L’ULTIMO DON CAMILLO

Storia di un film mai realizzato

di Giuseppe Costigliola

La storia del cinema, come la vita di ognuno, è piena di progetti irrealizzati. Per le ragioni più varie, vi sono stati e sempre vi saranno film abortiti, arenatisi in stato avanzato di preproduzione, bloccati a riprese iniziate e mai terminati. A quest’ultima casistica appartiene una pellicola su cui si è favoleggiato a lungo, per la sua rilevanza e per la misteriosa scomparsa del girato: doveva essere il capitolo conclusivo della celeberrima saga di Peppone e Don Camillo, i personaggi partoriti dalla feconda penna di Giovanni Guareschi e portati sullo schermo con straordinario successo nelle fattezze di Gino Cervi e Fernandel.

A questo film che mai vide la luce, al suo mistero, è dedicato un libro, L’ultimo Don Camillo. Immagini e ricordi di un film perduto, curato da Alberto Anile, critico e storico del cinema, pubblicato da Minimum Fax sotto l’egida del Centro Sperimentale di Cinema (pp. 143, € 30).

Nel saggio introduttivo, Anile ricostruisce con piglio filologico le vicende che, dal romanzo di Guareschi uscito a puntate fra luglio e dicembre del 1966 sulla rivista “Oggi” (Don Camillo e la ragazza yé-yé), condussero dalla contrastata e più volte rimaneggiata sceneggiatura, al cambio del titolo, alla presentazione alla stampa del film, sino all’inizio delle riprese nel luglio 1970, in quel di Brescello, storico scenario dei cinque film precedenti.

La regia era affidata al francese Christian-Jacque, il quale si proponeva di rinverdire la verve del suo connazionale Julien Duvivier, che aveva diretto i primi due capitoli, nel 1952 e nel 1953. Sarebbe stata la prima pellicola a colori della saga, e la produzione (Rizzoli) aveva scritturato il cast originale quasi al completo, mancava il solo Saro Urzì: c’erano Gino Cervi e Fernandel, Graziella Granata (apparsa nel film precedente) e Leda Gloria, con nuovi innesti, tra cui il giovane Giancarlo Giannini, Maurizio Bonuglia, Paolo e l’allora celebre gruppo dei Rokes, con il leader Shel Shapiro. Il titolo definitivo del film era intanto divenuto Don Camillo, Peppone e i giovani d’oggi e la trama ruotava attorno all’irruzione del progresso e della contestazione nella Bassa Padana, con il sindaco comunista e il curato conservatore spaesati e superati, finalmente solidali davanti all’avvento della modernità.

Davvero partecipato il racconto di Anile, che ricostruisce il mese di riprese (dal 12 luglio all’11 agosto), interrotte per la malattia che colse e in seguito portò alla morte (nel febbraio 1971) Fernandel, tra un caldo-umido infernale, la partecipazione dei paesani, l’attenzione spasmodica della stampa italiana ed estera, l’attesa dei tanti ammiratori degli ormai leggendari personaggi.

Una narrazione arricchita da immagini inedite rocambolescamente recuperate prima che finissero al macero (storia nella storia), foto e provini cinematografici di quei giorni lontani riordinati dalla Cineteca Nazionale, da interviste al figlio dello scrittore, Alberto Guareschi, agli attori Giancarlo Gianni, Graziella Granata, al musicista Shel Shapiro, all’aiuto regista Gigi Oliviero ­– una miniera di ricordi e di informazioni preziose.

Il libro è chiuso dal “Racconto del film che non fu” ad opera del curatore, ovvero la ricostruzione di quel che sarebbe stata la pellicola, resa possibile dalla sceneggiatura (conservata al Centro Sperimentale di Cinema), messa anche in prospettiva con il romanzo di Guareschi e con il film che Mario Camerini girò due anni dopo, protagonisti Gastone Moschin e Lionel Stander. Da segnalare cinque notevoli saggi che ricreano un affresco dei personaggi e della società del loro tempo (di Dario R. Viganò, Steve Della Casa, Marco Vanelli), un ritratto del regista (di Roberto Chiesi), e degli “Appunti sulla sparizione di un film” (Luca Pallanch). Sì, perché il girato di quel mese, il sonoro di tutto il film registrato da Fernandel prima della malattia, sono scomparsi nel nulla, si ignora se siano conservati o sepolti in qualche magazzino ­– il mistero permane.

Insomma, un’appassionata ricostruzione, densa di pathos e di informazioni, con un tocco di giallo e di spirito investigativo. Pagine dedicate non solo ai cultori e agli studiosi, ma a coloro che apprezzano le suggestioni di un’epoca lontana, in cui rivivono attrici e attori che sembravano con le loro storie far parte del quotidiano, dove il cinema, produttore per eccellenza d’immaginari, era ancora in simbiotico rapporto con la società e con le nostre emozioni.