pomeriggio del 28 ottobre, sul nastro del quale erano state silenziate alcune frasi di Ronchi, e che furono ricostruite nella nuova indagine attraverso un verbale di lettura labiale accluso agli atti del processo. Si vede l’intervista del cronista della Rai Bruno Ambrosi, nella quale si sentono chiaramente dei vuoti di audio nelle sue dichiarazioni.

La lettura labiale:“ Ho sentito un boato, e ho visto un fuoco “.

Il 4 luglio 1999 il Tribunale sospende il processo contro Mario Ronchi ed esorta il viceprocuratore di Pavia a trovare i colpevoli della morte di Mattei e Bertuzzi e ad ottenerne la condanna. Infatti senza prove di omicidio il tribunale non può procedere contro Ronchi per favoreggiamento. Vincenzo Calia non riesce quindi ad accertare giuridicamente la tesi dell’attentato. Sono in molti a dubitare che un giorno egli riesca a trovare gli attentatori, primi fra tutti i familiari delle vittime.

Le prove occultate.

Su immagini di moviola con lavoro sul nastro in traccia audio,

Il servizio Rai con l’intervista originale a Ronchi del 28 ottobre 1962 non può essere stato manomesso prima del 1966. Infatti soltanto in questo anno fu introdotto alla televisione di Stato il nastro con il quale è stata manipolata la traccia audio del film. Bruno Ambrosi, il cronista Rai che intervistò il testimone la notte del 27 ottobre 1962 conferma la dichiarazione originaria di Ronchi, e rileva un altro aspetto inquietante (…)”

Intervista a Bruno Ambrosi, nel 2001 direttore dell’Istituto Carlo De Martino per la formazione al giornalismo di Milano:

“ (…) Tutti i telegiornali per legge sono registrati centralmente a Roma, pensavo che ciò che non si era visto lì, si potesse ritrovare nella registrazione integrale dei programmi. E’ stata grande la mia sorpresa quando lo stesso giudice mi ha detto che anche la registrazione originale, complessiva del programma , non esisteva più nell’archivio centrale. E questo è molto raro, è un fenomeno straordinario”.

Parla il maresciallo Guastini:

E’ stato detto che sono intervenuti i servizi segreti italiani che hanno bloccato un po’ tutto, che hanno preso le cose in mano, però noi abbiamo fatto una indagine di ricerca di documenti sull’incidente Mattei presso tutti i ministeri competenti, Aviazione civile, Interno e Difesa, i Servizi Segreti, tutti gli aeroporti d’Italia che erano interessati , la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Archivio di Stato Centrale a Roma, gli Archivi di Stato Provinciali, tutti i documenti e le pratiche riguardanti Mattei non ci sono più, e non ci sono più nemmeno negli schedari i cartellini che servivano per cercare le pratiche”.

Anche i rottami dell’aereo sono stati distrutti. Al termine della prima inchiesta nel 1966, la Snam, proprietà dell’aereo ordina di fondere i rottami come metallo vecchio.

Sentiamo Nico Perrone, giornalista e docente universitario, che lavorò all’ENI all’inizio degli anni ’60, mentre si sta recando nel convento di Camaldoli, per ritrovare i luoghi dove il 18 luglio 1943, autorevoli esponenti cattolici si riunirono per scrivere la Carta di Camaldoli che mise le basi per la creazione di quelle imprese che daranno a Mattei e Cefis un potere molto grande. Quegli esponenti del mondo cattolico erano consapevoli che una economia privata poco sviluppata come quella italiana, non era in grado da sola di modernizzare il paese.

Tutta la forte crescita che l’Italia ha avuto tra gli anni ’50 e ’60, è il dato di una collaborazione tra economia privata ed economia pubblica, i giovani laureati cattolici si riuniscono per fare progetti per l’avvenire. Loro hanno la consapevolezza di una situazione che sta radicalmente cambiando nel paese, e hanno anche la volontà ferma e determinata di prendere loro il governo del paese. Quindi elaborano un programma, una sorta di lineamenti di Costituzione, hanno elaborato 99 principi, il cosiddetto Codice di Camaldoli, principi anche inerenti l’economia pubblica, quel principio che immagina una convivenza con l’economia privata. Dando però alla economia pubblica il compito di intervenire in tutte le situazioni per le quali i privati, per ragioni di convenienza od altro non interverranno, una parte elaborata a Camaldoli fu poi riversata nella Costituzione” (…) “finita l’elaborazione teorica, si organizzò la resistenza contro i tedeschi, tra cui operò Enrico Mattei”.

La testimonianza di Giorgio Bocca, che fu partigiano e giornalista de Il Giorno, sul fatto che le formazioni partigiane comuniste avessero pochissimi ufficiali dell’esercito, che invece erano inquadrati nelle formazioni cattoliche. La possibilità di avere armamenti dipendeva molto dai lanci effettuati dagli alleati, che erano indirizzati alle formazioni non comuniste.

Vengono mostrate immagini di repertorio provenienti dagli archivi statunitensi, ricostruzioni propagandistiche di agenti dell’OSS Usa che addestrano combattenti partigiani.

Immagini della val d’Ossola, al confine con la Svizzera, dove Mattei e Cefis si conobbero. Bocca:

La formazione di Cefis nell’Ossola era una delle formazioni cattoliche. Cefis era potentissimo perché era stato nel SIM il Servizio Informazioni Militare, era legatissimo a Raffaele Cadorna , comandante militare del Corpo Volontari della Libertà e aveva la protezione della Chiesa e di tutti i parroci. Era ufficiale effettivo uscito dall’Accademia di Modena. Finita la guerra partigiana, c’era un gran bisogno di uomini che sapessero fare o politica o industria “.

Decorato dalle autorità militari americane, il 6 maggio 1945 Mattei marcia alla testa del corteo trionfale insieme agli altri capi della Resistenza. Bocca aggiunge che gli ex partigiani cattolici sono abili nel mettersi in luce, ottenendo posti nel governo della Prima Repubblica Italiana.

Servizi segreti: sospettati.

Mattei si oppose non solo alle ferree regole del cartello petrolifero, ma anche a quelle della Nato. Nico Perrone ha trovato negli archivi americani documenti degli archivi dell’Intelligence USA la quale definisce la politica di Mattei estremamente pericolosa; questi documenti sono pubblicati nei suoi libri European and American Patterns in a Conflictive Development”, “Enrico Mattei”(2001), “La morte necessaria di Enrico Mattei”(1998).

Le parole di Perrone:

Mattei premeva apertamente per una posizione dell’Italia all’interno della NATO che avvicinasse l’Italia alla Germania, e che insieme portasse l’Italia ad un protagonismo nel Mediterraneo, ad un protagonismo con i paesi emergenti del Terzo Mondo. Non si nascondeva e non lo nascondeva nei rapporti con i diplomatici americani. C’è un rapporto molto allarmato dei servizi americani che seguono Mattei, si allarmano per la politica di Mattei, e si allarmano in modo particolare per l’influenza sempre maggiore che Mattei esercita sul governo”.

Viene citato uno dei documenti riservati:

La limitazione del potere di Enrico Mattei a un ambito più ristretto, e la possibile riduzione delle possibilità di esercitare l’influenza illegale sul governo, eliminerebbero una importante minaccia alla stabilità dell’Italia”.

Nell’ottobre 1962 il mondo è sull’orlo di una guerra nucleare a causa della crisi dei missili sovietici sul territorio cubano. La NATO ha dislocato missili con testate nucleari in Turchia e in Italia puntati contro l’URSS. La NATO deve affrontare la Francia, la Germania, la Grecia e l’Italia di Enrico Mattei che non vogliono aderire all’escalation militare imposta dagli Stati Uniti.

Lo storico Nino Perrone :

Una delle previsioni che facevano i servizi di intelligence americani, previsioni della politica estera italiana rispetto alla posizione nella NATO, era che l’Italia in caso di attacco potesse a breve sganciarsi dall’Alleanza Atlantica e passare su una posizione neutralista”.

Il segreto di stato: un delitto perfetto.

Nell’ottobre 1962, Mattei vola per la seconda volta in pochi giorni in Sicilia, accolto da una popolazione festante. Nel frattempo si stava attuando il piano dell’attentato.

Ma come fu possibile sabotare il suo aereo? Gli esperti hanno appurato che il sabotaggio fu attuato con grande perizia.

Il giudice Calia esclude altre cause di deflagrazione che non siano dovute ad una bomba.

Citazione dal rapporto dell’inchiesta di Pavia:

E’ infatti provato che

  • a bordo dell’I-SNAP si è verificata una esplosione
  • L’esplosione si è verificata durante il volo e non in coincidenza o dopo l’impatto al suolo
  • il serbatoio non è esploso
  • i motori non sono esplosi
  • la bombola di ossigeno non è esplosa.

I periti sostengono che la carica esplosiva fu applicata dietro il quadro strumenti della cabina di pilotaggio e che esplose quando il pilota azionò la leva di comando del carrello.

Per sistemare una simile carica occorrono tempo e conoscenze tecniche, e inoltre l’aereo di Mattei era sorvegliato 24 ore al giorno.

I due aerei identici

I due aerei identici a disposizione di Mattei, la cui esistenza era tenuta segreta per motivi di sicurezza. Nel documentario Arnaldo Bertuzzi, figlio del pilota Irnerio Bertuzzi si reca a Parigi per incontrare Pierre Parvaud, pubblicista, che si occupa della società Morane Saurniere, scioltasi diversi anni or sono, società costruttrice degli aerei di proprietà Snam utilizzati da Mattei. Parvaud conferma che Mattei ha sempre avuto a disposizione due velivoli identici, e documenta che il mattino del 27 ottobre furono fatti due pieni di carburante, il primo alle 8.40 di 852 litri, e il secondo di 758 litri poco dopo. Non è possibile che in meno di mezz’ora si esaurisca il contenuto massimo dei suoi serbatoi di carburante. Prova che c’erano due aerei, il Paris numero 28 e il Paris numero 99 che è quello precipitato. Il numero 28 era di base a Milano, si sa che era partito ma non si sa per dove. Il secondo aereo fu venduto il 5 febbraio 1963 ad una società in Florida, secondo i documenti notarili di vendita firmati da Eugenio Cefis.

Nel documentario del 2001 si dice che ancora all’epoca in Italia non si crede all’esistenza di due aerei identici, o è comunque sconosciuta, o contestata. Di fatto se fu possibile mettere una bomba sul jet utilizzato da Mattei si è indotti a pensare che i responsabili della sicurezza fossero partecipi dell’attentato.

A conferma del fatto che pochissime persone fossero a conoscenza dell’esistenza di due aerei identici, riporto la testimonianza di Giuseppe Accorinti nel già citato libro All’Agip con il ‘Principale ‘ io c’ero- La tragica fine di Mattei non fu un incidente. Accorinti è stato uno dei massimi dirigenti dell’Agip Petroli, e ricorda di essere venuto a sapere dei due aerei identici nel 2001 quando

fui invitato al Goethe Institute di Roma alla presentazione del documentario “Processo al silenzio-Il mistero della morte di Mattei”. (…) Le risultanze a cui erano giunti gli autori del bel documentario furono confermate nella requisitoria di Calia (…) Alla fine della proiezione parlai con il regista e gli contestai la teoria dei due aerei uguali, chiarendogli che, avendo lavorato per 7 anni alla Snam di San Donato Milanese, dal 1966 al 1972, avrei dovuto almeno sentirne parlare, e invece la cosa mi risultava assolutamente nuova. Ma Bredenbrock insistette sul fatto che c’erano due aerei”.

Accorinti ribatte che i documenti di vendita con la firma di Cefis come presidente della Snam potevano essere frutto di un fotomontaggio, e lo stesso poteva essere accaduto per le due note di rifornimento di carburante dal deposito Agip di Catania, ma il regista si disse assolutamente convinto.

E così, tornato a casa chiamai subito l’ing. Enzo Barbaglia, alto dirigente della Snam, il quale mi confermò entrambe le ricostruzioni del film, precisando che la firma del presidente Cefis nell’atto di vendita dell’aereo, essendo un bene registrato e come tale facendo parte del patrimonio Snam, non poteva essere dismesso secondo le normali procedure della società e serviva quindi la firma del presidente.

Questa storia dei due aerei, scoperta quasi 40 anni dopo la tragica scomparsa di Mattei mi causò turbamento perché di questo secondo aereo non c’è traccia alcuna né nell’indagine ministeriale né in quella della magistratura di 30 anni prima”.

Giorgio Bocca ricorda che alla notizia della morte di Mattei nella redazione de Il Giorno, proprietà dell’ENI, dove lui lavorava, cadde un grande silenzio e non si sviluppò una azione di inchiesta giornalistica sulla morte, proprio perché la responsabilità era passata a Cefis, ( rientrato dopo esser stato allontanato da Mattei nel gennaio 1962, dopo la fine di Mattei era vice presidente ma in realtà vero padrone dell’ENI) . Per Bocca un personaggio solitario, senza amici, maniaco della segretezza e della prudenza nei colloqui riservati. Un fare da agente segreto.

Prof. Perrone :

L’ENI era piena di gente che proveniva dai servizi segreti italiani. Mattei pensava così di tenerli sotto controllo, di poterli utilizzare per i suoi fini, non si rendeva conto del pericolo che rappresentavano. Non si può provare la mano dei Servizi segreti nell’attentato, però è evidente che i Servizi Segreti italiani, soprattutto, hanno molto contribuito a rendere impossibili e ad insabbiare le indagini; i documenti venivano fatti sparire, testimoni furono intimiditi”.

Vediamo Dancan McHale, figlio del giornalista ucciso con Mattei nell’esplosione dell’aereo, mentre si reca negli uffici della rivista Time&Life Magazine a New York, dove stranamente non esiste quasi nulla sul lavoro di suo padre, benchè fosse stato previsto di dedicare alla storia di Mattei un articolo su Time con tanto di copertina. In un articolo del Time della fine del 1962 sotto una fotografia di Enrico Mattei si legge: “la fortuna lo ha abbandonato”. McHale afferma che dopo il 1962 non furono date più informazioni su questo caso e che il governo americano rifiuta di rendere noto un documento del 1962 che potrebbe chiarire la parte avuta dagli americani nel caso Mattei. Le loro manovre sono celate negli archivi della Sicurezza Nazionale di Washington.

Le parole di Dancan McHale:

Ho chiesto informazioni all’Interpol, al Consiglio Nazionale di Sicurezza, al Dipartimento di Stato. Alla Cia mi hanno risposto: vediamo un po’ cosa abbiamo su suo padre, invece a proposito di Mattei sono stati evasivi, ambigui, senza confermare o smentire di avere documenti.

William Ferroggiaro, National Security Archive, Washington.

La questione non riguarda il contenuto dei documenti, per i servizi segreti il solo fatto di ammettere di essersi occupati di una persona significa già tradire il segreto. Hanno paura ad ammetterlo e non vogliono, soprattutto se sono coinvolti i servizi segreti alleati. Non cambia nulla se sono servizi amici, queste relazioni vanno sempre protette”.

Intervista a Giorgio Galli, politologo e uno dei massimi studiosi della vita politica nazionale, che ricorda che l’adesione alla Nato è sancita dai parlamenti delle nazioni, prevedendo una stretta collaborazione degli stati maggiori della difesa e dei servizi segreti

Esisteva un piano Prometeo, che doveva essere fatto in accordo con gli alti gradi dell’esercito se ci fosse stato il rischio dell’abbandono della Nato da parte della Grecia. Può essere esempio dell’azione di alcuni gruppi e personalità italiane che abbiano colto l’occasione internazionale di un progetto anti Mattei per utilizzarlo per proprio conto e per i propri fini”.

In un filmato di repertorio si vede Amintore Fanfani, allora presidente del Consiglio dei Ministri, durante una visita ufficiale a Washington, l’incontro con J.F. Kennedy nel febbraio 1963, e si ricorda che in origine era previsto un viaggio a Washington di Mattei nel novembre 1962.

Viene ricordato che Fanfani dichiarò nel 1986

Forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei, fu il primo atto terroristico del nostro paese, il primo atto della piaga che ci perseguita”.

Il documentario si conclude con i molti interrogativi ancora irrisolti.

Procediamo ora con le parole del giudice Vincenzo Calia.

Il processo sull’omicidio Mattei

L’indagine del Magistrato Vincenzo Calia

Il processo sull’omicidio Matteiè il titolo del contributo del magistrato Vincenzo Calia nel libro Enrico Mattei e l’intelligence,è lo scritto più recente del magistrato che molto efficacemente ci accompagna a capire lo sviluppo delle indagini e lo svelamento dei depistaggi e delle omissioni della precedente inchiesta del 1966.

Si inizia quando

nel giugno 1994 la procura di Caltanissetta trasmise alla procura di Pavia il breve verbale delle dichiarazioni di un pentito di mafia, tale Gaetano Ianni, che raccontava di aver saputo che nel 1962 Enrico Mattei era stato ucciso con una bomba piazzata sul suo aereo, per un accordo tra Cosa Nostra e gli americani. Tali dichiarazioni, molto generiche, erano state inviate per competenza ai fini di una eventuale riapertura delle indagini, poiché l’aereo di Mattei era caduto a Bascapé, non lontano da Pavia.”

Come dichiarato in altre occasioni, Vincenzo Calia avvia una nuova indagine con scetticismo: si tratta di fatti avvenuti oltre 30 anni prima ed era ormai assodata la versione della prima inchiesta che si concluse con la certezza dell’incidente aereo dovuto a cause accidentali, una inchiesta giudiziaria nella quale i periti accettavano le conclusioni della precedente inchiesta ministeriale.

Il magistrato rileva che nella relazione dei commissari nominati dal Ministero della Difesa relativa all’esame dei rottami dell’aereo e dello stato interno dei reattori, sia stata ipotizzata la presenza di una bomba a bordo, elemento non presente nella relazione finale della commissione.

Le conclusioni della perizia sono invece rintracciate da Calia in una pubblicazione dell’Officina Riparazioni Motori di Novara, l’8° reparto dell’Aeronautica Militare, dove erano stati esaminati i rottami prima di essere riportati a Linate. Nella pubblicazione si ricorda l’esito degli accertamenti svolti nel novembre 1962 presso il locale prove motori dell’ORM, al quale parteciparono due ufficiali dell’Aeronautica militare e un ingegnere della Turboméca, la società francese che aveva costruito i reattori del Morane-Saulnier MS.760 Paris II.

Nello stesso opuscolo si legge, inoltre, che le indagini poterono stabilire che i motori funzionavano ‘sino al momento dell’impatto: fango e acqua furono trovati anche nelle pompe del carburante, a riprova che queste ultime hanno sempre funzionato’ e che ‘fu trovato dall’esperto francese, un elemento di comando con tracce di fusione”.

Si sottolinea che di questa ipotesi di sabotaggio, senza alternative, formulata dal reparto tecnico dell’Aeronautica Militare non si trova traccia nella relazione della commissione ministeriale e nei successivi atti del procedimento penale, e questo nonostante la presenza del Colonnello Cappucci sia durante la perizia a Novara sia come componente della commissione ministeriale.

Un elemento che coincide con le testimonianze del contadino Mario Ronchi e della contadina Margherita Maroni.

L’intervento del giudice Calia al terzo incontro dell’iniziativa “Maratona Mattei per sempre” organizzato da ANPC a San Donato Milanese il 4 dicembre 2022.

L’intervento del Dott. Calia al link Maratona Mattei San Donato Milanese 4-12-2022 – YouTube a 1 h, 27 min . Riporto la trascrizione dei passi essenziali, perché le parole del Dott. Calia sono una testimonianza molto interessante di una indagine condotta con grande scrupolo e perizia. Alcuni concetti sono già espressi da Calia nel suo scritto del 2022 nel paragrafo precedente e nel suo libro del 2017, ma penso sia utile rileggerli e ritrovarli nelle sue parole per una migliore focalizzazione.

Il Dott. Calia inizia ricordando le indagini relative alla morte di Enrico Mattei il 27 ottobre 1962, l’aereo precipitato pilotato da Irnerio Bertuzzi , pilota esperto, eroe della seconda guerra mondiale, decorato con due medaglie d’argento al valor militare, transitato prima nella compagnia di bandiera italiana e quindi assunto da Enrico Mattei alla SNAM, società che aveva al suo interno il gruppo aeromobile. Molto spesso accompagnava Mattei come pilota ufficiale nei suoi viaggi, Mattei si fidava molto di lui.

Furono svolte due indagini, la prima partita immediatamente la sera del 27 ottobre 1962 svolta da una commissione dell’Aeronautica Militare nominata dal Ministro della Difesa, Giulio Andreotti, il presidente del consiglio era Amintore Fanfani, ministro degli interni era Paolo Emilio Taviani. (…) La commissione di inchiesta chiuse gli accertamenti nel marzo 1963 escludendo l’ipotesi del sabotaggio, pur non essendo riuscita ad accertare la effettiva causa della caduta dell’aereo.

La seconda indagine svolta parallelamente si concluse tre anni più tardi , la Procura di Pavia recepì pressochè integralmente gli accertamenti della commissione di inchiesta, o meglio, i due periti nominati dalla procura di Pavia recepirono quasi integralmente le conclusioni e gli accertamenti della commissione militare . Quindi da quel momento la versione ufficiale è stata che Mattei era morto per un incidente, per sfortuna, anche se circolava la voce, e non solo all’interno dell’ENI, ma anche nella popolazione e in particolare all’estero, che Mattei fosse stato eliminato dolosamente, che l’aereo di Mattei fosse stato abbattuto.

A fine 1994 furono riprese nuove indagini sulla morte di Mattei, in particolare per accertare se un certo pentito , un certo Ianni, il cui verbale di dichiarazione era stato trasmesso da Caltanissetta a Pavia, avesse detto la verità: aveva detto che Cosa Nostra aveva eliminato Enrico Mattei, su richiesta delle compagnie petrolifere americane.

