OCCIDENTE E ORIENTE IN EUROPA: TRA MISTIFICAZIONI E REALPOLITIK

di Luigi Troiani

Le relazioni tra Stati Uniti ed Europa appaiono connotarsi in modo diverso a seconda delle epoche, caratterizzandosi tuttavia per elementi di continuità strutturale di lungo periodo basati su interessi

geopolitici comuni delle due masse continentali.

Nel periodo immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale, la volontà statunitense fu con evidenza favorevole all’aggregazione economica e politica tra i paesi del vecchio continente. Il successo di quel progetto era ritenuto nell’interesse del popolo americano, dovendosi, in Europa: costituire il fronte alleato antisovietico, disporre di un mercato capitalistico ricostruito e pronto al dialogo commerciale con il grande competitore americano, risolvere il “problema tedesco” ed evitare l’insorgere di tensioni che potessero condurre a nuovi conflitti nel teatro europeo.

Di fronte alle esitazioni francesi a procedere verso formule di aggregazione europea, gli Stati Uniti sarebbero arrivati a minacciare di sospendere gli aiuti stanziati attraverso lo European Recovery Program, Erp, meglio conosciuto come piano Marshall. Da quella fermezza, sarebbe nata, nel 1948, Oece, Organizzazione per la cooperazione economica europea, successivamente trasformata in Ocse, con sede a Parigi.

L’organizzazione avrebbe gestito i fondi statunitensi in modo multilaterale, e non bilaterale come avrebbero voluto i francesi. Il 19 aprile 1949 il Congresso, approvando l’Amending Act alla legge 2 aprile 1948 sulla cooperazione economica, affermava nel preambolo: “La politica del popolo degli Stati Uniti è di incoraggiare l’unificazione dell’Europa”.

Qualche mese dopo George Kennan, il teorico del containment occidentale contro l’espansionismo sovietico, scriverà al segretario di stato Dean Acheson che la soluzione al problema tedesco andava trovata in una Germania “unita ma smilitarizzata, dentro la Federazione europea guidata dalla Francia”.

Nell’agosto 1950, su proposta di Churchill, l’Assemblea del Consiglio d’Europa avrebbe votato la proposta di esercito europeo unificato. Washington era favorevole ed espresse con chiarezza il desiderio che la nuova Repubblica Federale Tedesca ne fosse parte.

Nell’aprile 1951 è firmato il trattato di Parigi, che crea la prima Comunità Europea, del Carbone e dell’Acciaio, Ceca, in vigore da luglio dell’anno successivo. Il 10 agosto 1952 Jean Monnet è nominato presidente dell’Alta Autorità Ceca.

Il giorno dopo Acheson dichiara che gli Stati Uniti sostengono la Ceca, vista la “sua importanza per l’unificazione politica ed economica dell’Europa”, e invia un rappresentante presso l’Alta Autorità. Si tratta di William “Tommy” Tomilson, amico di Jean Monnet, al quale farà seguito il 18 febbraio 1953, per volere di Foster Dulles, nuovo segretario di stato, David K. Bruce, già sottosegretario di stato. Bruce otterrà anche il titolo di osservatore ad interim presso la Ced, Comunità Europea di Difesa, che non entrerà mai in funzione. Va sottolineato che la cordiale intesa tra la prima istituzione europea e la democrazia statunitense, è facilitata dal fatto che Jean Monnet, durante la guerra, avesse combattuto con gli americani e che piani di ripresa economica e finanziaria dell’Europa post bellica siano stati condivisi, tra Europa e America, anche grazie al ruolo gestionale giocato da Monnet. Tomilson e Bruce possono essere considerati ambedue collaboratori e amici di Jean Monnet, altro segnale speciale che gli Stati Uniti inviano alla costruenda integrazione europea.

Gli Stati Uniti sono il primo paese non membro che riconosca la nuova istituzione. Con l’invio della loro delegazione presso la Ceca, scelgono di annullare ogni contatto con i sei paesi membri in materia di carbone e acciaio, riservando all’istituzione comune l’esclusiva delle due materie. Jean Monnet corrisponde al riconoscimento, stabilendo a Washington una rappresentanza dell’Alta Autorità della Ceca. A seguire, nell’aprile 1954, Washington effettua un prestito ai partner europei di 100 milioni di dollari al 3,7% d’interesse.

