Trent’anni dopo l’avvio delle trasmissioni in diretta delle partite a pagamento
Quattordici/B Techné Storie di media e società
Francesco Devescovi
Già dirigente Rai esperto di economia dei media
Trent’anni dopo l’avvio delle trasmissioni in diretta delle partite a pagamento il mondo del pallone vive una nuova fase di crisi nel senso etimologico. Ce la spiega Francesco Devescovi nell’articolo “La trasformazione del calcio da sport in business”, in cui attraverso sei grafici l’autore – partendo dall’evoluzione della composizione percentuale delle risorse televisive – analizza le conseguenze del passaggio “Dalla sacralità delle partite in contemporanea la domenica pomeriggio allo spezzatino”, cercando di individuare chi siano “Gli sconfitti dalla trasformazione del calcio [ovvero] tifosi, squadre da contorno e i giovani tesserati” e quelle che definisce “Le piaghe del calcio professionistico: razzismo, animosità, mancato decollo del calcio femminile”. In questo scenario, emerge innanzitutto “Il rischio di noia e ripetitività del calcio in televisione a fronte dell’interesse per altri eventi sportivi” ma soprattutto secondo Devescovi il nodo imperativo da affrontare, ovvero “La gestione dei club fra istanze di autonomia e inefficienza”.
L’analisi è impietosa. Siamo di fronte a “Un business segnato da scandali, compensi stellari con divari enormi e scarsa trasparenza” nel quale emergono “I nuovi proprietari delle squadre del nostro campionato: dopo i ‘ricconi’, i fondi di investimento”: “L’acquisto di un club non è – chiarisce l’autore – motivato per ottenere vantaggi economici diretti, ma diventa una sorta di ‘merce di scambio’ per ottenere altri vantaggi. Quali? Per esempio, guadagnare i favori della collettività e della classe politica. C’è poi la possibilità di partecipare alla grande politica internazionale come l’assegnazione delle sedi dei campionati mondiali ed europei. Da non sottovalutare anche la possibilità di partecipare al business della costruzione dei nuovi stadi che tutti i club caldeggiano, come fosse la panacea di tutti i problemi del calcio professionistico”. Nell’esaminare infine “Lo sbarco degli stranieri in Italia”, Devescovi si sofferma sul caso del Como acquistato dalla più ricca famiglia indonesiana. L’articolo si chiude fornendo alcuni grafici che evidenziano “La crescita a dismisura dei costi a fronte del ristagno dei ricavi delle squadre di serie A”. L’autore individua tre obiettivi su “Come risolvere i problemi di fronte alla crescita dei debiti finanziari delle squadre di Serie A”: 1) costruzione di nuovi stadi; 2) l’aumento del numero delle partite con l’aumento delle squadre partecipanti ai vari tornei e con la nascita di nuovi tornei e 3) la (sacrosanta) lotta alla pirateria. Devescovi tra a mo’ di conclusione la necessità di “Ridare piena fisionomia di impresa alle società calcistiche”.
19 maggio 2024
Il 29 agosto 1993 è cambiato il mondo del calcio insieme alla televisione. Da quel giorno i legami fra i due settori sono diventati sempre più stretti; entrambi hanno tratto vantaggi da questo rapporto, anche se il pubblico ha subìto pesanti ripercussioni negative.
Allo stadio Olimpico si disputava la partita fra la Lazio di Dino Zoff e il Foggia di Zdenek Zeman. Quella partita fu il primo posticipo della storia del campionato italiano di Serie A; la partita fu trasmessa da Tele+2, la prima televisione a pagamento satellitare operante in Italia.
Ci sono voluti diversi anni affinché la pay tv si affermasse nello scenario televisivo italiano. Nel 2003 Tele+ fu acquisita dal gruppo News Corporation, editore di BSkyB (oggi Sky) nel Regno Unito e grazie anche al digitale terrestre, la pay tv incominciò ad entrare a pieno titolo nel sistema televisivo.