Una dichiarazione assolutamente generica, per sentito dire, che non consentiva degli accertamenti sulla sua affidabilità, se non sull’aspetto della eliminazione dolosa di Mattei. Con calma, perché la questione non era urgente perché erano passati oltre 30 anni dall’accaduto, iniziano gli accertamenti e devo dire con molto scetticismo, perché mi sembrava una sciocchezza, sapevo che la versione ufficiale era diversa e non conoscevo molto della questione.

Cosa feci: feci finta che Mattei fosse morto il giorno prima e mi posi nella situazione mentale del magistrato che deve iniziare le indagini su un fatto che si è verificato ieri. Acquisii tutto il materiale che era possibile acquisire, fotografie, libri, giornali, per cercare di capire di cosa si trattava, per vedere se in effetti Mattei fosse stato ucciso, perché solo in questo caso sarebbe stata giustificata la prosecuzione delle indagini per cercare di individuare gli autori di questo delitto, e non sapevo ancora se fosse stato un delitto o no.

Cominciai gli accertamenti, e l’esito di questa indagine nel 2003 fu l’acquisizione della prova che l’aereo di Mattei era stato abbattuto dolosamente. D’altro canto nell’ottobre del 1986, prima delle indagini che la Procura di pavia avviò, Amintore Fanfani, presidente del Consiglio nel 1962, in un congresso dell’ ANPC a Reggio Emilia, presente Paolo Emilio Taviani, disse testualmente:

Chissà, forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei più di venti anni fa è stato il primo gesto terroristico nel nostro paese, il primo atto della piaga che ci perseguita’ .

Analizzando la frase di Fanfani, che non era uno che parlava a vanvera, Fanfani dice l’aereo di Mattei fu abbattuto, non lo mette in forse, dice forse l’abbattimento dell’aereo di Enrico Mattei è stato il primo atto del terrorismo. Fa parte dello stesso ambiente che Fanfani riteneva fosse dietro il terrorismo, quindi, in sostanza, dice queste due cose. Per quello che oggi ci interessa già Fanfani aveva detto che l’aereo di Mattei fu abbattuto e che la morte di Mattei era un omicidio.

Nel modo più asciutto possibile compatibile con i tempi cercherò di dare conto delle prove di questo sabotaggio che sono state acquisite nel corso della inchiesta.

Parto da quelle che erano le vulgate più diffuse, forse dolosamente, circa l’episodio di Bescapé.

Già dal momento della caduta dell’aereo si erano attivati i servizi militari, non solo i servizi militari ma anche alcune persone all’interno dell’ente petrolifero di stato. Sta di fatto che i primi ad intervenire, prima dei Vigili del Fuoco che furono avvertiti due ore e mezza dopo, i primi ad intervenire furono i Servizi Segreti militari, forse aspettavano lì che cadesse l’aereo, e alcuni funzionari dell’ENI.

I punti della vulgata.

La prima, ripetuta in molti: la sera del 27 ottobre 1962 le condizioni meteorologiche su Linate erano proibitive, lasciando intendere che l’aereo possa essere caduto perché le condizioni erano avverse. Lo ha ripetuto sino alla fine anche Indro Montanelli. Le condizioni meteo non erano ottime, ma irrilevanti per il volo, come viene ripetuto dalla stessa torre di controllo. Come da prassi, vengono comunicate le condizioni meteo generali e in pista al pilota Bertuzzi due minuti prima di atterrare. Nello stesso momento in cui l’aereo scompariva dai radar secondo il bollettino le condizioni meteo erano “calma di vento, visibilità 900 metri, pioggia 4/8 di strati a 150 metri , 8/8 di strati a 180 metri, temperatura 9 gradi , visibilità in pista 1.400 metri”. Come dice il generale Francesco Biondo, che era nella commissione ministeriale di inchiesta, capo della segreteria tecnica del centro regionale traffico aereo di Linate: “Su Linate al momento dell’incidente, vi erano solo nubi stratificate che sono indifferenti per la condotta di volo”. Durante le indagini ho sentito anche altre testimonianze, come Alberto Secules che al momento era a Linate al comando di un Caravelle in attesa di decollare alla volta di Bruxelles: “Ricordo l’emergenza dell’aereo di Mattei I-SNAP; la situazione atmosferica era di normale pioggia alla padana, cioè una serata uggiosa senza temporale, che non creava situazioni critiche per il movimento aereo”, e lo stesso dice un altro comandante, Marcello D’Agostini, che era decollato da Roma per Linate e che era stato bloccato dalla torre insieme ad altri tre aerei perché c’era questa emergenza riguardante l’aereo di Mattei che non rispondeva alla Torre di controllo. Anche per lui la visibilità era discreta e non c’erano problemi per l’atterraggio a Linate.

Calia fa sentire un audio della conversazione tra la torre di controllo e il pilota Bertuzzi, sino a quando esplode la bomba, l’aereo diventa incontrollabile, uccidendo Mattei e Bertuzzi e anche forse il giornalista americano William McHale che conferma queste parole. Il giudice Calia ricorda di essere stato ufficiale dell’Aeronautica Militare Italiana e di essersi occupato anche dei protocolli informativi relativi alle condizioni metereologiche.

La seconda vulgata che si legge anche nella relazione della Commissione ministeriale di inchiesta, era che non vi erano testi della caduta dell’aereo. Si legge testualmente: “ Al momento dell’incidente a causa dell’ora inoltrata, le sette di sera, e delle cattive condizioni del tempo, pioggia, visibilità limitata nonché del carattere poco frequentato della località, non è stato possibile raccogliere testimonianze utili per la ricostruzione della fase finale del volo immediatamente precedente la caduta dell’aereo, e anche le dichiarazioni relative alla fase immediatamente seguente, sono di scarsa utilità. “

Più di 30 anni dopo abbiamo trovato 31 testi diretti della caduta dell’aereo e altrettanto testi indiretti, cioè persone che avevano ricevuto le confidenze di testimoni che erano stati impressionati da questa esplosione in alto e queste lucciole che cadevano.

L’unico teste che viene richiamato dalla Commissione ministeriale è tale Mario Ronchi, il quale conduceva una cascina a 300 metri dal luogo di caduta dell’aereo, e aveva dichiarato al cronista del telegiornale e al cronista del Corriere della Sera, di essersi trovato in casa in quel momento, di aver sentito un botto, di essersi affacciato, di aver visto il cielo illuminato e queste lucciole che venivano giù. Altrettanto aveva detto un’altra contadina, Margherita Maroni. Perché la Commissione cita solo questo testimone anche se ne esistevano tantissimi, che non erano necessariamente sul posto di caduta ma nelle cascine tutte intorno? Perché le dichiarazioni di Ronchi erano state pubblicate sul Corriere della Sera, e quindi non si potevano ignorare, ed erano andate in onda nel Telegiornale.

Sta di fatto che Ronchi, che è stato sentito dai Carabinieri dell’epoca e dal magistrato del 1962 e poi del 1963, cambia versione, dice che si trovava sul trattore a Bascapé, che stava rientrando con il trattore che faceva rumore, quindi non ha sentito nulla, è arrivato a casa e ha visto un falò in terra, si è avvicinato e si è accorto che era un aereo.

Ho acquisito all’inizio delle indagini le pellicole della Rai relative al telegiornale andato in onda quella sera, mi sono accorto che l’audio si interrompeva nel momento in cui Mario Ronchi stava indicando al cronista cosa aveva visto e cosa aveva sentito. L’audio torna e viene tagliato nuovamente in una seconda volta, probabilmente aveva riferito qualcosa di sensibile.

Ho cercato di rimediare a questa lacuna convocando una sordomuta e chiedendo di leggere le labbra di Mario Ronchi. Leggendo il labiale di Mario Ronchi mi sono accorto che le circostanze che riferiva erano le stesse pubblicate sul Corriere della Sera, (articolo del 28 ottobre 1962 a firma di Antonio di Bella) e quindi il giornalista non aveva inventato come detto da Mario Ronchi, ma aveva riferito le circostanze vere. Viene fatto vedere il filmato con la intervista a Mario Ronchi ( lo stesso spezzone che si vede nel documentario sopra citato della Televisione della Svizzera Italiana del 2001 e nel programma de La 7 -Atlantide del 26 ottobre 2022).

Hanno tagliato due pezzi dell’audio e per mantenere la sincronia tra audio e video hanno aggiunto spezzoni di nastro audio vuoti. Calia dice come arma di ricatto nei confronti di Eugenio Cefis, perché questo avveniva nell’epoca”.

Va ricordato che all’epoca il video e l’audio erano registrati uno su pellicola e l’altro su nastro, che durante la ripresa procedevano in sincronia: asportare parte del nastro audio comportava la necessità di rimpiazzare la parte mancante con uno spezzone non magnetizzato di pari estensione, in modo da mantenere la sintonia tra video ed audio.

Continua Calia ricordando che Ronchi, che aveva ritrattato le prime dichiarazioni davanti ai Carabinieri, confermando la sua tesi davanti al magistrato, ma 30 anni dopo davanti a lui aveva dichiarato che in quei giorni era stato prelevato da un’automobile scura e di essere stato portato alla SNAM a San Donato Milanese, dove era stato interrogato su quello che aveva visto.

Continua Calia:

Sta di fatto che dopo questo episodio lui ha mutato versione, non sappiamo cosa sia avvenuto, chi l’abbia accompagnato, se l’abbiano minacciato, sicuramente l’hanno indotto a mentire. Subito dopo Ronchi è stato assunto come guardiano dietro retribuzione dell’area dove è precipitato l’aereo, una attività puramente virtuale; la figlia è stata assunta in una società, la “Prode” che era di proprietà di Adolfo Cefis, il fratello di Eugenio. La cascina di Ronchi che non aveva una strada che fu poi costruita dalla SNAM, quindi una strada per un accesso più comodo alla Cascina Albaredo di Ronchi.

Un’altra vulgata che correva e che parte dalla relazione ministeriale e che, leggo testualmente:

dall’esame di ogni singolo frammento dei resti cadaverici, non è emerso alcun reperto che documenti lesioni che possano aver leso gli occupanti il velivolo prima che si fosse abbattuto al suolo. Non sono state trovate tracce di schegge o di altra natura conficcate nei resti cadaverici e interpretabili come proiettili primari o secondari”.

Ora premesso che ho sentito tutti i medici legali che si sono occupati dei poveri resti di Mattei e degli altri passeggeri dell’aereo, che erano peraltro dei frammenti, le parti più consistenti erano quella dalla cintura in giù, perché si sono interrate con l’aereo, le parti alte sono state fatte a pezzi e ritrovate sugli alberi. Ad esempio la mano di Mattei è stata trovata scuoiata, che è la tipica reazione del corpo umano ad una esplosione. Comunque ho sentito i medici legali, partendo dal primo il Prof. Michele Salvini di Pavia, responsabile dei servizi sanitari dell’ENI. Michele Salvini afferma:

non ci ponemmo il problema se l’incidente fosse stato determinato da un’esplosione, tale ipotesi non ci sfiorò neanche, l’autopsia si sostanziò nel riconoscimento e nell’attribuzione dei pezzi. Non ricordo che sia stata enunciata da taluno l’intenzione di verificare l’esistenza di eventuali residui di esplosione sulle parti anatomiche recuperate a Bascapé”.

Questa circostanza è confermata anche dal prof . Renato Garibaldi, dell’Istituto di Medicina Legale di Pavia, che dice:

non ci ponemmo il problema di accertare se l’incidente fosse stato determinato da un’esplosione tale ipotesi non ci sfiorò neanche”, ma ancora più incisivo è il Prof. Tiziano Formaggio, Direttore dell’istituto di Medicina Legale di Pavia, che dice:

mi si pose il quesito se le lesioni fossero determinate dall’esplosione dell’aereo in volo, dall’impatto del velivolo con il suolo o dalla deflagrazione di un ordigno a bordo. Per la verità non fu effettuato alcun accertamento. Si dava da tutti per pacifico che l’aereo era precipitato per un guasto meccanico. D’altro canto molta della gente presente ci metteva fretta perché definissimo subito la cosa e inoltre ricordo di non avere notato da parte di nessuno alcun reale interessamento all’approfondimento degli esami medico legali. Le ribadisco anzi che al momento delle indagini autoptiche nessuno aveva palesato il sospetto che la caduta del velivolo potesse essere attribuita ad una esplosione. Ci limitammo in sostanza ad un esame diretto dei resti che ci avevano sottoposto e all’attribuzione dei medesimi. Ricordo inoltre che i resti umani ci furono portati già detersi dal fango e quindi anche da eventuali sostanze chimiche presenti sui tessuti umani “.

Altri testi mi hanno riferito che anche pezzi dell’aereo furono lavati con soda caustica. Se si leggono quali sono le norme dell’ICAO, organizzazione ONU che si occupa di stabilire le regole per le inchieste aeronautiche, una cosa che si ripete sempre è che i resti devono essere tenuti così come sono e non va tolto nulla, fango od altro, perché si perderebbero le tracce di eventuali esplosioni. Aggiungo ancora che la Commissione di inchiesta nella relazione afferma di voler perseguire rigorosamente la normativa ICAO .

Ma per quanto riguarda la relazione della Commissione sulla mancanza di frammenti metallici nei resti umani, per prima cosa non furono svolti accertamenti, ma la prova di questa mancanza di accertamenti la si trae dalla circostanza che quando negli anni ’90 abbiamo riaperto le indagini a Pavia, abbiamo anche riesumato i resti umani dei passeggeri.

In una delle bare c’erano tre gambe, questi resti sono stati trasmessi all’Istituto di Medicina Legale di Torino, allora diretto dal Prof. Carlo Torre, che li aveva sottoposti a radiografia, ponendoli su una rete, evidenziando tutti i frammenti metallici che erano invece infissi nelle ossa e anche nelle parti molli perché i frammenti erano nella bara. Ed erano delle parti metalliche di tipo aeronautico, composti dalla lega che si usa negli aerei. Questi frammenti sono stati quindi recuperati e analizzati dal Politecnico di Torino, dal Direttore prof. Donato Firrao, che ha sottoposto questi frammenti metallici trovati nei resti umani ma anche le poche cose che sono riusciti a recuperare e che erano senz’altro all’interno della carlinga: l’anello che Mattei indossava alla mano sinistra, l’orologio che indossava al braccio sinistro, e uno strumento, l’indicatore triplo, che era sul cruscotto dell’aereo nella parte sinistra.

Ora all’esito di questi accertamenti il prof. Firrao ha risposto ai miei quesiti in maniera di assoluta certezza, mi ha detto che tutti i frammenti che gli sono stati sottoposti per l’esame e che erano senz’altro contenuti all’interno della carlinga, presentavano delle alterazioni della struttura molecolare che sono tipiche degli slittamenti interni, che sono tipici dei metalli sottoposti ad una esplosione, e mi aveva spiegato con un esempio questo tipo di alterazione strutturale dei metalli: avviene come si si prendesse una scatola di scarpe, la si riempisse di uova, e la si buttasse per terra: all’esterno non si vede nulla, la scatola rimane integra, ma le uova sono tutte rotte.

Aggiungo che sulle parti metalliche non all’interno della carlinga, queste alterazioni non sono state rilevate. Ma ancora, su un aereo gemello costruito a distanza di un mese da quello di Mattei, e che era a Nizza di proprietà dell’industriale Oronzio De Nora, messo a disposizione per gli accertamenti necessari, sono state prese le parti metalliche uguali e sono state sottoposte agli stessi accertamenti svolti sui frammenti recuperati dall’areo di Mattei. Su questi pezzi di un aereo gemello queste alterazioni non erano presenti. Il prof. Firrao è lo stesso che ha svolto accertamenti sulle parti metalliche del bagno dell’aereo DC 9 Itavia (quello caduto a Ustica il 27 giugno 1980) per accertare se una bomba era esplosa in quell’ambito. Con gli stessi accertamenti ha escluso che una bomba fosse esplosa all’interno del bagno dell’aereo caduto ad Ustica.

Ma valutando il tipo di alterazione e confrontandola con gli accertamenti sperimentali svolti dalla Comsubin (Comando Raggruppamento Subacquei e Incursori), gli esperti di esplosivo della Marina Militare di stanza a La Spezia, svolti analogamente a quelli per l’Itavia, il prof. Firrao ha calcolato che la bomba doveva essere stata sistemata a circa 15 centimetri dalla mano sinistra di Mattei.

La cabina dell’aereo ISNAP Morane Saulniere era come una Fiat 500, piccolo con quattro posti: i due anteriori occupati a sinistra da Irnerio Bertuzzi e a destra da Mattei, dietro William McHale e i suoi bagagli. Facendo queste misurazioni di tipo ipotetico sperimentale si è calcolato che molto probabilmente l’esplosivo era stato sistemato dietro il cruscotto, che è facilmente accessibile dall’esterno tramite uno sportello ovale non chiuso a chiave, lo si apre con assoluta facilità, e da questo sportellino si accede facilmente all’impianto elettrico del cruscotto. Calcolando il grado di apertura dei pistoni che comandano l’apertura del carrello, e considerando che il comando di apertura del carrello di atterraggio era su posizione “chiuso” mentre i pistoncini presentavano una impercettibile apertura, in particolare il pistoncino di destra.

Si è potuto ipotizzare il momento del probabile innesco di questo esplosivo, confrontando le registrazioni della conversazione del pilota con la torre di controllo, con il momento in cui è avvenuta l’esplosione. L’arresto dei contatti radio coincide con la fase di apertura del carrello che precede l’atterraggio, e si è potuto calcolare che probabilmente l’innesco è stato dato dal comando di apertura del carrello. Da quel momento l’aereo è precipitato, non immediatamente, ma ha fatto ancora qualche giro, come riferiscono molti testimoni di Bascapé e di paesi vicini, è stato visto girare per qualche minuto un aereo molto basso che emetteva un rumore stranissimo, ai quei giri è seguita l’esplosione. L’aereo era stato reso ingovernabile, probabilmente il pilota era morto e nessuno poteva dirigere il velivolo.

Ancora una ulteriore falsità che si legge nella consulenza della commissione ministeriale di inchiesta è che gli accertamenti tecnici dell’epoca esclusero l’attentato. E’ falso, la commissione di inchiesta prese i due motori dell’aereo che erano stati recuperati e che hanno funzionato sino alla caduta, perché al loro interno avevano terriccio, quindi vuol dire che la turbina girava ancora. I motori furono affidati all’8° Reparto dell’Aeronautica Militare, l’Officina Riparazione Motori di Novara, reparto che si occupava della verifica dei motori degli aerei. Nella officina fu costituita una subcommissione della commissione di inchiesta che vedeva la presenza di uno dei militari, il Colonnello Isidoro Cappucci, che era stato distaccato a Novara per seguire questi accertamenti, insieme a tecnici dell’Officina Riparazione Motori. Sta di fatto che la commissione non evidenziò nulla che potesse sostenere l’ipotesi dell’attentato, ma anzi gli accertamenti tecnici, scrive la commissione, “ esclusero l’ipotesi di un attentato”.

Ho recuperato casualmente un opuscolo dell’8° Reparto Gruppo Manutenzione Motori di Novara, di cui ho fotocopia, che fu pubblicato anni dopo per celebrare il reparto nel decennale dalla fondazione, e per ogni anno di funzionamento del reparto venivano indicate le attività principali che il reparto aveva svolto. Arrivati all’anno 1962 si dice che “avevano lavorato nel reparto per la commissione di inchiesta ministeriale al fine di accertare le cause dell’incidente al velivolo di Enrico Mattei”. Questa commissione era formata dal Colonnello Cappucci e da altre persone. Nell’opuscolo si legge che

fra le molte ipotesi avanzate le due più considerate furono l’altimetro manomesso e una bomba a bordo”.

Cioè le due uniche ipotesi, quelle più considerate formulate dal reparto dell’Aereonautica Militare incaricato dalla commissione di inchiesta, furono soltanto in chiave di sabotaggio.

Di questo, la commissione di inchiesta, pur avendo avuto in questa subcommisione uno dei suoi componenti, non ne ha fatto cenno, anzi ha escluso la possibilità di sabotaggio.

Esistono molte altre dichiarazioni di testimoni viventi della commissione, di fatto la commissione non si riuniva mai, non partecipava quasi nessuno, i più dichiararono che “mi hanno chiamato per mettere una firma sul foglio finale”. I lavori della commissione in sostanza erano svolti dalle strutture all’interno del Comando Generale dell’Aeronautica Militare e dal presidente della Commissione, il Generale Enrico Savi.

Posso dire che a conclusione degli accertamenti dell’inchiesta e in chiave di certezza, così si espresso non solo il prof. Firrao ma anche altri periti e consulenti tecnici incaricati dalla procura di Pavia, in chiave di certezza è provato l’avvenuto sabotaggio dell’aereo: Mattei è stato ucciso. E’ vero che c’è ancora qualcuno che negli anni e anche oggi lo nega, lo mette in dubbio, ma ci sono anche i terrapiattisti che hanno diritto di dire quello che vogliono, con l’unica differenza che probabilmente i terrapiattisti sono in buona fede, questi non sono in buona fede, perché non è possibile negare questi fatti”.

La Presidente dell’ANPC Maria Pia Garavaglia, che presiedeva l’incontro, nel ringraziare il Dott. Calia per il suo fondamentale lavoro di indagine che

restituisce l’onore a chi è stato partigiano per sempre, perché chi lavorava per il proprio paese in quei termini era ancora partigiano in servizio, senza le armi ma è stato vittima di armi diverse (…) Lei ha fatto un lavoro di servizio al sistema democratico che esige la verità. I sistemi democratici esigono la verità, e speriamo di aver imparato la lezione”.