In quest’ambito vale la pena ricordare che l’Italia era stata iscritta nell’elenco dei primi programmi di assistenza americana, che da giugno 1947 erano poi stati ulteriormente precisati con il Marshall Plan. In agosto 1947 sarebbero stati sbloccati i beni italiani in America, e scongelati i fondi là depositati. Il 13 dicembre gli ultimi soldati americani d’occupazione lasciavano l’Italia: nell’occasione Truman dichiarava alla radio che gli Stati Uniti avrebbero continuato a garantire la difesa dell’Italia come paese “libero e indipendente”.

Si consideri che la Ceca, sul piano formale, aveva la natura di accordo settoriale intergovernativo, su base regionale. La diplomazia statunitense ne tralascia la bassa intensità economica e politica, e ne evidenzia il potenziale strategico. Fatto tanto più rilevante, in quanto il Regno Unito, alleato “naturale” di Washington, non solo non era parte di quell’accordo, ma gli risultava nettamente contrario, non condividendo il progetto politico intuibile nel trattato di Parigi, né accettando l’alterazione dello status quo nel bacino della Ruhr che quel trattato comportava, prefigurazione della grande ripresa economica tedesca e del ritorno nel gioco diplomatico della Germania.

Negli anni ’50 e ’60, la partita occidente oriente, il confronto   strategico tra le potenze nucleari statunitense e sovietica, si gioca soprattutto sul campo europeo. Il continente è uscito dal conflitto mondiale, diviso in due sfere di influenza. Il sistema bipolare realizza la spaccatura mai prima sperimentata in Europa tra un presunto occidente e un presunto oriente, occupati militarmente e controllati politicamente ideologicamente ed economicamente da due potenze non europee. Si tratta di un fenomeno che stravolge il corso della storia del vecchio continente, le cui nazioni si ritrovano, a causa del risultato bellico, “ridefinite” e “collocate” ben oltre le loro scelte.

Si pensi a come fosse di comune accettazione, in quel tempo ma anche nei due decenni successivi, che paesi da millenni parte della storia d’occidente, come gli slavi di Slovenia e Croazia di Polonia e Cecoslovacchia, o popoli come quello ungherese, si ritrovassero a far parte di un “oriente” del quale culturalmente e politicamente avevano condiviso soprattutto i rischi arrivati a più riprese nel corso dei secoli attraverso invasioni e guerre. Si pensi al destino delle tre piccole repubbliche baltiche Lettonia, Lituania, Estonia, espulse dalla comunità baltica e scandinavo-finnica alla quale la geografia e la geopolitica le avevano da sempre destinate.

Si pensi al pericolo di distacco corso da Trieste ma anche dall’Austria, nell’immediato dopoguerra, al tragico destino toccato alla parte orientale della Germania, inghiottita dalla logica della divisione in blocchi dell’Europa oltre che dall’esigenza di castigare ciò che restava del terzo Reich.

Privati dei contenuti culturale, filosofico e politico appartenenti alla storia del continente europeo, i termini occidente e oriente diventano paradossi propagandistici del realismo imperante, e del conflitto fra due superpotenze non europee: scegliendo l’Europa come centro delle loro contese, è occidente tutto ciò che, in termini strategici politici ed economici fa riferimento all’Atlantico e agli Stati Uniti, e viceversa per quanto riguarda l’Unione Sovietica.

Alla falsificazione necessitata dallo scontro tra blocchi, divenuta fondamento della “verità” politica che informa le relazioni internazionali dei decenni di guerra fredda, contribuì anche il rapporto atlantico tra Europa e Stati Uniti, che venne presto incapsulato nella logica del confronto est ovest.

La frontiera, tra le due Europe, era stata fissata per primo da Winston Churchill, il 5 marzo 1946, nel discorso pronunciato all’università di Fulton, nel Missouri, alla presenza del presidente Truman e di alti esponenti della sua amministrazione.