Questo grafico illustra il “peso” delle tre risorse fondamentali della televisione e di riflesso il “peso” dei tre modelli di televisione (servizio pubblico, Tv commerciale, pay). Nel 2000, gli abbonamenti alla pay avevano un’incidenza sul totale dei ricavi della televisione pari al 12 per cento contro il 67 per cento della pubblicità, a conferma della centralità della televisione commerciale. Dieci anni dopo gli abbonamenti sono saliti al 32 per cento e la pubblicità è scesa al 50 per cento (la quota rimanente è del canone di abbonamento).
Gli abbonati di Sky in Italia hanno superato la vetta di 5cmilioni, grazie all’esclusiva sul campionato di calcio e sulle principali manifestazioni calcistiche europee. Il sistema della pay successivamente si è ampliato con l’arrivo delle piattaforme online, come Dazn nel 2018 (per i diritti della Serie A), PrimeVideo e Now.
Attualmente gli abbonamenti si sono posizionati su 39-40 per cento delle risorse, mentre la pubblicità è scesa al 36-37 per cento.
Dalla sacralità delle partite in contemporanea la domenica pomeriggio allo spezzatino
Da quel giorno il calcio, come detto, ha cambiato pelle. Si è persa la “sacralità” delle partite in contemporanea, disputate nello stesso giorno, la domenica pomeriggio. Si è arrivati anno dopo anno allo “spezzatino” delle partite, fino a coprire tutti i giorni della settimana, escluso il giovedì (il mercoledì ed il giovedì ci sono le coppe europee), e in vari orari, l’ora di pranzo, il primo pomeriggio, il pomeriggio inoltrato e la sera. La richiesta di avere più finestre per lo svolgimento delle partite è stata accolto ben volentieri dal mondo del calcio in quanto ha tratto dai diritti televisivi i maggiori proventi (più del 40 per cento del totale dei ricavi per le squadre top).
Il circolo è diventato virtuoso: la Tv ha finanziato il calcio, il quale è finanziato dalla televisione. Lo stesso numero delle squadre partecipanti al campionato di serie A, pari a 20, non viene abbassato a 18 come richiesto da molti proprio per avere più partite da trasmettere.
Anzi, nella stagione 2024/2025 il numero delle partite, con il rischio che gli infortuni degli atleti aumentino, potrebbero crescere con la possibile introduzione del Campionato del mondo per club (manifestazione che impone lunghi viaggi). In teoria un calciatore di grido di una squadra top potrebbe arrivare a giocare più di 70 gare in una stagione (contro le 45-50 attuali), considerando anche la partecipazione alle nazionali. Aumenteranno di conseguenza i costi per i club, avendo la necessità di dotarsi di due squadre di pari livello; finirà l’era delle riserve, che solo per gli infortuni dei titolari entravano nel rettangolo di gioco, e si arriverà ad un parco di 25 giocatori di livello similari. Con conseguente lievitazione dei costi (circa il 75 per cento del totale dei costi delle squadre di Serie A afferisce in prevalenza alla gestione dei calciatori).
Gli sconfitti dalla trasformazione del calcio: tifosi, squadre da contorno e giovani tesserati
Il sistema è come esploso: il calcio coinvolge sempre più persone; aumentano i tifosi ma diminuiscono gli sportivi, cioè le persone che apprezzano innanzitutto il bel gioco. Solo le 4-5 squadre top fanno registrare ascolti ancora alti, e su questi club si concentra il massimo interesse degli sponsor. Le altre squadre fanno da contorno, necessarie solo a fare da spalla alle vere protagoniste.
Chi esce sconfitto dalla trasformazione del calcio da sport in business è il pubblico dei tifosi che è costretto a pagare per vedere le partite ed in più si vedono trasformati in contatti che alimentano gli algoritmi commerciali.
Il calcio professionistico è uno dei principali settori industriali e un asset strategico dell’intero sistema-paese; un comparto economico (come scrive il report annuale della Federazione calcio) in grado di coinvolgere didici diversi settori merceologici nella sua catena di attivazione di valore, con un impatto indiretto e indotto sul PIL pari a 10,2 miliardi, circa il 5 per cento del Pil. Sono 1,4milioni i tesserati alla Federazione Calcio.