La testimonianza di Giovanni Galloni

In questo articolo si fa riferimento alle ricerche del prof. Claudio Moffa, dell’Università di Teramo, sulla scomparsa di Mattei e viene riportata la testimonianza di Giovanni Galloni che ricorda come in quei giorni un esponente dei servizi segreti, il Colonnello Allavena del Sifar, gli avesse chiesto di intervenire su un conoscente, l’ing. Miramonti, affinchè non continuasse a sostenere che Mattei era morto per un attentato. Ecco le parole di Giovanni Galloni riportate nell’articolo on line.

Due giorni dopo la morte di Mattei, mi telefonò all’Ufficio legale dell’Ente Maremma, dove allora ero impiegato, il Colonnello Allavena del SIFAR. Allavena mi chiese un appuntamento e quando lo ricevetti e gli chiesi che cosa voleva da me, lui mi rispose:

«Guardi, a me risulta che lei è molto amico dell’ ingegnere Ripamonti di Milano, e la pregherei di dirgli di non continuare a sostenere la tesi che Mattei è stato ucciso per un attentato, perché questo non risponde a verità. Siamo infatti sicuri che l’aereo sia caduto a causa di un incidente».

La sera stessa vidi Ripamonti e gli riferii quanto aveva detto Allavena. Ripamonti se ne meravigliò moltissimo, e mi disse:

«E’ vero, venendo in aereo da Milano a Roma ne ho parlato con un vicino di posto, esprimendo i miei dubbi sulla tesi dell’incidente. Non riesco però a capire come i Servizi Segreti siano già venuti a conoscenza di questo fatto». «Io sono arrivato alla conclusione dell’attentato» – mi disse ancora – «per una deduzione logica, perché ho conosciuto bene il pilota di Mattei: un pilota eccezionalmente bravo. Conoscevo anche bene l’aereo di Mattei, e so che gli incidenti agli aerei si possono provocare con degli attentati, manovrando gli altimetri. Se c’è stato un sabotaggio, è stato fatto attraverso la manomissione degli altimetri. Prendo atto, tuttavia, di quanto dice il Dirigente dei Servizi Segreti».

È da notare che il colonnello Allavena sarebbe poi stato accusato di far parte dei Servizi Segreti deviati: perciò quello che mi è sempre rimasto in mente è come, a due giorni dalla morte di Mattei, i Servizi Segreti fossero già all’opera per impedire in tutti i modi che si diffondesse la voce che Mattei era stato ucciso”.

Il processo per l’omicidio del giornalista Mauro De Mauro conferma le conclusioni dell’inchiesta di Calia.

Nel citato saggio Il processo sull’omicidio Mattei (2022), e nel libro Il caso Mattei (2017), il giudice Calia ricorda che la sua indagine fu ripercorsa dalla Corte d’assise di Palermo nel processo per la scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, processo chiusosi con sentenza del 10 giugno 2011. Alla Corte di Palermo erano stati inviati per competenza nel 2003 gli atti delle indagini incidentali svolte dalla Procura di Pavia.

La Corte di Palermo aveva convocato e riascoltato tutti i testi e i consulenti sentiti nell’inchiesta di Calia, aveva acquisito copia di tutti i documenti per accertare in modo diretto le cause della tragedia aerea a Bascapè, ritenendo che tale nuovo accertamento fosse pregiudiziale relativamente al processo sulla morte del giornalista De Mauro.

Come riportato da Calia, dopo una scrupolosa e approfondita istruttoria dibattimentale, la Corte d’assise di Palermo scrive:

data (…) per acclarata, a onta del tempo trascorso dalla consumazione del delitto, la natura dolosa delle cause che determinarono la caduta dell’I-SNAP, (…) la conclusione rassegnata dalla Procura pavese (…) è pienamente condivisibile, in quanto suffragata da un compendio davvero imponente di prove testimoniali, documentali e tecnico scientifiche. Le prime, in particolare formano un reticolo serrato che supporta e corrobora l’esito, già in sé inequivocabile, degli accertamenti tecnici espletati su quattro diversi versanti, (…) analisi chimiche per la ricerca di tracce di esplosivo, indagini metallografiche e frattografiche e analisi microchimiche dei campioni metallici (nonché) indagini di tipo necroscopico (…) consentendo così di dare finalmente una risposta congrua ed esauriente ai tanti nodi lasciati irrisolti dalle pregresse inchieste”.

E la Corte termina affermando che questa “è la conclusione che ci sentiamo di rassegnare, anche al fine di evitare che l’ultima parola sulla tragica fine del presidente dell’ENI, scritta dalla magistratura italiana, sia quella assai opinabile del decreto di archiviazione del 17 marzo 2004 (…) con il quale il G.I.P. adito ha accolto la richiesta del pubblico ministero di archiviazione del procedimento(…).”

Le conclusioni a cui fa riferimento la Corte d’assise di Palermo sono nella Richiesta del pubblico ministero nel procedimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia n. 181/194 Mod 44, 20 febbraio 2003, nelle quali si legge alle pagg. 426-429.

Le prove orali, documentali e logiche raccolte (tra le quali non vanno trascurate quelle acquisite indagando incidentalmente sulla scomparsa di Mauro De Mauro), pur avendo consentito di delineare il contesto all’interno del quale maturò il delitto, non permettono l’individuazione degli esecutori materiali né, per quanto concerne i mandanti, possono condurre oltre i sospetti e le illazioni (pur intensi e plausibili), di per sé inadeguati non soltanto a sostenere richieste di rinvio a giudizio, ma anche a giustificare l’iscrizione di singoli nominativi sul registro degli indagati o a protrarre ulteriormente le investigazioni (…).”

E il giudice Calia ricorda che:

Un decreto di archiviazione, ad ogni modo, al di là della sua motivazione, non acquista mai rango formale di cosa giudicata, acquisito invece dalla sentenza della Corte d’assise di Palermo, confermata dalla Corte d’assise d’appello della stessa città e, definitivamente, il 4 giugno 2015 dalla Corte di Cassazione”.

Per chi fosse interessato a leggere le 426 pagine della Richiesta del pubblico ministero nel procedimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia n. 181/194 Mod 44, 20 febbraio 2003, di seguito il link per scaricare il PDF.

Relativamente all’omicidio del giornalista Mauro De Mauro, in 2.199 pagine i giudici della prima sezione della Corte d’assise di Palermo ricostruirono così l’omicidio del giornalista Mauro De Mauro, sequestrato da Cosa nostra il 16 settembre 1970 e mai più tornato a casa:

“La causa scatenante della decisione di procedere senza indugio al sequestro e all’uccisione di Mauro De Mauro fu costituita dal pericolo incombente che egli stesse per divulgare quanto aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell’incidente aereo di Bascapè, violando un segreto fino ad allora rimasto impenetrabile e così mettendo a repentaglio l’impunità degli influenti personaggi che avevano ordito il complotto ai danni di Enrico Mattei, oltre a innescare una serie di effetti a catena di devastante impatto sugli equilibri politici e sull’immagine stessa delle istituzioni”.

Pur assolvendo l’unico imputato, Totò Riina, il collegio presieduto da Giancarlo Trizzino, a latere Angelo Pellino (estensore della motivazione), ricostruisce il contesto in cui il giornalista del quotidiano “L’Ora” fu eliminato per la sua inchiesta sulla morte del presidente Mattei:
La natura e il livello degli interessi in gioco -scrive il giudice Pellinorilancia l’ipotesi che gli occulti mandanti del delitto debbano ricercarsi in quegli ambienti politico-affaristico-mafiosi su cui già puntava il dito il professor Tullio De Mauro (fratello del giornalista) nel 1970. E fa presumere che di mandanti si tratti e non di una sola mente criminale. Non per questo deve escludersi qualsiasi responsabilità di elementi appartenenti a Cosa Nostra, stante il livello di compenetrazione all’epoca esistente e i rapporti di mutuo scambio di favori e protezione tra l’organizzazione mafiosa e uomini delle istituzioni ai più disparati livelli”.

Un presunto passato “fascista” di Mattei I documenti recentemente desegretati dal National Archives di Washington

L’articolo di Paolo Mastrolilli su la Repubblica del 17 dicembre 2022

Mattei visto dalla Cia -Era fascista: pagò la DC per fingersi partigiano”,così titolaval’articolo del corrispondente da New York di La Repubblica il 18 dicembre scorso.

Illazioni e falsità sul presidente dell’ENI che sono emerse dagli atti desegretati dai National Archives di Washington che hanno recentemente pubblicato 13.173 articoli finora segreti sull’assassinio di J.F.Kennedy, seguendo una ordinanza del 1992 per la trasparenza del John F. Kennedy Assasination Collection Act.

Tra questi documenti sei riguardano l’Italia, e in particolare un rapporto di Lester Simpson, il capo della Cia a Roma, inviato l’11 agosto 1955 alla sede centrale della Cia e intitolato “ U.S. Embassy and Italian Petroleum Industry” , che analizza la situazione politica italiana e individua come una delle motivazioni della ostilità di Enrico Mattei verso la politica petrolifera americana il fatto che negli anni della Resistenza

Mattei stesso era un fascista fino al 1945. Aveva iniziato a lavorare nella resistenza dopo l’8 settembre, facendo però attenzione a mantenere i rapporti con i tedeschi. Come parte di questo processo, sua moglie era diventata l’amante di un capitano austriaco che era un ufficiale molto importante delle SD-Sicherheitsdienst (il servizio di controspionaggio delle SS) “

E nel rapporto si dice

Quando era diventato chiaro che la vittoria degli alleati era certa, Mattei aveva pagato cinque milioni di lire ad un leader partigiano della DC, per ottenere il grado di generale della Resistenza nel CLN. La sua nomina era stata approvata dal generale Cadorna e dal colonnello Argenton, ora braccio destro di Mattei”.

Questo documento è riportato nell’articolo, che cita anche un documento del 13 giugno 1961, nel quale la Cia ritorna ad interessarsi di Mattei, 12 pagine nella National Intelligence Estimate intitolate “ The Outlook for Italy”:

L’ENI guidato da Enrico Mattei, è diventato uno stato nello stato” e il rapporto prosegue ”Il monopolio che esercita nel settore petrolifero probabilmente continuerà a provocare frizioni fra Italia e Stati Uniti” a causa degli investimenti nel mondo arabo e i crescenti scambi con l’URSS.

Il rapporto di Simpson non porta documenti a supporto e alimenta falsità in un clima di intrighi e disinformazione tipica dei servizi di intelligence. Tali e tanti sono i documenti, le testimonianze e la verità storica inoppugnabile sulla azione di Enrico Mattei come partigiano, come uno dei dirigenti principali del Corpo Volontari della Libertà di cui era comandante il generale Raffaele Cadorna. Mattei svolse un ruolo importante come organizzatore della componente combattente cristiana dei partigiani, portò il numero dei combattenti partigiani di ispirazione cristiana da meno di 2 .000 a inizio 1944 a oltre 80.000 a fine conflitto, nel marzo ’45 successe a Fermo Solari nella Tesoreria e nell’Amministrazione dei fondi del Corpo Volontari della Libertà.

Fu arrestato due volte, ma riuscì a fuggire scampando così alla fucilazione, fu uno dei capi che sfilarono alla testa del corteo dei partigiani vittoriosi a Milano il 6 maggio 1945, insieme a Giovan Battista Stucchi (Partito Socialista Italiano), Ferruccio Parri (Partito d’Azione), Raffaele Cadorna (comandante CVL, monarchico), Luigi Longo ( Partito Comunista Italiano), Mario Argenton (Partito Liberale Italiano), Fermo Solari (vice comandante Corpo Volontari della Libertà, Partito d’Azione).

Tra i molti riconoscimenti ricevuti, il 3 ottobre 1945 fu decorato con la Bronze Star Medal dal Comandante in capo delle forze alleate in Italia, generale Mark Clark. Nella motivazione c’era scritto: “Dimostrando sorprendente abilità e talento, unitamente a grande lealtà ed eroismo nell’effettuare il piano dei comandi alleati, egli utilizzò i mezzi a sua disposizione a favore delle forze alleate”.

Parate partigiane del 6 maggio 1945 vertici del CLNAI [Fonte Istituto Nazionale Ferruccio Parri – Milano Libera] Mattei è il secondo da destra

Ma quello che può essere interessante è leggere quel rapporto di Simpson alla luce di quanto accadde il 27 ottobre del 1962 con l’esplosione in volo dell’aereo di Mattei, e della preoccupazione dell’amministrazione statunitense nei confronti dell’operato di Mattei, ma anche di una parte della politica italiana, che sembrava imboccare una strada neoatlantica e di attenzione verso la decolonizzazione e verso i paesi non allineati, al culmine della contrapposizione economica e militare tra blocchi che si ebbe proprio nella crisi dei missili di Cuba nell’ottobre 1962 che si concluse il 28 ottobre 1962.

Ritornando all’articolo sui documenti statunitensi recentemente desegretati. Mastrolilli riporta altri brani del rapporto del 1955 sulla situazione politica italiana, che sembrano avere supporto di testimonianze e documentazioni verificabili.

Scrive Simpson nel rapporto:

La grande maggioranza delle compagnie petrolifere italiane, che fino al IV World Petroleum Congress si opponevano all’ENI, ora presentano un fronte unito con Enrico Mattei, nella sua opposizione allo sfruttamento dei depositi italiani da parte degli interessi americani (…) Questa nuova situazione è il risultato di informazioni confidenziali e consigli forniti ai gruppi petroliferi italiani e a Mattei stesso da Remigio Danilo Grillo. Grillo, vice direttore generale per gli Affari politici al Ministero degli esteri italiano, è un ex squadrista e cagnolino di Galeazzo Ciano, grazie alla cui influenza ha fatto carriera”.

Il giornalista evidenzia che Simpson avverte la pericolosità del complotto antiamericano:

Quando a Roma si è saputo che la signora Luce sarebbe stata nominata ambasciatrice in Italia, un incontro segreto era stato tenuto nella casa di Junio Valerio Borghese per ideare come agganciarla”.

In quegli anni l’ambasciata Usa in Italia era un feudo conservatore che sosteneva l’azione delle compagnie statunitensi “che erano determinate ad assorbire tutta la produzione italiana, e hanno mandato rappresentanti per sondare le personalità del settore con proposte di acquisto”. Tra questi il presidente dell’API, Peretti, che informa il dirigente del Ministero dell’Industria Lo Monaco, che a sua volta informa Mattei.

Riporta Mastrolilli che, secondo il rapporto, l’attivismo della ambasciatrice Luce a favore delle compagnie americane sembra rallentare dopo la caduta del governo Scelba, ma i suoi collaboratori continuano a lavorare con il suo successore Segni.

Scrive Simpson:

L’attitudine dei circoli del settore petrolifero italiano, informati di queste presunte manovre USA, è ostile. Loro sanno che gli americani hanno sostenuto finanziariamente la destra nelle recenti elezioni siciliane, e temono che attraverso l’ampio uso di finanziamenti riescano a demolire le resistenze italiane”.

Ma queste accuse di vecchie connivenze con il fascismo non sono nuove. Ricordo che il clima di disinformazione, intrighi e giochi di ombre che aleggiava intorno a Mattei è testimoniato anche da una lettera , datata Dusseldorf 19 gennaio 1960, che Hjalmar Schacht inviò a Mattei per avvertirlo di una campagna diffamatoria orchestrata contro di lui da circoli americani per distruggerne la reputazione e provocarne le dimissioni. La lettera si trova nell’archivio storico ENI ed è citata a pag. 468 nel libro L’Italia nel petrolio-Mattei, Cefis, Pasolini e il sogno dell’indipendenza energetica di Giuseppe Oddo e Riccardo Antoniani, Feltrinelli 2022 .

Hjalmar Schacht era stato ministro dell’Economia e banchiere centrale della Germania nazista. Assolto al processo di Norimberga, aveva fondato una banca d’affari che operava come consulente di capi di Stato e imprese, tra le quali l’ENI, per cui curava, tra gli altri, i rapporti internazionali anche con Germania e Svizzera per l’oleodotto Genova-Ingolstadt.

Scriveva il banchiere tedesco al presidente dell’ENI nel 1960:

prossimamente gli americani lanceranno contro di lei attacchi pubblici, con lo scopo di ottenere il suo crollo…Gli attacchi vengono allacciati al suo passato politico”. L’accusa contro Mattei era che “avrebbe raggiunto la direzione dell’ENI solo dopo che un fascista, da lei espressamente liberato dalla prigionia, dovette esserle messo accanto come esperto da Gronchi. Gronchi avrebbe attribuito a lei, non esperto, la direzione dell’ENI, soltanto alla condizione che lei lasciasse il comando effettivo ad un esperto…i suoi amici partigiani gliene portano ancora rancore per averlo liberato. Con questa liberazione, sempre secondo il racconto americano, ella avrebbe potuto aprirsi una strada non pulita”.

Nel libro si riporta che la risposta di Mattei a Schacht fu che quella persona da lui scelta era un ex-partigiano scelto liberamente come collaboratore e che questi, quando la guerra era scoppiata, aveva solo 18 anni.

Mi avvio verso la conclusione di questa parte dedicata all’articolo pubblicato da la Repubblica proponendo le frasi finali della lettera di Mariapia Garavaglia, Presidente dell’ANPC – Associazione Nazionale Partigiani Cristiani e pubblicata da la Repubblica il 21 dicembre 2022. Ricordo che Enrico Mattei fu il fondatore e il primo presidente della ANPC nel marzo 1947 a Milano.

Dice Maria Pia Garavaglia:

(…) Le carte citate farebbero parte di un nucleo documentario legato all’assassinio di J.F. Kennedy, avvenuto il 22 novembre 1963 (13 mesi dopo la morte di Mattei). Un evento-quello del presidente della Nuova Frontiera-che, fin dall’epoca dei fatti, è stato occasione di depistaggi, occultamento di prove, costruzione di false testimonianze pilotate da apparati dello stato che avevano ostacolato in tutti i modi il corso della politica kennediana. Altrettanto possiamo dire per la vicenda della morte di Mattei, fin dall’inizio oggetto di manovre di depistaggio, tanto che le cause dolose dell’incidente di Bascapé sono state accertate grazie al coraggio e alla perizia del giudice Vincenzo Calia solo 20 anni fa. E’ pertanto più che verosimile pensare che il documento citato faccia parte di una ben orchestrata (e nota a tutti) strategia di discredito di un manager di Stato che tentava di rendere l’Italia indipendente dal punto di vista energetico, attraverso una innovativa politica commerciale con il mondo arabo e i paesi in via di sviluppo, senza sottostare al regime monopolistico delle grandi compagnie petrolifere occidentali. I combattenti di allora, soprattutto di ispirazione ideologica avversa, non sarebbero stati interessati a svelare l’inganno? “

Il successivo articolo pubblicato su la Repubblica il 18 dicembre 2022

Fasanella contestualizza i rapporti scritti da funzionari della Cia nella seconda metà degli anni ’50 e ritrovati nei files su Kennedy e mette in luce ciò che rivelano veramente. Scrive Fasanella:

1-La prima domanda: che cos’era la Cia in quel periodo? Era il Servizio modellato da Allen Dulles e dal suo braccio destro James Jesus Angleton: la filiera anglofila dentro l’intelligence americana. Angleton, addestrato alla scuola di Cambridge, era il referente della rete dell’intelligence Usa in Italia, da lui organizzata nell’immediato dopoguerra.

2-La seconda domanda: qual era il giudizio di quegli ambienti sulla politica energetica italiana? Pessimo. Mattei aveva aggirato le sanzioni anglo-britanniche contro la Persia, che aveva espropriato le compagnie petrolifere inglesi. Il leader laico Mossadeq fu deposto con un colpo di stato attuato dalla Cia ma progettato da Winston Churchill, per il quale gli Usa non erano altro che il braccio armato della politica imperiale del Regno Unito. La sentenza del premier britannico contro Mattei fu terribile: «Bisogna far capire a questi italiani quanto ci disturbano certe loro azioni».Dopo la crisi iraniana, nel 1956 scoppiò quella di Suez, provocata dalla decisione del leader laico Nasser di nazionalizzare il Canale. Inglesi e francesi intervennero militarmente, ma l’Italia si dissociò. E gli Usa, che in un primo momento erano rimasti a guardare, intimarono agli anglo-francesi di ritirarsi dall’Egitto. Il giudizio inglese su Mattei si inasprì: «E’ un pericolo mortale per gli interessi britannici nel mondo». Ma cambiarono molte cose anche nei rapporti tra Cia e amministrazioni Usa, e tra Usa e Londra. La Casa Bianca cominciò a guardare con sospetto alla filiera Dulles-Angleton. E i presidenti Usa capirono che la missione dell’America non era quella di esaudire tutti i desideri di Londra. Nel nuovo contesto, l’Italia divenne l’alleato più affidabile degli Usa nell’area mediterranea.

3-La terza domanda: perché le carte Mattei erano nei files su Kennedy? Questo è il punto più interessante. Dopo la vittoria elettorale del leader democratico, Allen Dulles fu costretto a lasciare la direzione della Cia, nel 1961. Un anno dopo, l’influenza di Mattei nel Mediterraneo e nel Terzo Mondo era cresciuta a tal punto da indurre il governo britannico a emettere nei suoi confronti una sentenza definitiva: «E’ una verruca, un’escrescenza da rimuovere. Abbiamo tentato di fermarlo in tutti i modi, ma non ci siamo riusciti: forse è arrivato il momento di passare la pratica alla nostra intelligence». Sentenza datata 1962. L’anno in cui Mattei morì. E l’incidente di Bascapé avvenne pochi giorni prima che il presidente dell’ENI si recasse in visita ufficiale alla Casa Bianca per ricevere da John Kennedy il riconoscimento a cui aveva tanto aspirato: il diritto dell’ENI e dell’Italia di sedersi con pari dignità al tavolo degli alleati atlantici. I documenti di Kew Gardens ci hanno già detto quanto forte fosse l’irritazione britannica. Quelli Usa ci dicono ora che la posizione di Londra era condivisa da una parte della Cia. Ci sarebbe una quarta domanda, a questo punto: che cosa accadde nella Cia dopo l’assassinio di Kennedy?”

