di Franco D’Alfonso
L’interesse e le perplessità suscitate dall’iniziativa presa singolarmente e non come partito dai cosiddetti “riformisti” del Pd, di Azione, Italia Viva, Civici e +Europa a Milano, con la costituzione del “Circolo Matteotti – Dare” tra attivisti ed elettori civici non legati ai partiti, meritano qualche parola di chiarimento.
Il “74simo inutile tentativo di dare forma politica liberaldemocratica” (formula utilizzata da Sergio Scalpelli per presentare la serata) ha raccolto adesioni in presenza e in domande successive di adesione perché non è stato presentato dai promotori come tale, ma più modestamente ed utilmente come la volontà di offrire un punto di incontro e di confronto politico per chi ritiene di fare riferimento a un pensiero riformista di centro sinistra, qualsiasi cosa questo significhi, prendendo atto del fatto che il dibattito politico e culturale all’interno di partiti e organizzazioni politiche è ormai da tempo sostanzialmente ridotto allo scambio di affermazioni inutilmente apodittiche via tweet, riprese nei titoli di giornali e comunque limitate ai pochi presunti leader dotati di qualche centinaio di like sui social.
Il nome di Matteotti è stato adottato, dicono sempre i promotori, per rendere chiaro sin dall’inizio la collocazione a sinistra e non in un generico e ormai immaginario centro ed il carattere di “militanza politica” e non solo genericamente culturale dell’intera iniziativa, evidentemente trasversale in diversi partiti e gruppi: si tratta in sostanza di un circolo di “corrente politica” (questo non lo dicono esplicitamente i promotori) con la possibile ambizione di agire all’interno dei vari partiti di appartenenza – nessuno dei quali è integralmente o ufficialmente aderente all’iniziativa – per orientare e influenzare il dibattito interno agli stessi.
Il terreno di incontro proposto è quello della politica europea, avendo individuato nelle scelte economiche, geopolitiche e amministrative, che a cadenza giornaliera arrivano sul tavolo ideale di tutti i cittadini di tutta Europa, la materia sulla quale se ne determinerà il futuro o il declino, con l’obiettivo di far prendere consapevolezza e coscienza alla sinistra italiana, che pare invece esserne a oggi molto lontana.
Le reazioni e le adesioni alle dichiarazioni di intenti basata su questi tre caposaldi sono l’ennesima dimostrazione che la crisi di questa area politica non è determinata dalla “domanda” – in particolare nella città di Milano è costantemente potenzialmente vicina al 30 per cento e stabilmente intorno al 20 per cento da quindici appuntamenti elettorali dal 2011 ad oggi – bensì dall’ “offerta”, sempre dispersa fra gruppi litigiosi e concorrenti per qualche strapuntino da sbarramento al 3%.
Grazie a questa impostazione, l’esordio del Matteotti Dare ha felicemente raggiunto alcuni obiettivi iniziali : ha dato visibilità ed evidenza ad un’area del Pd che fino ad ora pretendeva essere considerata corrente politica essendo poco più che un refolo da finestra socchiusa in quella stanza chiusa che è da molto tempo il Partito Democratico; ha offerto potenzialmente una sponda e un possibile terreno di confronto e discussione a molti avvicinatisi alla politica nei minipartiti personali che li hanno illusi essere il nuovo in politica mentre si sono rapidamente quasi sempre rivelati al massimo una polizza per il seggio parlamentare di pochi e per lo più politicamente inutili se non dannosi; ha tenuto la discussione su temi di politica “alta”, anche se con qualche caduta di tono stile talk show televisivo.
Come sempre, il secondo passo sarà più importante del primo e credo di fare cosa utile ai promotori segnalando loro quelli che a mio avviso sono alcuni rischi che già si intravvedono sul loro cammino.
Il primo e più evidente è quello di ridursi a un elemento di lotta interna al Pd o peggio alla segreteria del Pd, con una sovra rappresentazione di dirigenti in cerca di sponde per ricollocazioni personali: assolutamente legittimo, per carità, ma come minimo poco interessante per gli esterni alla confraternita di staff leasing di personale politico cui spesso si è ridotta la politica partitica in troppi casi negli ultimi anni.
Ed è proprio sul piano della linea politica che i promotori del Matteotti devono essere particolarmente vigili, evitando sia il rischio dell’eccessiva inclusività – che pure è elemento fondante e centrale dell’iniziativa – sia quello dell’arroganza del possesso di qualche verità incontestabile.
A mio parere i promotori del Matteotti non devono riproporre uno degli errori fondativi del Pd, la pretesa di essere un “catch all party”, un organismo che cerca di allargare il consenso in tutte le direzioni attraverso “non scelte” o peggio sulla riscrittura invece che sulla riproposizione delle radici politico culturali. Trovare un terreno comune di lavoro politico non vuol dire inventarsi convergenze retroattive fra Einaudi e Matteotti (notoriamente in durissimo contrasto su qualsiasi argomento di politica economica, bilancio e soprattutto fiscale), né dimenticarsi che Gramsci (e con lui Togliatti) definì Matteotti dopo il suo assassinio “pellegrino del nulla” o dimenticare che proprio da Milano il liberale Malagodi fu il più irriducibile avversario del centrosinistra e che tale impostazione è rimasta fino alla svolta delle giunte di sinistra degli anni Ottanta e riemerge un po’ goffamente anche in questi giorni nelle parole di alcuni esponenti autodefinitesi “liberali” affascinati dalla motosega di Milei.
Non essendo un partito, il Circolo deve mettere in conto il fatto che se la convergenza sul tema della difesa europea sarà ampia, le divergenze sulle scelte di politica economica saranno probabilmente significative, almeno quanto quelle già evidenziate con la maggioranza del Pd sulla difesa europea o sui referendum e l’ampiezza della sua azione politica e la sua stessa tenuta sarà misurata dalla capacità di gestire posizioni e pareri diversi senza renderli elementi di rottura politica interna al centrosinistra ma senza negarli come avvenuto in un PD che ha finito per non riconoscere più nessuna radice invece che più radici comuni.
“La verità era uno specchio che cadendo dal cielo si ruppe. Ciascuno ne prese un pezzo e vedendo riflessa in esso la propria immagine, credette di possedere l’intera verità…”
Così diceva nel 13° secolo il pensatore e poeta persiano sufi Jalaladdin Rumi. Era l’epoca nella quale templari, sufi e cabalisti ebraici tentavano di produrre l’esperimento di una libera Gerusalemme, neo-capitale di una nuova religione sincretica veramente e profondamente unificante degli spiriti dove ognuno avrebbe portato il suo pezzo di specchio per ricostituire insieme la verità comune per realizzare il mito della Gerusalemme Celeste…
Solo pochi illuminati, tra cui Federico II e San Francesco, lo compresero mentre papi, nobiltà nera europea e musulmana e poteri oscuri dell’epoca, fecero di tutto per far fallire il sogno.
Se il “Matteotti Dare” eviterà di specchiarsi nel suo lucido frammento e cercherà di incollarlo ad altri pezzi più grossi senza forzarne le… giunture, potrà vantarsi di aver reso un servizio alla politica del centrosinistra.