Si pensi al fenomeno, poco analizzato, delle scuole di calcio, che coinvolgono una miriade di ragazzi (sono 810 mila i tesserati alle squadre giovanili). Scuole il cui livello lascia molto a desiderare, non a caso sono rari (a differenza di quanto avviene per esempio in Spagna, vedi il recente caso del giovanissimo talento Lamine Yamal), di giovani che entrano nella rosa della prima squadra. La preparazione degli istruttori non è spesso adeguata e in molti casi queste scuole diventano semplicemente un’area di “parcheggio” che i genitori utilizzano dietro compensi consistenti. La selezione è basata in prevalenza sulla base della prestanza fisica, mentre vengono trascurati gli aspetti tecnici, ma il limite maggiore è che spesso si impongono modelli diseducativi per i ragazzi: si predilige aiutare la loro crescita solo e esclusivamente calcistica e allo stesso tempo si rischia di creare in loro false illusioni, come se “giocare a San Siro” fosse un traguardo relativamente facile da raggiungere per tutti. Purtroppo, anche i genitori non sono estranei a creare nei figli queste false illusioni.
Sono pochi i club che investono sui giovani. Si preferisce comprare all’estero, prendere a pochi soldi ragazzi dai paesi più poveri (in Italia vi sono 64 mila calciatori stranieri provenienti da ben 142 nazioni). Quando lo speaker annuncia le formazioni delle squadre che stanno per scendere in campo, ricordiamoci che tanti altri nomi sconosciuti si sono persi nell’illusione di diventare un top player e che per seguire quel sogno hanno lasciato studi o avviamento al lavoro.
Solo il 37 per cento dei giocatori delle squadre di serie A, sono italiani. Un dato in controtendenza con il nostro paese molto sensibile al sovranismo.
Le piaghe del calcio professionistico: razzismo, animosità, mancato decollo del calcio femminile
Questo fatto ci ricorda una vera e propria piaga del calcio professionistico, il razzismo; vi sono frequenti forme di razzismo rivolte ai calciatori ospiti pur avendo nella propria squadra atleti di colore, a conferma della “stupidità” degli ultras (dove si annidano anche fenomeni di delinquenza che i club non riescono a debellare).
L’introduzione dal campionato 2017-18 del VAR (Video Assistant Referee) non ha attenuato le contestazioni agli arbitri, anzi sono aumentate, alimentate spesso dai media. Contestazioni che spesso sfociano in violenze anche fisiche dentro e fuori gli stadi.
In un parco pubblico, in prossimità della mia abitazione, c’è un campetto di calcio a cinque ed accanto uno di pallacanestro: nel primo si vede spesso animosità fra i giocatori, nel secondo c’è quasi sempre puro divertimento sportivo. Nelle partite di campionato di basket e di pallavolo, anche grazie alla capienza limitata di pubblico nei palazzetti, non ci sono mai incidenti, contestazioni verso gli arbitri ed alla fine della partita gli atleti si complimentano fra loro. Mondi diversi rispetto al calcio! Dove predomina il solo business, l’educazione latita.
Il calcio femminile non decolla: sono solo 13 mila seicento le calciatrici nella fascia di età 10-15anni; 36 mila cinquecento è il totale delle calciatrici tesserate. Un altro buco nero del nostro calcio. Sono state insufficienti le iniziative volte a promuoverlo, da parte della televisione e dei media in generale. Ci sono paesi, nel nord-Europa e negli Stati Uniti d’America (qui, se ricordo bene, si è stabilito che le calciatrici abbiano gli stessi compensi dei colleghi maschi), dove il calcio femminile ha un grande seguito, in Italia non accade: si provi a cercare su Google le scuole di calcio femminile in una città come Milano, se ne troveranno pochissime, a fronte di un numero altissimo di scuole maschili. Il calcio giocato in Italia appartiene solo ai maschi!