Mattei e l’amministrazione Kennedy

In un discorso scritto da Mattei e mai pronunciato, preparato per l’accordo petrolifero tra ENI e lo stato tunisino (Tunisi 9-10 giugno1960), il presidente dell’ENI auspicava un cambio alla Casa Bianca con l’elezione di J.F. Kennedy e ricordava la sua lotta contro l’idea fissa che esisteva in Italia: che fosse condannata ad essere povera per mancanza di materie prime e di fonti energetiche. E ricordava come avesse dovuto lottare anche lui per decolonizzare molti settori dell’economia italiana.

Il fatto coloniale non è solo politico: è anche soprattutto economico. Esiste una condizione coloniale quando manca un minimo di infrastruttura industriale per la trasformazione delle materie prime. Esiste una condizione coloniale quando il gioco dell’offerta per una materia prima vitale è alterato da una potenza egemonica: anche privata, di monopolio ed oligopolio.

Nel settore del petrolio questa potenza egemonica-oligopolistica è il cartello. Io lotto contro il cartello non solo perché è oligopolistico ma perché è maltusiano, e maltusiano ai danni dei paesi produttori come ai danni dei paesi consumatori. Il cartello è anglosassone ma io non sono contro il mondo anglosassone. Gli indipendenti americani sono miei amici e hanno molto peso in America e ne avranno molto di più se ci sarà in America a novembre una nuova amministrazione”. (Tratto da Enrico Mattei, scritti e discorsi 1945- 1962 . Rizzoli 2012)

Molti autori che hanno scritto su Mattei, hanno evidenziato come il presidente dell’ENI riponesse molte speranze di cambiamento nella nuova amministrazione Kennedy, nella “nuova frontiera” aperta ai cambiamenti epocali che la storia imponeva con la fine del colonialismo e in grado di iniziare un percorso di pace, e per interrompere la contrapposizione armata della guerra fredda. Cambiamenti che avrebbero potuto facilitare il percorso riformista dei futuri governi di centro sinistra in Italia.

La testimonianza di Benito Li Vigni

Ma una testimonianza in particolare può essere molto interessante, quella di Benito Li Vigni (Palermo, 1935 – 2008) dirigente ENI, che è stato uno stretto collaboratore di Enrico Mattei e ha ricoperto importanti incarichi nel gruppo ENI. Nel libro “Il golpe inglese” di Mario Josè Gereghino e Giovanni Fasanella, Benito Li Vigni è citato come

amico personale e stretto collaboratore di Enrico Mattei all’ENI, nonché per lungo tempo responsabile dei servizi di informazione dell’ente petrolifero italiano”.

Nel citato Enrico Mattei e l’intelligence, Mario Caligiuri scrive di Li Vigni:

Benito Li Vigni si dichiara un collaboratore del presidente dell’ENI e ha rinvenuto la corrispondenza tra Kennedy e Mattei negli archivi della JFK Library di Boston e dell’Eisenhower Library di Abilene .”

Livigni fu giornalista, libero docente di geopolitica e membro della Commissione nazionale energia. È stato inoltre autore di numerosi libri, tra i quali Omicidi eccellenti (1995), La grande sfida (1996), Il caso Mattei (2003), Le guerre del petrolio (2004), In nome del petrolio (2006), I predatori dell’oro nero e della finanza globale (2009).

Dice Li Vigni:

Nel 1994 ho pubblicato con la Mondadori un libro che si chiama La grande sfida, e sono riuscito ad avere dagli archivi americani una serie di documentazioni top-secret della “John Fitzgerald Kennedy Presidential Library and Museum” di Boston e dalla “Dwight D. Eisenhower Presidential Library Museum & Boyhood Home” di Abilene (Kansas), e con mia sorpresa ho scoperto che tra Mattei e Kennedy c’era una corrispondenza molto stretta. Dopo la crisi di Suez, quando Inghilterra e Francia erano stati invitati dagli Usa a ritirarsi dal canale proprio perché gli Usa temevano uno shock petrolifero, l’Italia avanzò la proposta di ricoprire un ruolo di nazione strategica nel Mediterraneo in sostituzione di Francia ed Inghilterra. Kennedy era d’accordo, però occorreva dare stabilità politica al governo italiano che cambiava ogni due mesi. Proprio a inizio anni ’60 c’era stata la crisi del governo Tambroni che durò quattro mesi. Però per dare stabilità politica bisognava scegliere un uomo e fare delle riforme. Kennedy, è nei documenti secretati americani, esaminò tutti i possibili interlocutori italiani e li scartò subito: esaminò Fanfani e Gronchi, scartandoli, e arrivò a Mattei. Kennedy, e si vede nei documenti esaminati,eraaffascinato da Mattei, e cominciarono delle trattative.

Una prima trattativaavvenne all’Hotel Excelsior di Roma in grandissimo segreto. Mattei non si fece assistere da nessuno, perché era una questione di grande segretezza. Kennedy chiese alle grandi compagnie americane di mettere Mattei in condizione di fare affari , di offrire a Mattei contratti migliori di quelli che l’ENI aveva fatto con l’Unione Sovietica. E così dopo lunghe trattative venne fatto un contratto tra l’ENI e la ESSO per la fornitura di 12 milioni di tonnellate l’anno di greggio a condizioni davvero migliori di quelle che Mattei aveva strappato all’URSS. Dopo l’accordo commerciale, si passò alla trattativa politica, che durò parecchio. Da parte americana parteciparono il responsabile della politica estera di Kennedy e il futuro capo della Cia in Italia.

E quindi Mattei accettò di affrontare questa esperienza ed era previsto che dovesse andare ad incontrare Kennedy a novembre 1962 . Io ero molto vicino a Mattei, certamente non ne parlò con nessuno, però era abbastanza teso in quei giorni . Aveva ricevuto minacce e la cosa che mi colpì fu che era stato in Sicilia il 18 ottobre 1962, c’era stato un incontro a Gela, un consiglio di amministrazione dell’Agip Mineraria. Mi chiamò, mi disse «ti voglio vedere subito in aeroporto», mi diede indicazioni su fatti che stavamo svolgendo e io gli dissi «presidente, venga entro l’anno, abbiamo fatto una realizzazione a Gela che Lei voleva, un grande deposito costiero per importare dalla raffineria di Gela i prodotti sul mercato siciliano». Lui disse di non poter venire per gli impegni, rimandando all’ anno dopo.

Dopo sette giorni ricevo una sua telefonata; io mi trovavo a Palermo, perché avevo un incarico, quello di scout man, l’uomo dei servizi segreti nel petrolio, quello che cerca di sapere cosa fanno le altre compagnie per cercare di ‘fregarle’. Mi disse di stare partendo per Gela, chiesi come mai e lui rispose che me lo avrebbe spiegato più tardi. Io arrivai a Gela prima di lui, al Motel Agip e mi dissero che era atterrato a Catania; Mattei arrivò a Gela con l’elicottero. La notte precedente c’era stato un attentato che aveva danneggiato con una carica di tritolo la pista dell’aeroporto privato dell’Agip a Ponte Olivo. Arrivò intorno alle 13, e abbiamo parlato di problemi in corso, soprattutto quanto riguardava il contratto con l’Iraq”.

Il contratto con l’Iraq, un accordo rivoluzionario.

Ecco l’accordo con l’Iraq. Nessun libro tra i 300 pubblicati nel mondo su Mattei, ha parlato mai dell’Iraq, semmai dell’Iran ma non dell’Iraq. Sapevo che in Iran non si era riusciti ad entrare nel consorzio dopo la caduta di Mossadeq, fatto cadere dagli anglo/americani perché aveva nazionalizzato il petrolio; una caduta creata da difficoltà economiche create ad hoc , Mossadeq era stato denunciato come un pazzo, invece era un uomo molto saggio , era presidente del Consiglio del primo governo democratico iraniano eletto dal popolo. L’Italia non potè entrare nel consorzio ricostituito dalle compagnie anglo americane, e Mattei decise di andare a prendersi il petrolio in Iraq”.

Li Vigni continua con i suoi ricordi e ci offre un esempio di quanto possano essere importanti le memorie di incontri per ricostruire gli eventi storici.

Nel 1978 ho avuto il piacere di conoscere a Taormina Dino Grandi, ex ministro degli esteri del governo di Mussolini, il quale, saputo che ero dell’ENI, mi ha informato che nel 1934 l’AGIP era riuscita ad ottenere in IRAQ il più grande giacimento iracheno nell’area kurda a Kirkuk. Grandi, abile politico, venne a patti con gli inglesi che avevano ottenuto una sessantina di concessioni sull’80% del territorio iracheno, quindi una concessione enorme. Nel 1934 scadeva il protettorato britannico, e Dino Grandi, alla Società delle Nazioni, diede appoggio agli inglesi e come contropartita la Gran Bretagna accettò che l’Agip rilevasse una piccola società petrolifera che si ingrandì fino a diventare una concessione che si chiamava Mossul oil Fil.

Ma nel 1935, a ottobre, le truppe italiane invadono l’Etiopia e gli inglesi ricattano l’Agip: affinchè la Gran Bretagna intervenisse alla Società delle Nazioni per mitigare le sanzioni contro l’Italia, in particolare per non far scattare un embargo petrolifero, l’Italia doveva cedere la Mossul Oil Fil . Grandi raccontò che fu una trattativa difficile, e alla fine trovarono una soluzione con gli anglo-americani della Iraq Petroleum Company , alla quale sarebbe andato il 51 % della Mossul Oil Fil e l’Agip avrebbe mantenuto il 39 % e una presenza strategica nel golden share della società, partecipando alle politiche e alle strategie della Iraq Petroleum Company. Grandi tornò a Roma contento di aver salvato una presenza a Mossul in attesa che successivamente le cose si potessero chiarire, ma Mussolini per paura decise di cedere la società perché temeva di essere ricattato dagli inglesi che, con un embargo, avrebbero potuto fermarlo in Etiopia.

Mattei sapeva tutto questo e dopo essere stati rifiutati dal consorzio iraniano, decise di andare a prendere il petrolio iracheno. Si formò un gruppo molto ristretto, come scritto nell’ultimo libro dove è riportata la registrazione dei colloqui con Dino Grandi.

Li Vigni ricorda che le registrazioni di questi colloqui non erano rintracciabili nell’Archivio Storico dell’ENI, non si trovavano i documenti sulla trattativa con l’Iraq. Questi furono rinvenuti nel 2006 a Pomezia all’Archivio Storico dell’ENI (ora a Castel Gandolfo vicino alla Sede della scuola di formazione dell’ENI), in un faldone di documenti criptati in cui si parlava di altro. Dopo tre mesi di lavoro Li Vigni trovò la chiave di lettura, trascrisse il testo degli incontri e così fu possibile accedere alla documentazione dell’epoca.

Abd al -Karim Qāsim nel 1958 abbattè la monarchia irachena di re Feisal II e prese il potere. Li Vigni partecipò per l’Agip alle trattative per l’accordo con l’Iraq.

Ricorda che:

Qāsim venne contattato nello stesso mese di agosto del 1958 in una caserma mentre ancora c’erano gli scontri in strada. Fu portata a Qāsim una credenziale di Mattei nella quale si proponeva di realizzare un contratto paritetico, di partenariato, quindi non solo esattore di tasse di royalties, ma fondando una società paritetica che si sarebbe occupata di altro oltre il petrolio. Qāsim accettò ponendo la condizione di cacciare via l’Iraq Petroleum Company: era quindi un fatto eclatante, straordinario. E così si cominciò a dare assistenza legale a Qāsim, esaminando concessione per concessione della Iraq Petroleum Company, per capire se e dove non avesse rispettato il contratto di concessione. Si scoprì che la Iraq Petroleum Company su 60 concessioni ne aveva sfruttato solo tre, si era mantenuto in riserva, in modo scorretto, le altre risorse, privando il popolo iracheno di quelle royalties .

E così all’inizio del 1962 Qāsim revocò quasi 57 concessioni alla Iraq Petroleum Company. Si trattò di una vera bomba: una delle più grandi e potenti compagnie del mondo veniva buttata fuori perché Qāsim avrebbe fatto entrare l’ENI in Iraq”.

Li Vigni seguì molto da vicino la vicenda, e ricorda che

non eravamo sicuri di essere sfuggiti ai servizi segreti americani e inglesi; in Italia c’era parecchia gente che voleva la fine di Mattei, Mattei aveva rotto i rapporti con Fanfani, perché aveva appoggiato un governo nella Regione siciliana, una esperienza molto particolare a Milazzo per ottenere delle concessioni , mettendosi contro i fanfaniani quali Lima e altri.

Aveva indirizzato i finanziamenti nella DC da Fanfani a Moro; era rottura totale e in quel periodo Fanfani era presidente del consiglio. Poi c’era la questione Cefis: Mattei agli inizi del 1962 aveva cacciato Cefis, vicepresidente ENI, che era uomo dei servizi inglesi, quindi Mattei era isolato. Abbiamo successivamente scoperto attraverso i documenti di Boston e di Abilane, che durante la trattativa con l’Iraq c’erano stati interventi pesantissimi delle ambasciate americana e inglese a Roma su Fanfani, per fermare Mattei ad ogni costo e Fanfani rispose di non poter fermare Mattei, di non avere il potere di interrompere la sua azione. Quindi una ammissione molto grave”.

Li Vigni ricorda la drammatica tensione per quanto avvenne il 16 settembre 1962, quando Qāsim volle a tutti i costi tenere una conferenza stampa e annunciare alla stampa internazionale l’accordo tra Iraq ed ENI.

Qāsim aveva fondato una società petrolifera nazionale per realizzare una società paritetica con ENI, e fece sapere che voleva dare un annuncio al giornalismo internazionale di questo progetto e della fondazione di una compagnia nazionale, ma l’ENI aveva chiesto di prendere tempo.

Ma Qāsim voleva dare l’annuncio per dimostrare al popolo iracheno che stava lavorando al bene dell’Iraq e il 16 settembre 1962 rilasciò una intervista che ci fece gelare, dichiarando di aver revocato le concessioni all’ Iraq Petroleum Company e di stare realizzando una società paritetica con ENI. Ci siamo sentiti persi, era grave, gravissimo, abbiamo detto a Mattei di stare attento, di non viaggiare più in aereo. E quando arrivò in Sicilia il giorno 26 ottobre, eravamo terrorizzati, io gli proposi di non ripartire quella sera per Milano, invitandolo a prendersi qualche giorno di riposo, ma Mattei rispose che doveva incontrare l’on. Tremelloni, e poi partire per firmare il contratto con l’Algeria, altro contratto molto osteggiato dalle compagnie angloamericane e anche da Fanfani , che era contrario ad una politica di rottura con le sette sorelle”.

Li Vigni ricorda che l’inchiesta di Calia fu aperta e portata avanti con grande serietà, perché il suo libro La grande sfida, aveva portato alla luce una novità assoluta, il rapporto Kennedy-Mattei. Li Vigni ricorda di aver collaborato molto da vicino con il magistrato nell’inchiesta che, come sappiamo, accertò l’avvenuto sabotaggio .

Quando l’inchiesta venne archiviata senza che si potesse stabilire responsabilità e mandanti, Li Vigni radunò i materiali dell’inchiesta e, lavorando un mese, ha scritto un libro per Editori Riuniti Caso Mattei-Un giallo italiano.

Li Vigni sostiene che la fine di Mattei è stata gestita da italiani, per impedire una sua ascesa politica che avrebbe messo in discussione la loro carriera politica e manageriale, e ha messo in evidenza, tramite i documenti, un certo rapporto tra l’assassinio di Kennedy e l’assassinio di Mattei.

A Catania c’era in quel giorno Carlos Marcello che è stato implicato nell’assassinio di Kennedy . Il tutto converge nella oligarchia britannica, converge sulla Permindex, nel controspionaggio inglese.

Mattei, come Kennedy, ha messo in difficoltà l’oligarchia britannica sia la finanza che la politica, per questo Mattei è stato ucciso”.

Il progetto degli oleodotti europei.

Quindi nei primi anni ‘60 oltre al viaggio negli USA per l’incontro con Kennedy, oltre all’accordo energetico con l’Algeria che coinvolgeva anche società francesi, oltre all’accordo con l’Iraq che escludeva l’anglo-americana Iraq Petroleum Company, era in progettazione e in fase di realizzazione una rete di oleodotti e gasdotti che avrebbero collegato il mediterraneo con il Centro Europa.

Per cogliere l’aspetto rivoluzionario di questa rete distributiva, è interessante leggere un articolo di Benito Li Vigni pubblicato su Il sole 24 ore dal titolo Un’unione energetica europea, che ci aiuta ad individuare un altro aspetto importante della politica di Enrico Mattei: un grande progetto di oleodotti europei.

Il 2 settembre 2012,Il Sole 24 Ore ha pubblicato uno speciale in occasione del Festival della letteratura di Mantova che si sarebbe svolto dall’8 settembre di quell’anno. Due pagine furono dedicate a Mattei e alla presentazione in anteprima al Festival di Mantova del volume “Enrico Mattei- Scritti e discorsi 1945-1962” edito da Rizzoli in occasione dei 50 anni dalla morte.

Oltre all’inedito discorso preparato da Mattei per la firma dell’accordo petrolifero tra ENI e lo Stato Tunisino (Tunisi, 9-10 giugno 1960), discorso poi non pronunciato, furono pubblicati gli articoli dello storico Valerio Castronuovo dal titolo “Un uomo della Resistenza”, e di Roberto Escobar sul film di Rosi “E caddero anche le nostre speranze”, film che sarà presentato a Mantova il 7 settembre nella versione appena restaurata.

Di particolare interesse un terzo articolo a firma Benito Li Vigni, presentato come giovane collaboratore di Mattei, ex dirigente ENI e autore di vari libri su Mattei. L’articolo è un testo/memoria inedito dal titolo “Un’unione energetica europea”, articolo di grande attualità, che evidenzia come i progetti di Mattei fossero lungimiranti e preconizzassero la necessità della indipendenza energetica dell’Europa, anche tramite la costruzione di oleodotti transnazionali. E come questi progetti andassero contro gli interessi politici ed economici del cartello energetico anglo-americano.

Scrive Li Vigni :

L’obiettivo di Mattei era promuovere in Europa compagnie petrolifere di stato che commerciassero con le compagnie di Stato dei Paesi produttori di petrolio per abbattere la quota di prezzo speculativa e tagliare fuori le potenti “Sette Sorelle”.

Nel presentare l’iniziativa per la costruzione di una rete di oleodotti da Genova ad Aigle, in Svizzera, a Ingolstadt, in Baviera, e a Stoccarda, nella Germania meridionale, Mattei parlò di «condizioni di sostanziale convenienza, ai fini della competizione per il rifornimento petrolifero del centro Europa». Affermò che il sistema di oleodotti era progettato per uno sviluppo di circa 1.100 chilometri e aveva una capacità annua di trasporto da 14 a 18 milioni di tonnellate di greggio e di olio combustibile. Accennò, poi, alle combinazioni finanziarie predisposte per la realizzazione dell’opera, attraverso l’apporto di capitali dei paesi attraversati”.

Li Vigni ricorda come il presidente dell’ENI, in occasione della posa del primo tratto dell’oleodotto a Genova-Pegli nel giugno 1961, sottolineasse come dall’operazione fossero state escluse le compagnie del cartello e avesse auspicato che «tale esclusione diventasse la regola della politica petrolifera europea».

Prosegue Li Vigni:

Con la progettazione di un sistema di oleodotti che portava il petrolio dall’Algeria all’Italia e all’Europa centrale, si aprivano prospettive formidabili a cui Mattei aveva iniziato a lavorare per coinvolgere la Francia di De Gaulle e la Germania di Adenauer”.

Ma il timore maggiore per le società del cartello era che, completato l’oleodotto Genova -Ingolstadt, questo si allacciasse con il progetto di un secondo tronco che portava il petrolio da Trieste ad Ingolstadt. In quei mesi era in costruzione il gigantesco oleodotto sovietico Druzba, lungo quattromila chilometri che avrebbe portato nell’Europa dell’est il petrolio dei giacimenti degli Urali e del Volga. Il ramo sud di questo oleodotto si fermava a Szazhalombatta, in Ungheria, a poche centinaia di chilometri con il confine est italiano, rendendo probabile un futuro allacciamento con Trieste.

Quindi un grande progetto che prospettava la soluzione di un triangolo produttivo europeo con Italia, Francia e Germania da estendere in futuro alla Spagna e ad altri paesi. Scrive Li Vigni:

L’intuizione strategica di Mattei di una comunità energetica europea, in cui le singole aziende di Stato gestissero insieme i rapporti con i paesi produttori di petrolio e gas, rispondeva pienamente all’esigenza di superare ogni reminiscenza imperialistica e colonialistica e di evitare ogni tensione geopolitica e quindi i pericoli di scontri e conflitti. L’Europa energetica propugnata da Mattei avrebbe dovuto rappresentare l’interlocutore di peso dei grandi fornitori di petrolio e gas, soprattutto nella co-gestione delle ‘pipelines’ e delle questioni geopolitiche alle stesse legate”.

Per cogliere ancora meglio l’importanza strategica di queste reti di oleodotti e gasdotti, riporto le parole dello storico Nico Perrone nel suo libro Mattei:

Nacquero così le reti distributive in Germania, Austria, Svizzera, Grecia, Regno Unito (1962), e le attività di distribuzione di gas propano liquido (Gpl) in vari paesi europei, asiatici e sudamericani. Nonché progettazioni e costruzioni di oleodotti, gasdotti, metanodotti, stabilimenti petrolchimici e raffinerie, fino a quella progettata nel Regno Unito”.