Nel dichiarare “From Stettin in the Baltic to Trieste in the Adriatic, an iron curtain has descended across the continent” l’ex primo ministro britannico ridisegnava la cartina continentale, fissando ciò che da quel momento sarebbe stato considerato ovest ed est.

In quel discorso Churchill chiese anche la “special relationship” tra le due potenze dell’“English-speaking world”, invito dal sapore vagamente razzista, come nota subito Stalin da Mosca, che il democratico Truman rispedisce al mittente, non volendo seguire il bellicoso atteggiamento del conservatore britannico favorevole al riarmo e allo scontro con i sovietici, e soprattutto fare della democrazia americana il puntello del morente impero colonialista.

C’era anche, in Truman, la necessità di non discriminare tra europei, cominciando ad essere chiara, nella sua amministrazione, la volontà di costruire un’alleanza regionale fondata su valori condivisi, e su interessi economici comuni, oltre che sulla forza delle armi.

In pochi anni – la Nato è fondata nel 1949 – l’alleanza tra paesi del lato atlantico dell’Europa iniziava ad essere presentata alle pubbliche opinioni che vengono impegnate nella lotta al comunismo internazionale guidato da Mosca, come alleanza tra occidentali, anzi l’occidente tout court, possibilmente scritto con la maiuscola.

E occidente stava, nella vulgata che circolerà sino alla caduta del blocco sovietico, per regno di democrazia e ricchezza, luogo di civiltà giuridica e giustizia sociale, paradiso delle libertà conquistate e scritte nelle costituzioni dei paesi “occidentali”, in quanto tali democratici.

A confortare la divisione manichea tra una buona Europa, l’occidentale e una cattiva Europa, l’orientale, oltre alla propaganda, stavano anche solidi miti, come quello, fondante, del ratto d’Europa.

Nella mitologia greca, Europa, nata a Tiro, è figlia del re fenicio Agenore. Zeus se ne innamora, guardandola giocare sulla spiaggia, e per avvicinarla assume le sembianze di toro bianco bello e docile. Confusa, la fanciulla è attirata sul groppone del toro, che la rapisce e, nuotando nelle acque del Mediterraneo, la conduce a Creta. Zeus si unisce all’amata, che genererà tre pargoli, tra i quali Minosse, primo legislatore cretese. Il mito indurrà i greci ad usare il nome Europa per indicare lo spazio percorso da Zeus toro. Quell’unità territoriale che da occidente si estendeva ad oriente, garantita dal mito, si spezzerà dinanzi alla minaccia persiana, in arrivo da oriente.

Da allora per i greci, e di conseguenza per gli europei, oriente sarà sinonimo di dispotismo, rozzezza, crudeltà gratuita. L’oriente assolutista e clanico non riuscirà mai a conquistare l’Europa, né a prevalere: è fermato a Salamina e Azio, e più tardi nei molteplici scontri che si succedono in suolo europeo con il mondo arabo e musulmano. 

Peccato che l’”occidente” europeo degli anni di guerra fredda non si qualificasse sempre come campione di democrazia e tolleranza, entrando in contraddizione con le proprie pretese, e indebolendo la proposta politica dell’alleanza atlantica.

Il Portogallo di Salazar, la Grecia dei colonnelli, la Turchia della casta militare che reprime opposizioni ed etnie – tutti  membri della Nato – furono esempio delle contraddizioni interne, mai risolte nel rapporto euro atlantico, tra enunciazioni e pratica. La Spagna di Franco, non aderente alla Nato ma ad essa collegata da accordi bilaterali con gli Stati Uniti con basi in territorio ispanico, ne costituì un’ulteriore conferma. Tra l’altro Spagna e Portogallo, diversamente da Turchia e Grecia, erano anche regimi ideologizzati di tipo fascista e corporativo, mascherati da continui proclami cristiani e di adesione ai cosiddetti valori occidentali.

Meglio sarebbe stato definire l’alleanza atlantica per quello che era: stare insieme fra diversi per arginare l’espansionismo geopolitico sovietico. Senza agitare il nome di occidente come valore politico e ideologico, consentendo alla propaganda di violare le verità della storia.

(da La diplomazia dell’arroganza, L’Ornitorinco ed.)