Il rischio di noia e ripetitività del calcio in televisione a fronte dell’interesse per altri eventi sportivi
Sono molti, compreso il noto critico Aldo Grasso, che ritengono che i telecronisti degli avvenimenti sportivi “minori” (scusate il termine), come il ciclismo, il nuoto, il basket, l’atletica, siano molto più bravi e preparati rispetto alla media dei giornalisti che si occupano di calcio. Ascoltare le telecronache delle tappe del Giro d’Italia, per esempio, arricchisce la bellezza ed il fascino dell’avvenimento. Le telecronache delle partite di calcio sono spesso noiose, ripetitive e scarsamente utili per lo spettatore. Calcio e televisione, espressione massima dello show business, non sempre riescono a ben combinarsi.
La gestione dei club fra istanze di autonomia e inefficienza
Nel maggio 2024 il Governo ha approvato un decreto che istituisce una nuova Commissione di controllo (prevalentemente finanziario) sulle squadre di calcio professionistiche, che sostituisce la vecchia Covisoc (Commissione di vigilanza sulle società di calcio professionistiche). Sulla composizione della nuova commissione il Governo ha un ruolo preponderante, sostituendosi alle scelte finora fatte solo dal sistema-calcio. Questa iniziativa ha sollevato critiche pesanti degli organismi di governo del calcio e dello sport in generale (come il Coni), in quanto, secondo la loro opinione, si infrangerebbe una sorta di legge “divina” del sistema, l’autonomia del calcio, dello sport. L’autonomia è un concetto in teoria giusto e corretto se avessimo di fronte un sistema incentrato veramente sullo sport con una gestione improntata all’efficienza. L’autonomia perde di significato se si allinea all’inefficienza. Quando il controllore è emanazione del controllato è normale che si possano creare delle disfunzioni. La famosa frase “bisogna salvaguardare il brand” detta da un esponente della Federazione a tutela di un importante club, fa sorgere dubbi sul trattamento paritario di tutte le squadre, anche se evidenzia un problema serio, e cioè che i club dovrebbero trovare maggiori tutele a fronte di malagestione delle società.
Un business segnato da scandali, compensi stellari con divari enormi e scarsa trasparenza
Il calcio è diventato un business, ha impatti sociali non indifferenti, si pensi al citato fenomeno delle scuole calcio, oltretutto il sistema sta dimostrando inefficienze ed è scosso da frequenti scandali. Per ultimo il fenomeno denominato “parentopoli” in alcuni organismi dello sport, senza dimenticare gli scandali che hanno coinvolto i due enti di governo del calcio europeo e internazionale, la Uefa e la Fifa. I compensi delle star del calcio e dei loro procuratori sono ormai “fuori mercato”, c’è un divario enorme con quelli dei calciatori di livello medio. Fra chi occupa incarichi apicali negli organismi sportivi c’è anche chi vorrebbe limitare il vincolo temporale dei mandati.
Ci vuole quindi trasparenza. L’autonomia senza controlli seri e obiettivi diventa impunità per molti ed inquinamento per tutto il sistema. È giusto e corretto che i controlli sull’equilibrio finanziario della gestione dei singoli club diventino più efficaci, e la soluzione migliore è assegnare i controlli ad un soggetto “terzo”.
I nuovi proprietari delle squadre del nostro campionato: dopo i ‘ricconi’, i fondi di investimento
Nel campionato di calcio di serie A 2024/2025, la metà delle squadre sarà posseduta da società estere. Una volta erano prevalenti i “ricconi” provenienti dall’est, gli oligarchi russi, i cinesi, gli sceicchi arabi, adesso sono in prevalenza fondi di investimento americani (un fondo è una sorta di paniere che raccoglie il capitale dei sottoscrittori per investirlo più proficuamente).
Come nasce questo fenomeno?
Chi compra un grande club di calcio sa bene che tale investimento comporterà pesanti perdite. Se si escludono casi isolati, le perdite sono certe, non a caso i club fanno spesso ricorso all’escamotage contabile delle plusvalenze (la sovrastima del valore commerciale dei calciatori) per aumentare “fittiziamente” i ricavi. Unico vantaggio potrebbe essere ottenuto con la rivendita del club, se nel frattempo il suo valore patrimoniale è aumentato. Un altro caso di plusvalenza.