Ma non solo progetti in Europa. Nell’estate del 1962, Agip USA, comincia una collaborazione con la Phillips Petroleum Company, una società indipendente dell’Oklahoma.

Sono progetti rivoluzionari che Mattei aveva presentato nel suo discorso del 27 giugno 1961 in occasione della chiusura dell’anno accademico alla Scuola superiore sugli idrocarburi:

«E’ di ieri l’inizio dei lavori dell’oleodotto Genova-centro Europa: un’opera europea, fatta da europei, nella difesa degli interessi dell’Europa. Naturalmente l’oleodotto determinerà una piccola rivoluzione, sconvolgendo i prezzi dei prodotti petroliferi dell’Europa centrale. I fornitori di un tempo non saranno più soli, ci sarà la competizione e attraverso il nuovo mezzo di trasporto sarà possibile fare giungere al consumo dei paesi attraversati prodotti petroliferi più a buon mercato. Si stabilirà cioè la concorrenza, sui mercati di destinazione, con enorme vantaggio per tutti i consumatori e per le industrie in espansione».

I contatti con l’amministrazione Kennedy. Altre fonti.

Come più volte argomentato, il presidente Kennedy era un sostenitore dell’indipendenza algerina, posizione assunta già nel 1957. Questa posizione del presidente americano aveva suscitato vibrate proteste da parte francese. Non a caso appena il giorno dopo la dichiarazione di Kennedy, Robert Lacoste, ministro francese per l’Algeria, affermava:

Noi sappiamo bene che dietro talune esaltazioni della libertà sta il chiaro proposito di trarre profitto dai giacimenti petroliferi che la Francia ha scoperto nel Sahara”. (Riportato da Giorgio Galli La sfida perduta. Biografia politica di Enrico Mattei pag 155).

Nel 1962 Mattei era riuscito a dialogare con la nuova amministrazione americana. Ne parla Paolo Mieli sul Corriere della sera del 12 settembre 2012 con un articolo dal titolo Mattei e gli americani: la pace dopo la bufera, la tensione era calata quando il manager morì. Come sappiamo era in preparazione una trasferta di Mattei negli Stati Uniti, con il conferimento di una laurea honoris causa ad Harvard e un ricevimento alla Casa Bianca.

Nel libro “Mattei la pecora nera” ( 1987), Italo Pietra ricorda un colloquio con Mattei in quei mesi e le sue parole:

E’ in preparazione, e non lontano, un viaggio ufficiale in America, con laurea honoris causa, con incontri ad alto livello, con udienza alla Casa Bianca. Ci sarà un incontro con i grandi delle grandi compagnie e si vedrà qualcosa di nuovo e di incredibile (…) Sono finiti i tempi delle porte sbattute in faccia”.

Italo Pietra scrive:

Mattei uscirà dal guscio e passerà l’Atlantico avendo nei dossier l’accordo per il Sahara. Non tenderà la mano alle briciole della torta delle Sette Sorelle; tratterà a testa alta proponendo un accordo per una politica petrolifera di larghe vedute: la politica dei due documenti presentati dall’ENI il 14 marzo 1962 al Comitato del Petrolio dell’OCSE-Organizzazione per la Cooperazione e per lo Sviluppo Economico”.

Penso sia utile riportare alcuni stralci dal discorso di Mattei all’OCSE:

La pianificazione è congeniale all’industria petrolifera. Cos’era altro il sistema di mercato creato trent’anni fa dalle grandi compagnie petrolifere internazionali se non un esempio di pianificazione? La pianificazione privata della più grande e più politicamente sensibile industria del mondo non è più possibile. Ma l’esigenza rimane e non può essere soddisfatta che dai poteri pubblici con metodo democratico (…). Gli interessi prioritari sono quelli dei paesi che offrono le loro risorse petrolifere a soddisfare la fame di energia del mondo, e quelli dei paesi consumatori(…). Non sono prioritari, ma secondari e strumentali gli interessi delle compagnie petrolifere alle quali è doveroso consentire giuste e stabili condizioni di attività ma non il diritto di decidere autonomamente quale sia la loro funzione rispetto ai bisogni essenziali del mondo.

Bisogna andare verso una intesa generale tra paesi produttori e paesi consumatori. Queta esigenza è stata avvertita dai principali paesi produttori, quindi la creazione dell’OPEC (…). Sarebbe un grave errore da parte dell’occidente, e dell’Europa in particolare, sottovalutare questo tentativo e continuare a perseguire una politica ormai logora di divisione e indebolimento.

Il primo concreto obiettivo dell’Occidente europeo potrebbe essere proprio quello di adottare una coerente politica dell’energia e di istituire un dialogo con i paesi produttori”.

E sempre Italo Pietra ricorda come durante il suo ultimo incontro con Mattei, prima dell’ultimo fatale viaggio in Sicilia, il presidente dell’ENI continuasse a parlare delle minacce, dei suoi futuri viaggi in Algeria e in America, di quella laurea ad Harvard, e che per quanto riguardava gli accordi per il petrolio sovietico, Mattei avesse pronunciato le seguenti parole:

farò parlare le cifre: prima di tutto la Repubblica Federale di Germania importerà nel 1962, 2.600.00 tonnellate: un po’ più di ciò che abbiamo importato noi nel 1961. La Germania nel 1959 ha esportato in URSS 200.000 tonnellate di tubi, e si è impegnata ad esportarne 240.000 in quattro anni. L’interesse dell’Europa non è l’interesse di alcune compagnie che vogliono mantenere i prezzi alti. Cominciano a capirlo in tanti”.

E sulle prospettive del viaggio negli USA, Cereghino e Fasanella nel loro libro “Il libro nero della repubblica italiana. La guerra clandestina e la strategia della tensione dalla fine del fascismo all’omicidio di Aldo Moro” scrivono:

Nonostante l’opposizione delle compagnie americane (…) Mattei sta per cogliere il più grande successo della sua carriera. E l’Italia sta per ottenere il riconoscimento definitivo del suo rango di potenza internazionale e del suo ruolo politico-diplomatico nell’area mediterranea e medio-orientale”.

Mattei non fece mai quel viaggio e 13 mesi dopo il presidente Kennedy fu assassinato, in circostanze mai chiarite, e in cui vengono chiamati in causa i vertici statunitensi dell’Intelligence.

Anni dopo Nico Perrone parlerà di morte necessaria di Enrico Mattei, mettendola in relazione alla coincidenza della contemporaneità con la crisi dei missili a Cuba, che vedeva come uno dei protagonisti il presidente americano. La crisi raggiunse il suo apice proprio il 27 ottobre 1962 e il giorno dopo, per evitare il rischio di un confronto atomico, il presidente Nikita Kruscev annunciò il ritiro dei missili da Cuba.

Si ricordano le parole di Ettore Bernabei nei suoi diari: “ L’uccisione di Enrico Mattei fu ordinata dalle stesse centrali che hanno preparato e condotto l’attentato a Kennedy”.

L’importanza, e la novità dirompente per la politica italiana all’inizio degli anni ’60, dello stabilirsi di rapporti tra Mattei e l’amministrazione Kennedy è esplorato e documentato anche nel libro L’Italia nel petrolio ( Feltrinelli 2022) di Giuseppe Oddo e Riccardo Antoniani, il più recente studio su Mattei e a mio avviso uno dei più completi e documentati, proprio perché gli autori hanno avuto a disposizione centinaia di saggi e numerosi documenti e testimonianze provenienti da archivi aperti solo negli ultimi anni.

Sulla situazione politica italiana dal 1954, anno della morte di De Gasperi, si rileva come nella DC si fosse alimentata una lotta tra correnti dove nessuna era abbastanza forte da assumere l’egemonia, e come questa situazione rese possibile la vicenda di Mattei che potè esercitare un potere politico autonomo, e come questi riuscisse a negoziare con capi di stato e concludere accordi internazionali che forzavano la mano alla diplomazia italiana e allo stesso governo

Egli fece delle debolezze del sistema la forza dell’ENI, permettendogli di crescere e fornire all’industria e ai consumatori fonti di energia e di prodotti raffinati a prezzi competitivi”.

Gli autori ricordano la grande influenza di Mattei sulle più alte istituzioni: Fanfani aveva bisogno dei fondi ENI per ridurre la dipendenza della DC dagli industriali del Nord e Gronchi era debitore di Mattei per la sua opera di convergenza politica in Parlamento nel 1955 per la sua elezione al Quirinale (vi concorsero, oltre alle sinistre, anche i monarchici e i missini).

I due autori trovano conferme anche nel documentato libro di Leonardo Maugeri L’arma del petrolio (Loggia De’ Lanzi 1994), saggio che citerò anche in conclusione di questo articolo, e delineano una azione del presidente dell’ENI che sceglie la politica come terreno di scontro con le Sette Sorelle.

La sfida di Mattei all’ordine petrolifero mondiale e al ruolo degli americani, la sua critica violenta al carattere antidemocratico della presenza occidentale nel terzo mondo e l’ipotesi di una Italia neutrale e fuori dalla NATO sarebbero state – secondo Maugeri – manovre tattiche per ‘indurre il governo degli Stati Uniti a un’intesa che consentisse all’Italia di entrare nel circolo ristretto dei grandi del petrolio, godendone passivamente la rendita. (…) A preoccupare l’amministrazione americana non era, secondo Maugeri, l’epica dello scontro con le Sette Sorelle, ma l’influenza politica di Mattei sul governo e sul parlamento”.

Quindi un manager di Stato in grado di evitare o sfuggire al controllo della politica, che utilizza il suo grande potere economico, abbinato al ricatto e alla corruzione, per influenzare la democrazia italiana.

Il risultato fu che la politica italiana in Medio Oriente coincise con la politica estera dell’ENI, e che della politica mediterranea dell’Italia in Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Mattei fu protagonista ed interprete. Senza un uomo d’azione come lui, senza la sua capacità esecutiva ed organizzativa, le idee di Giorgio La Pira – sulla necessità di costruire un ponte di pace e di prosperità tra i popoli del Mediterraneo contro il rischio di una guerra atomica – non avrebbero avuto alcuno sbocco concreto”.

E gli autori ricordano come con il suo grande peso politico influenzò il neonato Ministero delle Partecipazioni Statali, istituito nel 1956 da Fanfani per controllare i grandi enti di gestione.

Nel libro si argomenta che gli assertori della estraneità anglo-americana nel sabotaggio del suo aereo fondano il loro convincimento sulle trattative iniziate nel 1962 da parte del Dipartimento di Stato americano per indurre Mattei ad un accordo con la ESSO, e che anche Mattei cercò un dialogo con gli americani per ottenere greggio a migliori prezzi. E in questo mise sul tavolo gli accordi di acquisto di petrolio dall’URSS, molto vantaggiosi, che prevedevano greggio in cambio di tecnologie e prodotti industriali italiani.

Il primo incontro importante, due mesi dopo l’insediamento di J.F. Kennedy alla Casa Bianca, Mattei lo ebbe nel marzo 1961 a Roma con William Averell Harriman ambasciatore itinerante del neopresidente degli Stati Uniti”.

Harriman fu a Roma per due giorni tra il 9 e l’11 marzo 1961 e incontrò Fanfani, Segni allora Ministro degli Esteri (ostile al centro sinistra) e il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Il colloquio con Mattei avvenne il 10 marzo, vi parteciparono come interpreti Alvise Savorgnan di Brazzà e per conto di Harriman il colonnello Vernon Walters, futuro vicedirettore della CIA.

Mattei manifestò ad Harriman la sua indignazione per l’atteggiamento discriminatorio delle compagnie anglo-americane verso l’ENI. Spiegò che all’origine degli accordi per l’acquisto di greggio dall’URSS vi era la cieca politica di profitti a breve termine praticata dalle major (i cui utili originavano dai bassi costi di ricerca e produzione del greggio mediorientale, sensibilmente inferiori a quelli del petrolio americano, e dagli alti prezzi di listino). Questi popoli – precisò Mattei – chiedevano soltanto la partecipazione ai profitti delle loro attività minerarie, ma anche un ruolo attivo nello sfruttamento industriale delle loro risorse minerarie. (…)

Harriman rimase favorevolmente impressionato da Mattei. Partì convinto che l’appoggio dei socialisti al governo fosse indispensabile per realizzare una coraggiosa politica di riforme”.

Gli autori riportano anche le parole dello storico Paul Ginsborg scritte nel suo Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi ( Einaudi 1989):

Harriman presentò a Kennedy il centro-sinistra come l’unica soluzione possibile per l’Italia: opporvisi o restare neutrali sarebbe solo servito a sospingere nuovamente il PSI tra le braccia dei comunisti”.

E a seguito degli incontri di Roma, nel mese di marzo 1962 si svolsero varie riunioni al Dipartimento di Stato a cui parteciparono i due sottosegretari di Stato George Ball e George McGhee, l’ambasciatore in Italia George Frederick Reinhardt e il consigliere di Kennedy, lo storico Arthur Schlesinger.

Nel Memorandum of conversation 17 marzo 1962 pubblicato in Foreign relations of United States, 1961-1963, si riporta che

Dopo un’esaustiva rivalutazione della posizione di Mattei nella politica italiana e nell’industria petrolifera internazionale si è concordato di esaminare la possibilità di incoraggiare una o più tra le principali compagnie petrolifere occidentali a raggiungere un accordo con lui… Standard Jersey, Socony o altre società potrebbero essere interessate a prendere in considerazione un tale accordo”.

Seguirono un intenso scambio di comunicazioni tra Washington, l’ambasciatore Reinhardt e ilvicepresidente esecutivo della Standard Jersey, William Scott. E gli autori rilevano che

L’ipotesi di informare ufficialmente delle trattative il governo italiano fu scartata. Il coinvolgimento formale di palazzo Chigi sarebbe avvenuto solo se l’incontro con Mattei fosse riuscito. Con questa decisione la più grande potenza del mondo riconosceva di fatto al capo di un ente di Stato un livello di rappresentanza politica pari, se non superiore, a quello di un Ministro degli Esteri”.

Comunque gli americani temevano le conseguenze di una implementazione del commercio con l’URSS. Viene ricordato che in una audizione al Senato, il ministro della Difesa Robert McNamara poneva l’attenzione sul pericolo non tanto di esportazione di prodotti strategici occidentali in Unione Sovietica, quanto l’opportunità offerta di esportare petrolio russo in Europa. Quindi paventando una dipendenza europea dal petrolio russo.

E sempre gli autori segnalano una informativa di quei giorni trasmessa a Mattei da Giorgio Ruffolo, direttore del Servizio relazioni pubbliche, studi economici e stampa dell’ENI, e riguardante una serie di colloqui tra il giornalista Leo Wollemborg (corrispondente del Washington Post in Italia) e Arthur Schlesinger, informativa dalla quale si evince come quest’ultimo, consigliere di Kennedy, evidenziasse come molti politici americani considerassero Mattei irrecuperabile, con posizioni preconcette contro le compagnie, ormai legato ai russi e su posizioni neutralistiche. Ma Wollemborg aveva ribattuto che invece c’era una possibilità di dialogo, e che Mattei era abituato a trattare direttamente con i capi di Stato stranieri e probabilmente avrebbe dovuto essere la Casa Bianca a invitare Mattei per avviare una discussione sulla questione petrolifera internazionale. Schlesinger ipotizzava una azione per “far fuori Mattei”, alludendo al non rinnovo della carica di presidente dell’ENI, in scadenza al 31 marzo 1963, e il giornalista ribatteva che la politica dell’energia a bassi prezzi era indispensabile per lo sviluppo industriale dell’Italia, era ormai consolidata come una politica nazionale e non legata solo a Mattei.

E sempre in tema di “colloqui riservati” con i giornalisti, sia Oddo e Antoniani che Italo Pietra, nel citato Mattei – La pecora nera, riportano stralci dell’incontro avvenuto nell’aprile 1962 tra Mattei e Cyrus Leo Sultzberger, editorialista e comproprietario del New York Times. Riassunto del colloquio si trova nell’Archivio Storico dell’ENI, ma negli anni ’70 fu spedito in forma anonima a Paese sera insieme a carte d’archivio del SIFAR.

Dal libro di Oddi e Antoniani relativamente a quel colloquio:

Il passaggio del colloquio che dovette risultare più indigesto ai circoli oltranzisti europei e americani fu quello in cui Mattei affermava di ‘essere contrario al Patto Atlantico’, precisando che «siccome siamo alleati dovremmo aiutarci fra noi ed invece dovunque, all’estero, vado in cerca di lavoro per l’Italia trovo tutti contro». Il senso era : se dobbiamo essere alleati dobbiamo esserlo in tutto, nel campo militare, come in quello petrolifero, altrimenti la nostra è una finta alleanza”.

Va ricordato che Sultzberger, molto influente a Washington,era contrario al governo Fanfani e molto critico nei confronti di Mattei. Ed è proprio con questo importante giornalista che il presidente dell’ENI si lascia andare a questa dichiarazione, riportata nel libro di Italo Pietra:

L’Italia ha dovuto fare questo esperimento di apertura a sinistra. E’ solo il principio (…) Personalmente sono contro la NATO e per il neutralismo. Noi italiani non abbiamo niente da guadagnare dalla NATO. Io non sono antiamericano. Noi italiani dobbiamo lavorare qui. Dopo aver esportato per tanto tempo lavoratori alla disperata, dobbiamo esportare prodotti del nostro lavoro. Voi continuate a cercare di tenerci fuori dai mercati esteri. La vostra politica è guidata dalle vostre compagnie petrolifere. Sono d’accordo con Kruscev quando afferma che le compagnie petrolifere guidano la politica americana”.

Sull’atlantismo di Mattei e sulle sue convinzioni filo americane vale la pena di ricordare le parole di Paolo Emilio Taviani, riportate da Alessandro Aresu nell’articolo “Martire d’Algeria” pubblicato su Limes nel 2019 e relative al contributo di Mattei alla fondazione di Stay Behind ( l’organizzazione paramilitare e di contrasto ad una possibile invasione da Est conosciuta come Gladio, che divenne nota dopo le dichiarazioni di Giulio Andreotti, a inizio anni ’90 quando era Presidente del Consiglio).

Ecco le parole di Taviani, già comandante partigiano in Liguria e che fu ministro della Difesa nel dopoguerra, pronunciate nel trentennale della morte di Mattei:

Come ministro delle Finanze prima e del Tesoro poi tra il 1958 e il 1962, io posso garantire che tutte le iniziative dell’ENI furono sempre discusse, approvate e sancite negli organi istituzionali della Repubblica. Come ministro della Difesa tra il 1953 e il 1958 posso pure garantire che Enrico Mattei – nella sua qualità di ex comandante partigiano e di vice presidente della Federazione volontari della libertà – fu sempre accanto, con i suoi consigli, alle nostre forze armate, sia per la fondazione di Stay Behind (la cosiddetta Gladio) sia per le assunzioni dei valorosi partigiani chiamati ad addestrarsi al sabotaggio nell’eventualità di una invasione sovietica alla quale si preparavano attivamente gli eserciti ungheresi e russo dagli anni Cinquanta sino agli anni Sessanta”.

E come scrive Alessandro Aresu nel suo contributo al citato Enrico Mattei e l’intelligence:

Spesso l’analisi del caso Mattei, e quindi delle dinamiche che hanno portato all’uccisione del manager pubblico, porta a dimenticare l’importanza dello schieramento atlantico e dell’opposizione all’Unione Sovietica in questa formazione di intelligence e di difesa iniziale che ha avuto Mattei”.

Ritorniamo agli incontri con esponenti dell’amministrazione Kennedy. Un colloquio decisivo avvenne a Villa Taverna, residenza dell’ambasciatore americano a Roma Reinhardt, con il sottosegretario di Stato Ball, uomo di punta dell’amministrazione in missione in Italia per sondare il presidente dell’ENI. Erano presenti Savorgnan di Brazzà e il colonnello Walters.

Da un rapporto dell’ambasciata americana al Dipartimento di Stato riportato da Oddo e Antoniani si legge:

Mattei ha dichiarato a lungo e con una certa emozione che il suo unico obiettivo è fornire all’Italia una fonte di energia a basso costo e di far lavorare la manodopera italiana. Ha ripetuto più volte che le principali compagnie petrolifere avrebbero dovuto trattarlo da uomo e rendersi conto che lui era qui per rimanere (…) Ha detto che ora però c’erano indicazioni di un cambio di mentalità delle compagnie petrolifere. Un’azienda britannica stava offrendo greggio a prezzo più basso di quello sovietico ed egli ha avuto un utile colloquio con Mr. Stott di Standard Jersey”.

Nel libro si riporta che Ball accolse con favore questi segnali di cambiamento, ma precisò che il governo americano non aveva ricevuto alcun mandato dalle compagnie.

E nel dispaccio si legge:

Mattei ha detto che in molte delle aree di recente sviluppo dell’Africa e dell’Asia c’è diffidenza verso gli USA, la Gran Bretagna e la Francia e che la sua presenza in queste aree ha impedito l’ingresso dei paesi del blocco comunista”.

Quindi Mattei rispose ad una domanda di Ball sulle forniture di materiali all’URSS, ricordando che l’Italia forniva 250mila tonnellate di tubi in cinque anni in cambio di greggio, ma che Germania Occidentale e Giappone ne fornivano quantità ben maggiori. Ribadendo che il greggio sovietico era a prezzi minori. Quindi spostò il discorso sulla Cina, dove era andato nel 1958 per la prima volta e ricordando che in quegli anni l’ENI aveva affari con la Cina per 100 milioni di dollari all’anno. Asserì che Mao Tse-tung aveva risentimenti verso l’URSS a causa dei costi eccessivi delle loro forniture industriali. E che la Cina sarebbe stata sempre più influente nel mercato mondiale.

Nel libro di Oddo e Antoniani si riporta che l’incontro fu definito amichevole.

Ball sembrava avesse convinto Mattei a recarsi negli USA a incontrare Kennedy. L’indiscrezione fu pubblicata dal Financial Times. I tempi per un accordo sembravano maturi se è vero che il responsabile del Servizio rapporti con l’estero dell’ENI, Giuseppe Ratti, fu incaricato di negoziare con ESSO verso la metà del 1962 con un contratto di fornitura di 10 milioni di tonnellate di greggio libico”.

E in un documento conservato presso l’Istituto Nazionale “Ferruccio Parri” di Milano, citato dagli autori, si legge che Mattei si era formato la convinzione che l’alleanza del petrolio con l’URSS poteva essere pericolosa se esclusiva e trasformarsi in un rapporto di sudditanza. Per questo aveva dato istruzione di negoziare con ESSO predisponendo un accordo simile a quello con l’URSS, cioè fornitura di impianti e mezzi da parte di società del gruppo ENI in cambio di acquisto di greggio per le società del gruppo ENI.

Del resto Oddo e Antoniani sottolineano che anche Kennedy era favorevole al centro-sinistra, ma evitava di appoggiare apertamente Schlesinger che era favorevole alla svolta. Ma contro la nuova formula di governo e contro l’apertura ai socialisti era schierata la sezione italiana del dipartimento di Stato USA e l’ambasciata a Roma.

Quindi in quei mesi del 1962 il presidente dell’ENI era riuscito a dialogare con l’amministrazione americana ed era in programma un suo incontro con Kennedy alla Casa Bianca. Seppure con la opposizione di una parte del governo USA e dei petrolieri, si profilava per Mattei il momento di cogliere un grande successo politico. E con questi incontri l’Italia avrebbe potuto ricevere il riconoscimento di potenza internazionale in grado di svolgere un ruolo politico-diplomatico nel Mediterraneo e nel Vicino e Medio Oriente.

Di quanto affermato da Benito Li Vigni nel suo appassionato intervento sopra citato, troviamo piena conferma nelle parole pronunciate da Mattei in un colloquio con Italo Pietra e riportate nel suo citato libro Mattei la pecora nera:

E’ in preparazione, e non lontano, un viaggio ufficiale in America, con laurea honoris causa ad Harvard, con incontri ad alto livello, con udienza alla Casa Bianca (…) Ci sarà un incontro con i grandi delle compagnie e si vedrà qualcosa di nuovo e di incredibile (…) Sono finiti i tempi delle porte sbattute in faccia”.

Ma Mattei non fece in tempo a firmare quell’accordo con la ESSO, come non fece in tempo a incontrare Kennedy a novembre del 1962, come non fece in tempo a firmare l’accordo petrolifero con il presidente algerino Ahmed Ben Bella il 6 novembre 1962, come non riuscì a vedere il primo governo Moro di centro-sinistra “organico” formato il 4 dicembre 1963.

L’accordo con l’Algeria

Quando all’inizio degli anni Sessanta, si iniziò a parlare di trattative di pace per porre fine alla guerra d’indipendenza algerina, il presidente dell’ENI utilizzò la sua esperienza e il suo ruolo per supportare il GPRA – Governo Provvisorio della Repubblica algerina (in esilio a Tunisi) nelle sue richieste per lo sfruttamento delle risorse petrolifere e di gas del sottosuolo sahariano.

Ricordo che la rivoluzionaria “formula Mattei” applicata in quegli anni negli accordi con i paesi produttori (come spiegato dal prof Aldo Ferrara nel mio precedente articolo), prevedeva

la partecipazione azionaria del paese, in una nuova società a due e, in caso di ritrovamento di petrolio greggio, oltre alle royalties del 50% anche un ulteriore 25 % derivante dalla quota azionaria nella società a due che aveva trovato il petrolio.

Per essere più chiari: è vero che il paese produttore con la ‘formula Mattei’ di fatto veniva ad aumentare il proprio introito al 75%, ma questo 25% in più non era un aumento delle royalties ma derivava dal fatto che il paese produttore era entrato con i suoi soldi in società con l’Agip per la ricerca e quindi il 25% era il profitto del successo della ricerca. Soprattutto questo fatto, che faceva diventare il paese produttore anche operatore nel processo di ricerca e di vendita del greggio, fu un elemento che irritò molto le compagnie internazionali che fino ad allora avevano operato in totale autonomia in tutte le fasi della ricerca e della vendita del greggio, limitandosi a pagare royalties riferite a un prezzo base che loro stesse determinavano”.

La strategia energetica derivante dalla “formula Mattei” fu applicata anche con il governo algerino in esilio a Tunisi, e fu il risultato del lavoro di mediazione del giornalista Mario Pirani su incarico di Mattei. In vista degli accordi di pace con la Francia, Pirani creò l’Office du Pétrol Saharien, presieduto da un algerino e condotto da un direttore generale francese vicino a De Gaulle. Fu Pirani stesso a comunicare a Mattei che i futuri accordi tra Italia e Algeria potevano anche comprendere il gas naturale, di cui il Sahara algerino era ricchissimo.

Relativamente ai rapporti con il GPRA e poi con la giovane Repubblica d’Algeria (fondata il 5 luglio 1962), vale la pena ricordare quanto scrisse l’allora direttore de Il Giorno Italo Pietra nel suo “Mattei. La pecora nera”, a proposito di quei giorni:

Con la rivolta dei generali, dei colonnelli, dei pieds-noirs contro Parigi, e con la disperazione dell’Algeria perduta, della guerra perduta, delle spalline perdute, tutto cambia. Si moltiplicano gli scatti d’ira; nasce il disegno di vendicare il crollo di tutte le speranze sopra l’uomo che , come italiano e come cattolico, impersona l’inclinazione al tradimento dei valori tradizionali, dell’anticolonialismo, all’amicizia con gli arabi, al terzomondismo.

Non c’è dubbio. Mattei non ha mai fatto mistero delle sue simpatie per le lotte risorgimentali del Terzo Mondo, “Il Giorno” ha sempre simpatizzato per gli algerini. Adesso che le vittorie militari risultano inutili e la vittoria politica sembra impossibile, Parigi apre segretamente a Washington, per un accordo tra le grandi compagnie americane e la compagnia francese circa il petrolio del Sahara”.

Pietra ricorda che durante i negoziati franco-algerini, iniziati a Evian il 20 maggio del 1961, si tenne anche una lunga trattativa per progettare la cooperazione franco-algerina dopo l’armistizio, e uno dei temi fondamentali erano le risorse energetiche del Sahara.

Quanto al petrolio, Bularuf, delegato del Fronte Nazionale di Liberazione Algerino a Roma, era presente e mise a disposizione di Krim Belkacem, negoziatore algerino, i dossier preparati dall’ENI in vista della trattativa per la valorizzazione delle risorse del Sahara (…). Dopo poche settimane , Mattei è invitato a entrare nel pool in via di costituzione tra petrolieri inglesi, statunitensi e francesi. E rispose no”.

E’ importante sottolineare che nel dossier proposto alla delegazione francese a Les Rousses l’11 febbraio 1962 veniva richiesto dall’Algeria che dopo l’armistizio non fosse accordata alcuna nuova concessione di ricerca, sfruttamento o esplorazione; e altrettanto importante che non potesse essere prevista alcuna modifica del prezzo di riferimento del petrolio greggio, del gas “uscita pozzo” e delle tariffe di trasporto.

Il ministro plenipotenziario francese a Roma, Francis Puaux, consegnò al ministro degli Esteri Antonio Segni una nota di protesta contro

le attività dell’ENI che ostacola la trattativa in corso tra francesi e algerini, favorendo l’irrigidimento del GPRA in ordine al problema che è considerato per la Francia essenziale alla sua economia e alla sua sicurezza, il Sahara”.

Entra in scena l’OAS, che usava l’assassinio politico e gli attentati per contrastare il negoziato, e che secondo informative pervenute al Quirinale, voleva intimorire e persuadere, con la minaccia di attentati, Mattei a cedere. E a fine luglio venne recapitata dalla Spagna una lettera di minacce dell’OAS che riportava le seguenti parole:

ha il piacere di comunicare le decisioni prese in una riunione segreta a Parigi: sono considerati come ostaggio e condannati a morte Enrico Mattei e tutti i membri della sua famiglia”.

Il tutto confermato da un bollettino clandestino dell’OAS in Francia.

Ricorda Pietra che i giorni seguenti Mattei concede una intervista a Gilles Martinet, condirettore del Nouvel Observateur, e alla affermazione del giornalista “ C’è almeno un caso in cui i ministri di De Gaulle e quelli che chiamiamo ultras trovano un linguaggio comune, quando parlano di lei”, Mattei risponde :

“La verità è che mi si rimprovera soprattutto di non aver accettato di stabilirmi nel Sahara al fianco delle compagnie francesi, inglesi e americane. Ho sempre rifiutato una concessione. Non desidero che i miei tecnici si trovino un giorno nella necessità di lavorare sotto la protezione dei mitra. Con la guerra l’Italia ha perduto le sue colonie. Certuni pensano che sia stata una sventura: è in realtà un immenso vantaggio. E’ perché non abbiamo più colonie che siamo ben accolti in Iran, nella Repubblica Araba Unita, in Tunisia, in Marocco, nel Ghana. Non vedo perché dovremmo compromettere questa posizione associandoci in una operazione che, tutti lo ammettono, non potrà essere attuata sotto la sua forma attuale. Quando la guerra d’Algeria sarà finita, vedrò quello che sarà opportuno fare”.

Sull’Algeria Pietra riporta nel suo libro due testimonianze: la prima di Francesco Forte, assunto da Mattei nel 1955 all’Ufficio studi dell’ENI e la seconda di Mario Pirani, dirigente dell’ENI che fu l’”ambasciatore” di Mattei per i rapporti con il Fronte di Liberazione Nazionale Algerino.

Forte parla così: “Un mese prima della tragedia di Bescapé mi era stato comunicato che Mattei stava preparando un grande accordo con l’Algeria il quale, accanto a importanti forniture e iniziative nel settore degli idrocarburi, avrebbe dovuto includere un rapporto globale di cooperazione economica fra Italia e Algeria, in una molteplicità di campi. Nel quadro di esse avremmo fornito anche assistenza tecnica alla giovane Repubblica in materia di programmazione economica, finanziaria, industriale. A me si chiedeva di collaborare, per la parte dell’economia finanziaria. Dovevo ‘tenermi pronto’ perché mi avrebbero avvertito del giorno in cui si sarebbe dovuti partire per l’Algeria per la firma dell’accordo e per il lancio dell’iniziativa. Invece mi giunse la notizia via radio che l’aereo di Mattei era precipitato. Se l’evento di Algeria si fosse verificato e l’accordo concluso, probabilmente la storia economica e anche politica, nel tema Nord-Sud e nel tema energetico, sarebbe diversa”.

Pirani, che fu per anni in primo piano nel quadro dell’attività politico-diplomatica svolta dall’ENI nel Maghreb, nel 1961 fu accreditato come fiduciario di Mattei presso il governo provvisorio Algerino a Tunisi. Pietra sintetizza le sue dichiarazioni:

l’ENI assicurava i passaggi in Europa degli inviati del Fronte di Liberazione Nazionale Algerino, la formazione di tecnici nella scuola idrocarburi, i dossier necessari per i programmi energetici e in particolare per le trattative di Evian con la Francia (…) Con la indipendenza algerina affiorò la possibilità di una svolta decisiva: Claude Cheysson, capogabinetto di Mendès France e futuro ministro degli Esteri, rappresentava allora gli interessi petroliferi francesi nell’organismo misto per l’energia sahariana, appena creato. Grazie all’appoggio del ministro algerino per l’energia, con cui Pirani era in contatto, e all’impegno di Cheysson, che ottenne il beneplacito di De Gaulle, fu delineata una politica di collaborazione italo-franco-algerina in materia energetica. Parigi abbandonò la precedente ostilità anche perché stava sviluppando il suo settore petrolifero pubblico (prima l’Erap e poi l’Elf) e valutava la “copertura” di Mattei come una carta vincente per garantire maggiormente la presenza in Algeria e in altri paesi del Terzo Mondo.

I punti prioritari dell’accordo contemplavano lo sfruttamento comune del metano sahariano, la costruzione di un gasdotto dall’Algeria all’Italia attraverso la Spagna e la Francia, l’entrata dell’Agip nelle ricerche petrolifere sahariane e la possibilità di costruire in loco una raffineria. Si andava verso una grande svolta, con immense prospettive di lavoro”.

Vale la pena ricordare il recente viaggio di Mario Draghi in Algeria per gli accordi di fornitura di gas, la costruzione del gasdotto dall’Algeria alla Sicilia negli anni ‘70, avvenuto proprio per le innovazioni tecnologiche e le competenze messe in campo dai tecnici ENI, e, come ricorda Alessandro Aresu nel suo saggio Geopolitica Stato Intelligence nella guerra fredda: il caso Mattei, contenuto nel citato Enrico Mattei e l’intelligence:

“le costanti testimonianze in ricordo di Mattei da parte del governo algerino, che durano fino ad oggi, dalla lettera del 2018 dell’ambasciatore algerino in Italia alla nipote di Mattei, che lo definisce «eroe della mia patria», fino alla recente inaugurazione nel 2021, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del Giardino Mattei ad Algeri.”

Gli attuali accordi commerciali con l’Algeria

Per comprendere l’importanza degli accordi con l’Algeria, dobbiamo ricordare quello che avvenne in seguito: il contratto del 1977 che definì la messa in opera del Transmed, gasdotto che collega Algeria e Italia passando per la Tunisia, e che è stato battezzato “Enrico Mattei”. Successivamente la firma di un contratto, anche con Francia e Spagna nel 2010 per l’esplorazione e sfruttamento del campo di gas “South-East Illizi”; la progettazione e inizio dei lavori nel 2009, non ancora terminati, del “Galsi” (Gasdotto Algeria Sardegna Italia).

Risultato in numeri: nel 2020 i prodotti maggiormente importati dall’Algeria in Italia sono stati il gas di petrolio liquefatto ($2.38 miliardi), il petrolio ($215 milioni) e il petrolio raffinato ($141 milioni). Il Paese nordafricano è cruciale nella strategia di approvvigionamento e diversificazione energetica per l’Italia.

In virtù degli accordi siglati lo scorso anno dall’allora presidente del Consiglio Mario Draghi, nel primo semestre 2022 l’Algeria è diventata il primo fornitore di gas naturale dell’Italia. Nel dicembre 2022 il presidente della Repubblica d’Algeria Abdelmadjid Tebboune dichiarò l’impegno preso con Roma per aumentare le forniture di gas “ad almeno 35 miliardi di metri cubi“. Il ministro dell’Energia e delle miniere Mohamed Arkab dichiarò altresì che l’Algeria prevedeva di stanziare nei prossimi anni “più di 40 miliardi di dollari” per investimenti “nell’esplorazione di idrocarburi“, per mantenere la produzione di gas “sopra i 110 miliardi di metri cubi all’anno“.

Al 2022 l’Italia importa dall’Algeria il 29% del suo fabbisogno di gas (per 21 miliardi metri cubi di gas).

Più in generale, nel 2021 il valore dell’interscambio Italia-Algeria è stato pari a 7,33 miliardi di euro, di cui 5,57 miliardi le nostre importazioni e 1,76 miliardi le nostre esportazioni. Il gas costituisce la quasi totalità delle importazioni, mentre l’Italia esporta principalmente macchinari, prodotti petroliferi raffinati, prodotti chimici e siderurgici.  L’Italia è il terzo partner commerciale dell’Algeria a livello globale (primo cliente e terzo fornitore) mentre l’Algeria è il primo partner commerciale dell’Italia nel continente africano.

Durante la visita di Stato ad Algeri del 22-23 gennaio 2023, la Premier Meloni era accompagnata dall’Amministratore delegato di ENI, Claudio Descalzi, e dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. L’obiettivo era rafforzare la partnership tra ENI e Sonatrach, la principale società algerina operante nel settore idrocarburi, attraverso due nuovi accordi che avranno al centro ancora il gas e il gasdotto Transmed (che arriva a Mazzara del Vallo) ma anche l’idrogeno verde. Bonomi ha sottoscritto una intesa con la Confindustria algerina per implementare l’interscambio tra le imprese dei due paesi.

Un interessante recente pubblicazione della Ambasciata d’Italia ad Algeri

Segnalo per il suo interesse anche il recente libro dell’Ambasciata d’Italia ad Algeri Enrico Mattei e l’Algeria. Un amico indimenticabile (1962-2022)”, presentato il 21 marzo 2022 dall’Ambasciata d’Italia ad Algeri a pochi giorni dall’inizio della 25ma edizione del Salone Internazionale del Libro di Algeri (SILA) al quale l’Italia era ospite d’onore.

Di seguito il link per scaricare il PDF del convegno “Enrico Mattei e l’Algeria durante la lotta di liberazione nazionale” promosso dallAmbasciata d’Italia ad Algeri e dall’Istituto Italiano di Cultura di Algeri il 7 dicembre 2010.

Di seguito la presentazione del volume dal sito dell’Ambasciata d’Italia ad Algeri.

La realizzazione del volume, grazie anche al sostegno e alla collaborazione dell’Archivio Storico di ENI, si inserisce nell’ambito delle iniziative volte a commemorare il 60mo anniversario dell’indipendenza dell’Algeria e dello stabilimento delle relazioni diplomatiche con l’Italia.

Il libro, tradotto nelle tre lingue italiana, francese e araba e stampato in Algeria per l’Ambasciata d’Italia dalla casa editrice Barzakh, è dedicato alla personalità di Enrico Mattei e alla inaugurazione del giardino di Algeri a lui intitolato, avvenuta in occasione della visita di Stato in Algeria del Signor Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 6-7 novembre 2021.

Grazie ad una raccolta di importanti interventi istituzionali e di oltre sessanta documenti d’archivio, comprensivi di scritti, articoli e foto anche inediti, il libro ripercorre, da diverse prospettive, gli storici e profondi legami di amicizia tra Enrico Mattei, l’Algeria e l’Italia.

Dopo un’introduzione dell’Ambasciatore d’Italia ad Algeri Giovanni Pugliese, nella prima parte sono contenuti gli interventi del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, On. Luigi Di Maio, del Ministro algerino dei Moudjahidine e degli Aventi diritto, Laid Rebiga, dell’Amministratore Delegato di ENI, Claudio Descalzi, del Presidente dell’Assemblea Popolare Comunale di Hydra, Moustapha Bouhoun, della Professoressa di Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Firenze, Bruna Bagnato, e del Consigliere scientifico di Limes, autore e saggista Alessandro Aresu.

Segue quindi una galleria di immagini relative a foto, scritti e articoli di archivio e accompagnate da dettagliate didascalie, organizzata in cinque assi: Enrico Mattei partigiano e la sua idea di libertà; Enrico Mattei e il sostegno al popolo algerino; la Scuola Superiore dell’ENI a San Donato Milanese; l’ENI in Algeria; la visita di Stato del Signor Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella nella Repubblica Algerina Democratica e Popolare (6-7 novembre 2021).

Infine, grazie alla collaborazione dell’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, la galleria contiene altresì una sezione extra comprensiva di alcuni importanti documenti storico-diplomatici italiani del 1962, tra i quali, ad esempio, l’originale della dichiarazione del Governo italiano del 3 luglio 1962 di riconoscimento dell’Algeria indipendente”.

Il link della presentazione dove visionare la galleria fotografica

La lettera di Aldo Moro a Enrico Mattei del 19 settembre 1962 nella quale l’allora segretario della DC chiede al presidente dell’ENI di rinunciare a ricandidarsi alla presidenza.

Nel citato Mattei e l’intelligence, il curatore Mario Caligiuri ricorda che

In previsione del convegno su Mattei e l’intelligence, da cui la presente pubblicazione ha preso spunto, nel 2019 ho condotto una ricerca nell’Archivio storico dell’ENI a Castel Gandolfo, che mi ha consentito di consultare documenti molto interessanti. Tra questi soprattutto una lettera inedita molto significativa scritta a Mattei da Aldo Moro, segretario politico della DC. E’ del 19 settembre 1962, 40 giorni prima della tragedia di Bescapè.

Ecco il testo integrale della lettera di Aldo Moro:

«Carissimo, ti dò il benvenuto a Bari che deve molto alla tua intelligente ed ardita iniziativa ed alla tua affettuosa comprensione. Di quel che hai fatto e farai con spirito amichevole desidero ancora ringraziarti con tutto il cuore.

Ho ancora meditato sulle cose che ci siamo detti nel nostro ultimo incontro e, naturalmente, sul peso del sacrificio che il partito ti chiede. A mente fredda e sulla base delle più compiute informazioni da te fornitemi ho dovuto ancora concludere che è questa ancora la via migliore.

Ogni decisione, ed anche questa, comporta certo uno svantaggio ed in esso, credimi, io metto in primissima linea il tuo disappunto, anzi il tuo evidente e comprensibile dispiacere. Lo noto personalmente e mi pesa molto. Ma, credi, nella situazione attuale non c’è di meglio da fare. La tua rinuncia contribuisce a consolidare una situazione assai fragile e spegne una polemica astiosa che ti avrebbe ancor più amareggiato, e con te le tue idee e le tue importanti iniziative. Sembra di perdere ed invece si garantisce e si consolida. Ho l’impressione che non si canterà vittoria. Aggiungi dunque anche questa alle tue benemerenze; alla tua silenziosa fedeltà; al tuo servizio prezioso nell’interesse del paese.

Grazie, caro Mattei, con i più affettuosi sentimenti.