Acquistare una squadra di calcio come merce di scambio per ottenere altri vantaggi
L’acquisto di un club non è quindi motivato per ottenere vantaggi economici diretti, ma diventa una sorta di “merce di scambio” per ottenere altri vantaggi. Quali? Per esempio, guadagnare i favori della collettività e della classe politica. C’è poi la possibilità di partecipare alla grande politica internazionale come l’assegnazione delle sedi dei campionati mondiali ed europei. Da non sottovalutare anche la possibilità di partecipare al business della costruzione dei nuovi stadi che tutti i club caldeggiano, come fosse la panacea di tutti i problemi del calcio professionistico (si spera che queste scelte siano attentamente valutate in merito all’impatto ambientale, il caso riguarda in particolare Milano, dove c’è la richiesta dei due club milanesi di costruire in periferia due nuovi stadi e abbandonare lo stadio “più bello del mondo”, San Siro, anche se necessita di profondi ammodernamenti).Ricordiamo quale enorme credito d’immagine acquisì Silvio Berlusconi con il Il fatto è che Milan. Roman Abramovich scalò nel 2003 il Chelsea e ha conquistato cinque titoli nazionali, dopo un digiuno durato cinquant’anni, e altrettanti titoli europei.
“Si dice che abbia comprato il Chelsea per compiacere Putin, desideroso di migliorare l’immagine della sua Russia agli occhi dell’opinione pubblica occidentale”.
Si fosse fermato al calcio, avremmo guadagnato tutti. La Premier è il campionato più ricco d’Europa e questo attira l’attenzione dei ricchi del mondo, come gli arabi del Golfo: il City, squadra “sconosciuta” di Manchester, a seguito dell’acquisto nel 2008 da parte di uno sceicco ha conquistato subito il primo scudetto e dopo altri quattro, contro uno solo del Manchester United. Il Paris Saint German è la società più ricca, stravince i campionati nazionali ma incontra difficoltà nella Champions, a conferma che non si vince solo con i soldi.
Lo sbarco da tempo degli stranieri in Italia. Il caso del Como
Anche in Italia sono arrivati da tempo gli “stranieri”. Una società cinese ha comprato l’Inter (forse una sorta di passaporto per la “via della seta”). Società che nel 2024, dopo aver conquistato lo scudetto e la seconda stella, è passata di mano al fondo statunitense Oaktree. Ora furoreggiano i fondi americani (in Spagna e Germania il fenomeno è meno diffuso, grazie a forme specifiche di garanzia sulla proprietà). Da rilevare che solo tre squadre delle venti che compongono il campionato di Serie A nella stagione 2024-25 sono del sud, squadre che, guarda caso, sono di proprietà italiana. Un caso particolare riguarda il Como, il cui stadio, posizionato in prossimità del lago, gode di una location invidiabile (anche se dovrà essere ammodernato). Il rilancio del club è dovuto ai fratelli Hortona, Robert e Michael, la famiglia più ricca dell’Indonesia, fra le più ricche del mondo ed ovviamente della stessa Seria A. Preso il Como in serie D nel 2019, in cinque anni hanno conquistato tre promozioni e nel campionato 2024-25 giocherà in Serie A. Le ambizioni sono alte, al punto che hanno portato nella società personaggi famosi del calcio, come Dennis Wise, ex centrocampista del Chelsea, Cesc Fabregas, campione del Barcellona e della nazionale spagnola. Mentre Thierry Henry ha acquistato una quota della stessa società. Se è vero che il campionato è vinto da chi ha più soldi, anche il Como può ambire ai posti più elevati della classifica. Sarebbe una ventata di positiva novità.