Aldo Moro».

Ma come mai Moro chiede a Mattei un passo indietro in vista della scadenza (31 marzo 1963) dell’incarico di presidente dell’ENI?

Caligiuri contestualizza ricordando il trattato di pace del marzo 1962, l’indipendenza algerina era stata proclamata da De Gaulle il 3 luglio successivo. Quindi, come ricordano vari autori, l’ENI stava trattando con l’Algeria e con la Francia un accordo per lo sfruttamento del petrolio e del gas algerino, progettando un gasdotto da Algeria alla Sicilia , lo stesso che sarebbe stato realizzato quindici anni dopo.

Furono fondamentali anche gli accordi con l’URSS per l’acquisto di petrolio risalenti agli anni ’50, ma proprio nel giugno 1962 ci fu l’incontro riservato tra Mattei e Alexei Kosygin, primo vicepresidente del Consiglio dei ministri dell’URSS.

Quell’anno, il 6 maggio avvenne l’elezione di Antonio Segni alla Presidenza della Repubblica. In quei mesi Mattei si era mosso per la rielezione di Giovanni Gronchi, che era un promotore della politica “neoatlantica” espressa anche in una certa visione neutralista della “politica estera” di Mattei in quegli anni.

E quell’anno fu varato a febbraio il IV governo Fanfani nel quale i socialisti avevano trasformato l’astensione in appoggio esterno, quindi la vera nascita del centrosinistra, che divenne centro-sinistra “organico” con il PSI nella maggioranza con la nascita del governo Moro il 4 dicembre 1963.

Caligiuri interpreta la lettera di Moro come una valutazione della DC sulla opportunità di interrompere l’esperienza di Mattei alla presidenza dell’ENI, mettendola in relazione anche con le successive controverse vicende del Piano Solo, il controverso piano di “colpo di stato” che sarebbe stato pianificato nel 1964 per interrompere l’esperienza politica del governo di centro sinistra.

Vanno anche ricordati i forti attacchi sul Corriere della sera con i cinque articoli (dal 13 al 17 luglio 1962) a firma Indro Montanelli contro i poteri economici fuori controllo e l’influenza dell’ENI e di Mattei nella politica italiana, attacchi che riflettevano le posizioni di larghi settori politici ed industriali.

E proprio nel 1962 viene creata l’ENEL attraverso la nazionalizzazione delle aziende idroelettriche, un grande passo avanti nella modernizzazione industriale del paese nel comparto pubblico dell’energia.

Caligiuri sottolinea che il confronto tra Mattei e Moro va inserito nello schema rigido della guerra fredda e che

una parte delle classi politiche democristiane cercava di aggiornare quello schema secondo gli interessi del paese (…) Le sensibilità erano diverse, per formazione e percorsi esistenziali: Moro aveva una visione pessimista ed un approccio teorico, mentre Mattei era un ottimista con una spiccata dimensione pratica. Le affinità, però, sembravano prevalere sulle diversità. Entrambi avevano una certa idea dell’Italia e la convinzione della necessità dell’azione politica per tutelarne gli interessi.

Con le loro tragiche scomparse nel 1962 e nel 1978, la società nazionale subisce significative battute d’arresto”.

Caligiuri, intervistato dal Corriere della sera in un articolo del 21 dicembre 2021 sulla lettera di Moro, conferma le sue supposizioni:

«Nel 1962 la Francia concede l’indipendenza all’Algeria, come Mattei aveva auspicato, e viene eletto presidente della Repubblica Antonio Segni. Il presidente dell’ENI aveva operato invece per una conferma al Quirinale di Giovanni Gronchi, con il quale era in forte sintonia. Segni invece sosteneva una linea di allineamento atlantico, di stretta vicinanza agli Stati Uniti, mentre Mattei aveva condotto, sul piano degli accordi petroliferi, una politica di apertura al mondo arabo e all’Unione Sovietica. È plausibile che Segni abbia fatto pressione su Moro e sulla Dc perché Mattei non fosse riconfermato, in quanto lo considerava un personaggio incontrollabile che perseguiva l’interesse nazionale in totale autonomia e poteva creare imbarazzo sul piano della politica estera».

La lettera è stata pubblicata il 10 dicembre 2022 dalTicino», settimanale della Diocesi di Pavia, dallo scrittore e giornalista Giovanni Giovannetti, che all’epoca lavorava ad un libro su Mattei.

In un suo articolo on line, Giovannetti scrive:

In area cattolica il presidente dell’ENI era inviso a tanti. Per l’ultra-liberista don Luigi Sturzo lo statalista Mattei rappresentava una sorta di cavallo di Troia del social-comunismo. Ma in quegli anni Cinquanta concorrono a difenderlo figure altrettanto carismatiche come De Gasperi, Fanfani, Boldrini, La Pira, Bo, Dossetti, Gronchi e Vanoni, solo per citarne alcuni.”

Ricordando anche gli attacchi di Montanelli sul Corriere della sera, Giovannetti riporta la replica di Mattei del 27 luglio, sempre sul Corriere della sera, che elenca le numerose inesattezze e deformazione della realtà scritte dal giornalista sul prezzo del metano, sul petrolio sovietico, sugli accordi con Egitto ed Iran, sulla conflittualità con le Sette Sorelle e in particolare sull’indebitamento del gruppo ENI che risulterebbe la metà di quanto scritto.

Ma aggiunge Giovannetti:

In area cattolica il presidente dell’ENI era inviso a tanti. Per l’ultra-liberista don Luigi Sturzo lo statalista Mattei rappresentava una sorta di cavallo di Troia del social-comunismo. Ma in quegli anni Cinquanta concorrono a difenderlo figure altrettanto carismatiche come De Gasperi, Fanfani,Boldrini,La Pira,Bo,Dossetti, Gronchi e Vanoni, solo per citarne alcuni(…).

In Italia si era alla vigilia di importanti cambiamenti politici e di inedite aperture a sinistra, favorite da uno scenario internazionale che nel gennaio 1961 vede l’elezione di John Fitzgerald Kennedy alla presidenza degli Stati uniti. Prestando orecchio alle (presunte) determinazioni aperturiste del nuovo inquilino della Casa bianca, al congresso democristiano di Napoli del gennaio 1962 Aldo Moro aveva ottenuto il mandato per negoziare l’accordo di governo con il Partito socialista. Da quel momento non è solo l’Oas/Sdece (o settori della Cia, di concerto con la Mafia) a volere lo scalpo di Mattei; anche per i vertici del suo partito l’intraprendenza del presidente dell’ENI rappresenta una minaccia da contenere, con le buone o con le cattive. Questo segnale, chi lo sa se solo politico, è colto per tempo da Moro che, vista la situazione, lo esorta inascoltato a dimettersi.

Disponendosi allo scontro (il suo mandato triennale era in scadenza il 31 marzo 1963), Enrico Mattei ha intanto nascosto a Matelica, in casa del fratello Italo, alcuni dossier “scottanti”. Ma a quella data i suoi sicari sono già posizionati e pronti all’azione, chi a Catania chi a Roma”.

Una conferma della progettata e auspicata sostituzione di Mattei al vertice dell’ENI, proviene da un interessante documento del SISMI riportato come allegato 110 nella richiesta di archiviazione firmata dal Giudice Calia nel 2003:

Dal fascicolo: 8170 Z/2677 28 marzo 1962 Azione:

TED” VOCI CIRCA LA PROBABILE SOSTITUZIONE DELL’ING. ENRICO MATTEI DALLA CARICA DI PRESIDENTE DELL’“E.N.I.”.

Nel quadro del “nuovo corso politico” nazionale, l’On. Giuseppe SARAGAT ha testè inviato un rapporto al Bureau dell’Internazionale Socialista sulla situazione politica generale italiana. Nel contesto del rapporto è detto che “non appena il Governo” di centrosinistra si sarà consolidato sarà normalizzata la gestione ENI attraverso il ridimensionamento delle sue pretese autonomistiche dei controlli effettivi dello Stato e la sostituzione del suo Presidente ing. Enrico MATTEI”. Sulla sostituzione dell’Ing. MATTEI, il leader socialdemocratico italiano sostiene di essere d’accordo con il Presidente del Consiglio dei Ministri On. FANFANI, il quale sarebbe propenso a bloccare ed annullare l’appoggio che al Presidente dell’ENI discende dalla segreteria di Piazza del Gesù e dal Quirinale. Una delle condizioni necessarie per estromettere l’ing. MATTEI dalla presidenza dell’ENI, secondo l’On. SARAGAT, sarebbe rappresentata dalla non rielezione del Presidente GRONCHI.

Nel citato libro Oddo e Antoniani scrivono:

Ma perché chiedere le dimissioni di Mattei quando mancano sei mesi alla scadenza naturale del suo mandato? Il 1962 è l’anno di esordio del centro-sinistra. L’idea di Moro era che per spingere la DC verso un progetto riformista occorresse smussare i conflitti interni, e Mattei era un elemento di forte conflittualità. Può darsi che nello sforzo di tenere insieme le diverse anime della DC e di trovare l’unità del partito sul centro-sinistra Moro gli avesse consigliato di dimettersi, sia pure a malincuore”.

Mattei quindi si sente sempre più isolato e relativamente alle sessanta casse di documenti riguardanti gli anni 1948/1960 che il 3 agosto 1962 Mattei fa spedire al fratello Italo a Matelica, e Oddo e Antoniani ricordano che:

Le carte rimarranno a Matelica in soffitta per circa un decennio, finchè Carlo Massimiliano Gritti, su incarico di Cefis non andrà a trovare Italo Mattei offrendosi di comprarle per 100 milioni di lire. (…) Dei documenti rimane solo l’inventario dei nominativi dei destinatari e dei mittenti, (…) EnricoMattei ordina il trasloco dell’archivio il giorno dopo che la questura di Roma gli annuncia la revoca della scorta. Il provvedimento porta la data del 2 agosto 1962”.

E un’altra riflessione si può ricavare da queste loro parole:

E’ comunque un fatto che, mentre Mattei sta per raccogliere i frutti del suo sostegno alla causa algerina e ha in corso trattative con gli Stati Uniti che potrebbero rafforzarlo politicamente, un settore della maggioranza di centro-sinistra trama contro di lui per cacciarlo dall’ENI. Mattei è percepito anche in Italia come una minaccia e ha avversari da cui guardarsi, in politica come in azienda. Andreotti, pur essendo insieme con Moro il prosecutore della politica filoaraba dell’Italia, gli è ostile. Cefis, suo braccio destro, lo abbandona nel momento più critico. Don Luigi Sturzo nella sua battaglia politica contro lo statalismo e la partitocrazia lo accusa di usare il pubblico denaro per corrompere i partiti e disgregare moralmente la democrazia. Montanelli gli spara pesanti bordate dal Corriere della Sera, criticandone la gestione, i risultati e gli investimenti esteri. E la BBC gira un documentario in cui esponenti del mondo petrolifero e finanziario anglosassone lo attaccano pesantemente (l’incidente di Bascapè ne renderà inopportuna la messa in onda)”.

Nel saggio di Adriana Castagnoli La guerra fredda economica. Italia e Stati uniti 1947-1989, Laterza 2014, un saggio di 250 pagine stipato di notizie, una ricerca svolta su fonti primarie, schedando e compulsando archivi storici delle istituzioni americane, Casa Bianca, Dipartimento di Stato, Cia, le Presidential Library di sei presidenti statunitensi, un saggio che non concede niente all’odierno complottismo oltre a quanto è nei documenti ufficiali e nelle memorie dei testimoni, si scrive:

Anche gli Stati uniti erano irritatissimi dalle manovre dell’Eni di Enrico Mattei in Medio Oriente e con l’URSS, ma i verbali dell’ambasciata americana di Roma chiariscono che la tragica morte interviene proprio quando i vertici americani avevano deciso di offrire un accordo per integrare Mattei nel sistema petrolifero occidentale”.

Mi avvio alla fine di questo paragrafo riportando le conclusioni del saggio di Leonardo Maugeri L’Arma del Petrolio – Questione petrolifera globale, guerra fredda e politica italiana nella vicenda di Enrico Mattei, Firenze, Loggia de’ Lanzi, 1994, conclusioni citate dal giudice Vincenzo Calia alla fine delle 426 pagine della Richiesta del pubblico ministero nel procedimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia.

E’ una analisi che ritiene molto più importante la “pericolosità” di Mattei per l’equilibrio politico interno italiano rispetto alla sua azione contro i monopoli occidentali nel campo dell’energia e all’intervento nello scenario geopolitico internazionale negli anni ’50 e ’60 dello scorso secolo .

«Così, mentre l’epica dello scontro con le “sette sorelle” non ebbe che scarsa rilevanza per le amministrazioni statunitensi, fu invece l’influenza interna all’Italia a dare consistenza politica al presidente dell’ENI nelle analisi americane. Ritornano quindi in discussione quei limiti del sistema italiano che già al tempo formavano il quadro di una democrazia fragile, sul cui sfondo si agitava lo spettro di un confronto locale tra Occidente e comunismo unico per intensità e capillarità. Applicato al caso Mattei, questo quadro produsse quella attenzione e quella preoccupazione politica che l’apparente sconvolgimento degli equilibri petroliferi non avevano suscitato.

Fu in altri termini il Mattei protagonista della vita politica italiana, e non il petroliere eversore del sistema internazionale, a meritare considerazione. Fu l’uomo ormai in grado di sfuggire a ogni controllo che assunse rilevanza politica, poiché in grado di usare «il suo enorme potere economico, insieme al ricatto e alla corruzione, per intimidire il governo italiano e minacciare così il funzionamento proprio della democrazia italiana». In questo senso l’arma del petrolio brandita da Mattei ebbe un effetto dirompente, in quanto, cioè, gli fornì una notevole forza contrattuale rispetto alle vicende italiane e, di conseguenza, rispetto agli Stati Uniti.

E per queste ragioni, quando il dibattito sull’ingresso dei socialisti nel governo entrò nella fase definitiva (1961- 1962), l’amministrazione Kennedy promosse una trattativa per la pacificazione con Mattei. L’ipotesi di apertura a sinistra divideva gli americani tra falchi e colombe, ma anche per gli esponenti di quest’ultimo raggruppamento esistevano limiti ben precisi da considerare: la possibilità effettiva di convertire i socialisti all’atlantismo, in primo luogo, insieme all’eliminazione di tutte le variabili incontrollabili del futuro assetto di governo. Nelle analisi statunitensi Mattei risultava per l’appunto una delle principali “variabili incontrollabili”. Fu questo tema quindi a ispirare le riflessioni del 1961-1962, che condussero alla decisione definitiva di tentare la strada di un accordo con il presidente dell’ENI, pochi mesi prima della sua morte.

Gli Stati Uniti ritenevano, forse con esagerazione, ma certo sulla scia di un’opinione largamente diffusa, che Mattei fosse in grado di mandare all’aria ogni pianificazione ordinata delle vicende italiane grazie alla sua influenza e alla sua capacità di ricatto. Per quanto esasperata potesse considerarsi questa convinzione vi erano elementi che contribuivano a alimentarla. […] La scomparsa prematura […] del presidente dell’ENI rafforzò la leggenda dell’uomo che aveva sfidato i potenti del mondo, e impedì di chiarire a fondo se egli fosse intenzionato a orientare il doppio binario che aveva accompagnato la sua vicenda in un senso piuttosto che nell’altro. La morte, inoltre, lasciò senza un principio razionalizzante – per quanto ambiguo – i metodi e gli atteggiamenti di cui Mattei si era servito.

Nei momenti di maggior potere e di maggiore influenza, infatti, il presidente dell’ENI aveva assecondato a tal punto i difetti del sistema italiano da diventarne egli stesso uno dei maggiori responsabili. La corruzione, l’idea che l’instabilità istituzionale, al pari dell’instabilità e della scarsa coesione dei gruppi politici, creassero un terreno più favorevole per le ambizioni personali (per quanto giustificabili esse fossero), l’uso scientifico dell’industria di stato per fini politici e partitici, sarebbero rimasti fattori attivi e indelebili nella storia della nostra repubblica, e meccanismi perversi al servizio di una classe politica divisa, litigiosa e fragile. Più concreta delle velleità di Gronchi o Fanfani, la sua politica patì della stessa visione egocentrica del potere dei due compagni di partito, ed ebbe come corollario la stessa diffidenza verso il prestigio e l’influenza altrui. Al momento opportuno, Mattei non poté contare così sul sostegno coerente e convinto di una classe politica a cui aveva inteso sostituirsi. La sua così rimase fino all’ultimo una lotta epica e isolata, che una volta privata del suo protagonista non avrebbe lasciato un’eredità”.

Cito ancora il saggio di Adriana Castagnoli La guerra fredda economica. Italia e Stati uniti 1947-1989, nel quale viene documentato che in quegli anni avvenne

“ … un continuo e pervasivo lavoro di intromissione in ogni singola operazione economica italiana all’estero, per piegarla ed indirizzarla a interessi americani”.

Ma l’autrice rileva altresì che

Della classe dirigente italiana, soprattutto democristiana, degli anni Cinquanta e Sessanta, colpisce il coraggio, talvolta temerario, di perseguire una politica nazionale autonoma in competizione con francesi e inglesi; di credere nella vocazione africana, mediterranea, nel guardare all’Asia prima degli altri”.

La pista del complotto Il memoriale di Giacomo Rumor.
I sospetti del giudice Calia.

Una ipotesi sugli esecutori dell’attentato a Mattei si trova in margine ad un libro scritto da Paolo Rumor, figlio di Giacomo, cugino dell’’esponente DC Mariano Rumor. Si tratta di L’altra Europa- Miti, congiure all’ombra dell’unificazione europea, un libro del 2017 scritto a più mani da Paolo Rumor con Loris Bagnara e lo storico e politologo Giorgio Galli.

Nella presentazione dell’Editore Panda Edizioni, si legge:

Questo libro nasce da una telefonata, un incontro personale e un manoscritto. La telefonata avviene tra Paolo Rumor, discendente dell’omonima famiglia protagonista di molte vicende della Democrazia Cristiana, e Giorgio Galli, il massimo esperto italiano dei rapporti tra esoterismo e politica. Oggetto della telefonata e del successivo incontro tra i due è un manoscritto per molti versi sconcertante. Si tratta di un ampio segmento delle “Memorie riservate” di Giacomo Rumor, padre di Paolo ed esponente di punta della DC del dopoguerra. Al centro del memoriale vi è la collaborazione tra Giacomo Rumor (fiduciario di monsignor Montini, futuro papa Paolo VI) e Maurice Schumann, insigne statista francese all’epoca del Trattato di Roma (1957), cioè del primo concreto passo verso l’Unione Europea. Dalle pieghe di questa sinergia emergono confidenze a dir poco inquietanti: dietro al lavoro diplomatico che porta al Trattato sembrano nascondersi alcune centrali occulte, portatrici di una loro idea unitaria di Europa, con sensibili interferenze non solo della Cia e del Vaticano, ma anche di misteriosi, antichissimi circoli esoterici…”

Ricorda Giovanni Giovannetti al link L’uragano Cefis | direfarebaciare (wordpress.com) nella post fazione alla ristampa del libro Uragano Cefis di Fabrizio De Masi:

Nella postfazione mi soffermo anche sulla morte di Mattei, segnalando che in questo delitto potrebbe aver avuto un ruolo il “Cercle”, una misteriosa associazione – aristocratica, anticomunista e pan-europeista – di cui sino ad ora nulla si è saputo in Italia. Essa accoglieva, con poche eccezioni, il meglio della destra politica e finanziaria europea. Tra i circa settanta membri c’erano gli italiani Giulio Andreotti e il finanziere Carlo Pesenti; i tedeschi Konrad Adenauer e Franz-Josef Strauss; lo spagnolo Alfredo Sanchez-Bella, ex ministro di Francisco Franco e importante banchiere; il banchiere americano David Rockefeller; gli statisti francesi Jean Monnet, Robert Schuman, Antoine Pinay, Valéry Giscard d’Estaing e il fondatore dell’Oas Jacques Soustelle, nonché l’agente segreto dello Sdece (il controspionaggio francese) Jan Violet e il collega tedesco Reinhard Gehlen (l’ex capo dei Servizi segreti al tempo del nazismo).

Stando a quanto sul delitto avrebbe saputo Giacomo Rumor – cugino del notabile Dc Mariano Rumor – a uccidere Mattei (e il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista di “Time-Life” William McHale, con Mattei su quel volo maledetto) sarebbe stato un corso di nome Laurenzi detto “Sokar”, assunto all’aeroporto di Catania Fontanarossa poco prima dell’attentato. Laurenzi avrebbe sabotato l’aereo assieme a “Neter” – nome di copertura di un militare dell’Aeronautica italiana – e a tale Omar Terenski, sloveno. L’ordigno «che doveva attivarsi alla discesa del carrello in fase di atterraggio fu fatto invece esplodere in volo sopra la località di Bascapè da parte di un certo “Kukin”, dotato di un congegno trasmittente, situato a terra nei pressi della cascina dei Panigada, in località Albaredo», poco fuori Bascapè, a 17 chilometri dall’aeroporto milanese di Linate. Lo rivela Paolo Rumor, figlio di Giacomo, in L’altra Europa, un libro del 2017 scritto a più mani con Loris Bagnara e lo storico e politologo Giorgio Galli”
.

Gli assassini di Mattei addestrati in una base Nato?

Colpo di scena, “Sokar” e “Neter” avrebbero fatto pratica alla stazione radar dell’Aeronautica militare presso Gambolò-Remondò, che si trova anch’essa in provincia di Pavia, a poco più di quaranta chilometri in linea d’aria da Bascapè. Qui aveva sede il 12° Gruppo Radar Cram (acronimo di Gruppo radar Aeronautica militare), poi rinominato 112ª Squadriglia radar remota, una dipendenza Nato. Perché allora non ipotizzare che la bomba sia stata fatta esplodere da un radiocomando a distanza tarato su frequenze militari, come scrive Rumor riprendendo i “documenti riservati” del padre?