La crescita a dismisura dei costi a fronte del ristagno dei ricavi
L’obiettivo per chi si cimenta nell’avventura calcistica è raggiungere le vette del successo, altrimenti si rischiano le contestazioni del pubblico-tifosi (non sempre è sufficiente scaricare le colpe sull’allenatore). E i trofei si conquistano spendendo più degli altri per avere le prestazioni degli atleti top. Il problema è che i costi crescono a dismisura mentre i ricavi incominciano a ristagnare. I ricavi sono rappresentati dagli incassi degli stadi (che hanno subìto pesanti ripercussioni negative durante la pandemia), dalle sponsorizzazioni ed in prevalenza dai diritti televisivi. Diritti che sono pagati dalle televisioni e dalle piattaforme basati da quanto ottengono dagli abbonati e dai ricavi pubblicitari. Il problema è che queste fonti si stanno pian piano prosciugando. (Nell’elaborato sono allegati alcuni grafici; i dati sono tratti dagli annuali Report Calcio della FGCI). Gli ascoltatori delle partite in televisione diminuiscono, anche perché diminuisce la platea televisiva. Gli ascolti della stessa Nazionale sono calati nel tempo. L’offerta di partite copre tutti i giorni della settimana e ciò allontana il pubblico: la quantità svilisce sempre la qualità. Molti preferiscono vedere solo gli highlight!
Calano gli abbonati e diminuisce anche la pubblicità. Oltretutto la pubblicità sta attraversando una fase particolare: si allontana dalla televisione e dalle piattaforme una fetta importante e “ricca” di pubblicità, in particolare quella riguardante i prodotti di marca, che spesso preferiscono avvalersi di altri strumenti come gli influencers. Si consideri inoltre che ancora non è a regime quel che diventerà il numero uno degli influencer, i chatbot.
Come risolvere i problemi di fronte alla crescita dei debiti finanziari delle squadre di Serie A
Le due principali fonti di finanziamento del sistema-calcio, gli abbonamenti alla pay e la pubblicità televisiva, non crescono quindi a ritmi sostenuti come un tempo e questo è causa della crisi in quanto i costi di contro non rallentano. Anzi aumentano di continuo, essendo questa la logica dello star-system.
Come risolvere i problemi? Da parte dei gestori del calcio si punta su queste direttrici:
- la costruzione di nuovi stadi (ovviamente con richieste di un impegno finanziario consistente alle amministrazioni locali),
- l’aumento del numero delle partite con l’aumento delle squadre partecipanti ai vari tornei e con la nascita di nuovi tornei,
- la (sacrosanta) lotta alla pirateria (un ulteriore problema è la difficoltà dello streaming data la situazione deficitaria della nostra Rete, che il PNRR, se attuato, dovrebbe risolvere).
Se si esclude la questione della pirateria, le altre due non sembrano rappresentare la soluzione definitiva dei problemi.
C’è un dato che va sottolineato: mai, in nessuna dichiarazione dei vertici del calcio, nemmeno durante la pandemia, si è sentita la parola “costi”, mai nessuno ha sostenuto che i costi, in particolare degli atleti e del personale dirigente, vanno contenuti e che bisogna aumentare la produttività dell’azienda-calcio.
È corretto che si cerchino nuove strade per aumentare i ricavi, ma sarebbe altrettanto corretto prendere atto che il “prodotto-calcio” vale economicamente di meno e che necessita di una profonda ristrutturazione. Non si può sperare che, come finora è spesso accaduto, intervenga lo Stato con specifici provvedimenti di sostegno finanziario.
Conclusioni. Ridare piena fisionomia di impresa alle società calcistiche
Un primo passo sarebbe quello di ridare piena fisionomia di impresa alle società calcistiche. Bisognerebbe creare una autorità autonoma a livello europeo e nazionale, come già visto, che controlli le ottemperanze da parte dei club ai vincoli finanziari (il fair play finanziario, il salary-cup). Il sistema migliorerebbe e ci sarebbe una vera competizione anche nel rettangolo di gioco.
C’è infine un’altra questione. L’arrivo di un Fondo di investimento è spesso salutato con gioia dai tifosi, che sperano che il club possa così risollevarsi. Ma gli interessi degli uni e degli altri non sempre collimano. Bisognerebbe allora prevedere delle forme di garanzia che tuteli la comunità dei tifosi ed il nome del club.
Il ritorno in auge della Super-Lega, proposta del 2021 che fu rigettata da gran parte del mondo sportivo e politico, conferma purtroppo che difficilmente si troveranno forme di tutela per il pubblico, mentre si continuerà a dar seguito ai desiderata dello show business.
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