Ricordo che l’ipotesi di un abbattimento a distanza, come ipotizzato nel racconto di Paolo Rumor , non è presente nella indagine del giudice Calia, ma, come vedremo più avanti, un corso di nome Laurenzi è citato dall’agente segreto francese Thiraud De Vosjoli che ha scritto in un libro che il sicario era un corso chiamato “Laurent”.

Sulla “pista francese” nell’omicidio Mattei, ricordo le dichiarazione di Philippe Thiraud de Vosjoli nel film di Francesco Rosi , Il caso Mattei.

Io vorrei fare una indagine per scoprire se qualcuno che lavorava all’aeroporto di Catania come impiegato o come meccanico o anche semplicemente come uomo di fatica, ha lasciato il lavoro il giorno dopo o il giorno stesso in cui è avvenuto il disastro. Sono infatti sicuro che chi ha sabotato l’aereo si è licenziato lo stesso giorno o pochi giorni dopo.

“Domanda di F. Rosi:

In un suo libro Lei ha dedicato un capitolo alla morte di Mattei, ci può ripetere qui brevemente quanto ha scritto?”.

Risposta “ I Servizi segreti francesi si servirono di un loro agente il cui vero nome non conosco, so che era conosciuto come Laurent, era di origine corsa e parlava bene l’italiano. Fece pratica di strumentazione di bordo e in particolare di altimetri alla Morane Saulnier, la fabbrica costruttrice dell’aereo di Mattei. Al momento opportuno fu piazzato all’aeroporto di Catania ad aspettare ordini. Il piano sarebbe scattato quando le condizioni atmosferiche si fossero presentate ideali per il colpo. Gli spostamenti di Mattei venivano comunicati volta per volta da un uomo vicino a lui che godeva della sua fiducia e che lavorava per i servizi segreti francesi”.

Domanda di Rosi: “ Conosce il nome di quest’uomo?”.

Risposta: “Non lo conosco”.

Dal film non è che venga fuori l’ipotesi dell’attentato legato solamente alle compagnie petrolifere

e alla affermazione dell’intervistatore circa un coinvolgimento francese a causa della politica di Mattei a favore della lotta di liberazione algerina, Rosi prosegue dicendo che

infatti nel mio film è stato intervistato a New York un personaggio che si chiama Thiraud de Vosjoli, il quale si è assunto la responsabilità di affermare che prima di tutto si trattava di attentato e che l’attentato era stato preparato con la complicità dei servizi segreti francesi e parlava di un certo Laurent. Di questo Laurent, che sarebbe stato l’esecutore parla anche un ex agente del KGB. Tutte queste cose non sono delle novità per il film”.

Alla domanda se lui o i suoi colleghi abbiano avuto minacce Rosi risponde:

Durante la preparazione del Film, mentre scrivevo la sceneggiatura, sparì tragicamente il povero Mauro De Mauro, che stava raccogliendo del materiale sulle due ultime giornate, quando Mattei era in Sicilia”.

Come riportato da un articolo del Venerdì di Repubblica del 31 agosto 2012, relativamente alle minacce ricevute da Francesco Rosi, il Procuratore Vincenzo Calia dichiara:

Rosi, quando preparava il film, venne minacciato. Lo pressarono per cambiare la storia, per correggerne il finale. Ascoltai il regista il 14 marzo del 1996. Fu sempre molto schietto. Prima dell’inizio delle riprese, fu invitato due volte dai vertici di Esso. Volevano saperne di più. Spiegò loro che sul caso Mattei non aveva certezze, ma poneva interrogativi. Poi ancora prima della scomparsa di De Mauro, ricevette la telefonata di un uomo che si qualificò come steward Alitalia. Gli disse che aveva sentito durante un volo due persone parlare del suo film e gli chiese di incontrarlo. Rosi rifiutò. Infine arrivò una seconda telefonata alla sua governante: le dissero di riferire a Rosi di stare attento alle gambe e a quelle della figlia”.

In un articolo pubblicato sull’Espresso il 13 novembre 2022, “Mattei e Ustica. Misteri francesi”, il giornalista Gigi Riva riporta alcune recenti dichiarazioni di Calia relative al possibile coinvolgimento dei francesi nell’attentato a Mattei, che si era inimicato la Francia per il sostegno alla lotta di liberazione dell’FLN algerino, “tanto da ricevere minacce dall’OAS (Organisation de l’Armée Secrète) che combatteva contro l’indipendenza del paese africano”.

Le ipotesi del giudice Calia sulla “pista francese” sono presenti anche nel suo già citato saggio “Il processo sull’omicidio Mattei” presente in AA:VV. “Enrico Mattei e l’intelligence” .

Si ricorda che il presidente dell’ENI era pronto a siglare un importante accordo con l’Algeria di Ben Bella per il petrolio e il gas nel Sahara algerino, e Calia commenta che “I francesi hanno sempre ritenuto l’energia del Nord Africa roba loro. Mattei era un elemento di disturbo”.

Nel citato saggio Il processo sull’omicidio Mattei, Calia ricorda che nella sua inchiesta aveva ascoltato anche la deposizione dell’ammiraglio Fulvio Martini, nell’intelligence italiana già dal 1958 e direttore del Sismi dal 1984 al 1991, il quale aveva dichiarato alla Procura di Pavia nel 1996, di ritenere che l’incidente aereo

possa essere stato provocato da una mano straniera e, in particolare, francese, avuto riguardo alla circostanza che Mattei appoggiava la resistenza algerina e che i francesi erano molto sensibili sull’argomento”. Aggiungeva di aver “colto poi la particolare determinatezza dei Servizi francesi durante la guerra d’Algeria”.

E Calia nel libro riporta il parere del professor Francesco Forte, vicepresidente ENI dal 1971 al 1975, “secondo il quale all’interno dell’ente di Stato era pacifico per tutti che Mattei fosse stato ucciso dai francesi”. E che lo stesso Forte,in una intervista a Panorama del 2017, aveva dichiarato:

Mattei stava per concludere un accordo globale per l’esportazione di idrocarburi dall’Algeria. L’avevo saputo in via riservata perché tra le contropartite c’era anche il mio lavoro: sarei diventato consulente del Ministero delle Finanze di Algeri (…) e ciò avrebbe dato moltissimo fastidio ai francesi. All’ENI non abbiamo mai avuto dubbio che i mandanti dell’attentato fossero loro”.

Ma nell’articolo de L’Espresso si passa dalla cronaca alla letteratura:

Solo di recente l’ex magistrato Vincenzo Calia è venuto in possesso di un libro pubblicato nel 1968 da Fayard in Francia “Le Monde parallèle ou la Vérité sur espionage”. Una raccolta di storie raccontate dal comandante di vascello Henri Trautmann, ex ufficiale dello Sdece (servizi segreti per l’estero e il controspionaggio), usato l’anno prima per una serie di documentari poi riprodotti in volume da tre autori, Yves Ciampi, Pierre Accoce e Jean Dewever.

Al capitolo dieci una folgorazione. Perché è trasparentemente riprodotta pur con nomi e luoghi mutati, la vicenda di Mattei con un dettaglio che poteva essere noto solo a chi come minimo sapeva molto dell’attentato. Il meccanico di fiducia di Mattei, Marino Loretti, era stato rimosso dall’incarico con una falsa accusa ( morirà in seguito in un altro incidente aereo dai contorni sospetti) e sostituito. Nella finzione letteraria è tale Laurent (…) che manomette il bimotore per provocare il finto incidente.

Sempre nell’articolo pubblicato da L’Espresso si ricorda che nel più volte da me citato libro di Giuseppe Oddo e Riccardo Antoniani, gli autori hanno rintracciato il 14 maggio 2020 il novantunenne Pierre Accoce, l’unico dei tre autori del libro francese ancora vivente, il quale confermò:

Le storie che pubblicammo erano adattamenti televisivi di una serie diretta da Yves Ciampi. Erano vicende di spionaggio al limite della realtà in cui alla fine di ogni episodio appariva, come garante della veridicità narrativa un uomo sempre lasciato in penombra, il capitano Trautmann soprannominato l’ammiraglio’. E assicurò che i fatti narrati sono autentici. Morì tre mesi dopo”.

Marino Loretti morì in uno strano incidente

E’ interessante ripercorre la vicenda di Marino Loretti come è ricostruita da Calia nel suo libro Il caso Mattei. Loretti, ingiustamente sospettato di aver dimenticato un cacciavite nella presa d’aria di uno dei due motori, nel luglio 1962 fu inviato in Marocco su disposizione del responsabile del servizio aeromobili della SNAM, ingegner Giorgio Muran. Le indagini sul cacciavite, siamo nel gennaio 1962, sono condotte dal maggiore dei Carabinieri Francesco De Forcellinis (Sifar) e dal capo dell’ufficio D del Sifar e futuro piduista Giovanni Allavena, colonnello dei Carabinieri, notoriamente in rapporti con Cefis (un’amicizia cominciata quando i due erano allievi all’Accademia militare di Modena).

Al posto di Loretti all’aeroporto Roma – Urbe, che ospitava gli aerei del gruppo ENI, fu scelto Giancarlo Morten,un giovane tecnico proveniente dall’Aeroclub di Modena (frequentato anche da Eugenio Cefis) che l’Agip Mineraria aveva assunto nel gennaio del 1962.

Marino Loretti potè rientrare in Italia solo a dicembre 1962, e poco dopo si dimise. Negli anni successivi condurrà indagini personali sulla tragedia di Bascapè, tanto da concludere che si fosse trattato di un sabotaggio al comando di fuoriuscita del carrello, come in seguito dimostrato dall’indagine di Calia. Lo scrisse il 27 febbraio 1969 a Italo Mattei, fratello di Enrico, aggiungendo che

“…inspiegabilmente mi sono visto allontanare, pur sapendo, e lo posso documentare, di avere goduto piena fiducia e molta stima da parte dell’ingegner Mattei, e soprattutto del comandante Bertuzzi. Ma qualcuno aveva interesse a mettermi in cattiva luce, forse avevano interesse a tenermi lontano”.

Marino Loretti troverà la morte il 14 agosto 1969 in un incidente aereo: l’aereotaxi bimotore da lui pilotato precipitò appena dopo il decollo dall’aeroporto di Ciampino a causa di un blocco dei due motori. Il motivo della caduta: i serbatoi contenevano poco carburante ed erano pieni di acqua.

Ritorniamo al libro di Paolo Rumor, ne troviamo riferimenti anche nell’articolo di Tino Oldani pubblicato su Italia Oggi del 5 settembre 2018 https://www.italiaoggi.it/news/un-libro-sull-europa-a-sorpresa-rivela-in-modo-credibile-che-l-aereo-di-enrico-mattei-ENI-esplose-per-2295562

Nell’articolo si ricorda che la politica petrolifera di Mattei stava causando un danno economico ai petrolieri anglo-americani delle Sette sorelle, in quanto violava un patto stabilito nel 1943 con i capi della resistenza, non comunisti, patto in base al quale nel dopoguerra il governo italiano si sarebbe dovuto servire delle compagnie anglo-americane per coprire il fabbisogno energetico.

E questo avveniva nel momento di massima crisi tra USA e URSS a causa della crisi dei missili a Cuba, mentre Mattei intavolava trattative con i sovietici per la fornitura di petrolio e gas, quindi influenzando pesantemente la politica estera italiana, quasi svolgendo una politica estera parallela.

Oldani riporta che Paolo Rumor scrive che nel memoriale del padre sia documentato il tentativo di fermare Mattei e che per questo si mosse la diplomazia USA – Vaticano. Il cardinale di New York, Spellman, contattò mons. Montini ( il futuro Paolo IV) per influire su Mattei. Montini era in stretti rapporti con Giacomo Rumor, che militò nelle file delle Resistenza in Veneto e che era stato indicato dal Vaticano e da De Gasperi a rappresentare l’Italia nelle prime riunioni in cui si preparava la strada alla futura Unione europea. Giacomo Rumor, che conosceva bene Mattei dai tempi della guerra di liberazione, fu portatore del messaggio statunitense e della gravità della minaccia che pendeva su di lui. Scrive Paolo Rumor:

Mattei fu messo in guardia da mio padre. Egli rispose di aver ricevuto una analoga segnalazione da un giornalista dell’Istvestija, Leonid Kolossov. Ma non ritenne questa segnalazione sufficientemente preoccupante, al pari di altre già ricevute”.

Ritorniamo quindi a quanto scritto dal giudice Calia nel suo contributo Il processo sull’omicidio Mattei contenuto nel recente libro Enrico Mattei e l’intelligence, dove si ipotizza anche una trama italiana per l’attentato a Mattei. Calia riporta che all’epoca molti ritenessero Eugenio Cefis non estraneo al complotto, e riporta un fascicolo dell’Ucigos (Ufficio Centrale per le investigazioni Generali e per le Operazioni Speciali) datato 9 dicembre 1970 e intestato proprio a Cefis nel quale si riportavano i sospetti, sospetti presenti anche all’interno dell’ENI. Ricordiamo che Cefis a inizio 1962 era stato allontanato dall’ENI, e vi era rientrato dopo la morte di Mattei, prima all’Agip e poi successivamente come presidente. Ecco il testo dell’informativa riportata da Calia:

Le recenti polemiche sulla morte di Enrico Mattei avrebbero indebolito la posizione di Eugenio Cefis, per i sospetti ingenerati sulla sua condotta passata. Sembra che, anche all’interno della stessa ENI, non manchi chi crede veramente che la morte di Mattei sia stata tutt’altro che fortuita e che la responsabilità del Cefis sia molto più diretta di quanto emerso sino a questo momento”.

Come scrivono Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza in Profondo nero, Chiarelettere 2009

Cefis è allievo della Scuola militare di Milano dal 1936 al 1939 e frequenta l’Accademia militare di Modena dal 1939 al 1941. Dalla fine dell’ottobre 1943 al 25 aprile 1945 combatte sui monti della Val d’Ossola nella formazione partigiana Valtoce prima, e poi nel raggruppamento Alfredo Di Dio (Piemonte e Lombardia). Cefis è un abile stratega, ma soprattutto un freddo esecutore degli ordini dell’unica enclave partigiana costituita nel 1944 nel Nord Italia, proprio in val d’Ossola. Negli anni della Resistenza, grazie alla sua buona conoscenza dell’inglese, entra in contatto con gli americani della testa di ponte vicino a Bergamo. I suoi rapporti si fanno stretti con il capitano Emilio Daddario, esponente dell’OSS. E’ l’origine di quelle sotterranee ma efficacissime affinità elettive tra Cefis e i suoi «amici americani», di cui si parlerà, a torto o ragione, per tutta la durata del secolo”.

Il primo documento che collega Cefis all’intelligence americana anche dopo la fine della sua esperienza partigiana è una nota riservata del 2 gennaio 1971 attribuita all’Ucigos:

“In base a quanto riferito da fonti confidenziali […] Italo Mattei [fratello di Enrico] avrebbe la prova che l’allontanamento di Cefis dall’Eni, alcuni mesi prima del disastro aereo di Bascapè, non fu un gesto spontaneo, ma fu imposto dal defunto Enrico Mattei in quanto questi avrebbe scoperto che il Cefis faceva il doppio gioco ed era collegato coi servizi segreti americani”.

Ma esiste anche la testimonianza di Angelo Mattei (nipote di Enrico) raccolta durante l’inchiesta del giudice Calia. Angelo Mattei dichiarò che suo zio

«si era accorto che qualcuno metteva le mani nella sua cassaforte personale che aveva dietro un quadro in una stanza a sua esclusiva disposizione all’Eni di Roma. Mattei si rivolse quindi ad uno dei suoi più stretti collaboratori […] dicendogli di diffondere la voce che sarebbe partito e si sarebbe assentato per due o tre giorni. Invece di partire si nascose in uno stanzino comunicante con la stanza ove era la cassaforte. Dopo pochi minuti entrò Cefis e mio zio lo colse con le mani nella cassaforte, da dove aveva preso e stava leggendo alcuni documenti che concernevano finanziamenti a partiti o personaggi politici. A questo punto mio zio pose a Cefis l’alternativa di dare le dimissioni o di essere cacciato via: Cefis preferì dare le dimissioni, motivandole ufficialmente – ancora oggi – con il fatto che egli non condivideva la politica economica dell’Eni».

Lasciamo la parola a quanto scrive Vincenzo Calia sulla ipotesi del coinvolgimento di uomini dell’apparato statale:

Dalle fonti di prova emerge che l’esecuzione dell’attentato venne decisa e pianificata all’inizio del 1962, probabilmente quando si ritenne che il presidente dell’ENI, nonostante gli aspri attacchi e le ripetute minacce, non avrebbe lasciato spontaneamente la carica nell’ente petrolifero di Stato. L’esecuzione dell’attentato ebbe avvio con le manovre volte all’allontanamento di Marino Loretti, motorista addetto al bimotore e proseguì con l’attuazione di interventi volti a indurre il Presidente a tornare in Sicilia, dopo solo una settimana da un precedente viaggio nell’isola, con la predisposizione di un sabotaggio non facile e, infine con l’attuazione di misure volte a nascondere, anche nel tempo la natura dolosa della sciagura”.

Più avanti Calia ricorda che:

La programmazione, l’esecuzione e la copertura dell’attentato furono dunque complesse e comportarono – quantomeno come collaborazione – il necessario coinvolgimento di uomini inseriti nello stesso ente petrolifero e negli organi di sicurezza dello Stato con responsabilità non di secondo piano. Tale coinvolgimento ha trovato conferma nei depistaggi, nelle manipolazioni, nelle soppressioni di prove e di documenti, nelle pressioni, nelle minacce e nell’accertata assenza, in tutti gli archivi, di ogni documento e informativa relativa alle indagini sulla morte di uno dei personaggi più eminenti nel quadro politico ed economico dell’epoca (…).

E’ facile dedurre che tale imponente attività, protrattasi nel tempo, prima per la preparazione e l’esecuzione del delitto e poi per coprire, disinformare e depistare, non può essere ascritta – per la sua stessa complessità, ampiezza e durata – esclusivamente a gruppi criminali, mafiosi, economici, italiani o stranieri o a Servizi segreti di altri paesi, se non con l’appoggio e la fattiva collaborazione – cosciente, volontaria e continuata – di persone e strutture profondamente radicate nelle nostre istituzioni e nello stesso ente petrolifero di Stato; persone che hanno eseguito ordini o consigli, deliberato autonomamente o con il consenso e il sostegno di interessi coincidenti, ma che, comunque, da quel delitto hanno conseguito vantaggi”.

Come ho scritto all’inizio, in un futuro terzo articolo approfondirò e presenterò le varie ipotesi sul ruolo delle agenzie di intelligence in quegli anni e su mandanti ed esecutori dell’omicidio di Mattei. Farò riferimento a documenti e testimonianze e in particolare al documentato e interessante saggio “Enrico Mattei e l’intelligence- Petrolio e interesse nazionale nella guerra fredda” (2022), curato da Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di intelligence e professore ordinario all’Università della Calabria, dove dirige il Master in intelligence fondato nel 2007 con Francesco Cossiga. E’ un saggio molto interessante che vede contributi di vari qualificati studiosi ed esperti del settore.

In conclusione

La personalità di Mattei, la sua opera, i misteri sul suo omicidio sono elementi tra i più importanti e significativi della storia italiana contemporanea.

Con la sua fine nel 1962 si crea un prima e un dopo nella nostra storia.

Egli fu ucciso, non conosciamo mandati ed esecutori, ma si impedì che raccogliesse i frutti del suo sostegno alla indipendenza algerina in una accordo che prevedeva anche una partnership con la Francia, che si arrivasse ad un accordo con le Sette Sorelle, che si realizzasse il primo grande progetto di oleodotto e gasdotto europeo, che si consolidasse un accordo commerciale paritetico con i paesi produttori, in particolare l’Iraq e Algeria, e con i paesi del Patto di Varsavia, ma soprattutto direi che si volle impedire la possibilità che Mattei incontrasse Kennedy e che Mattei vedesse rafforzata la sua posizione politica in un governo di centro-sinistra che potesse godere dell’appoggio del presidente della “nuova frontiera”.

Se non fosse stato ucciso e se avesse potuto continuare nella sua opera, probabilmente la storia italiana avrebbe avuto un altro corso.

Mattei rimane un modello di creatore di iniziative entusiasmanti, colui che seppe risvegliare l’orgoglio di una Nazione risorta dalle rovine di una guerra anche civile. Seppe creare un gruppo compatto e motivato di uomini e donne, di giovani dirigenti e tecnici preparati capaci di operare senza complessi di inferiorità verso le altre nazioni più potenti, che lavoravano per portare una Italia competitiva fra le grandi potenze industriali. Senza Mattei non avremmo avuto il miracolo economico italiano. Senza Mattei non saremmo nel G7. Senza Mattei non si potrebbe parlare di un “Piano Mattei per l’Africa”.

Scampato due volte alla fucilazione da parte dei nazi-fascisti durante la Resistenza, la sua morte è avvenuta il giorno prima della risoluzione della crisi dei missili a Cuba (28 ottobre 1962), ha preceduto di 8 mesi la morte di Papa Giovanni XXIII ( 3 giugno 1963), di 14 mesi il primo governo Moro di centro-sinistra “organico” (4 dicembre 1963), di 13 mesi l’assassinio di Kennedy (22 novembre 1963), di due anni la deposizione di Nikita Chruscev (15 ottobre 1964).

E potremmo dire che la sua morte ha preceduto di 16 anni l’assassinio di Aldo Moro (9 maggio 1978).

Gianfranco Noferi

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