LA SCURE DI TRUMP

La scure di Trump su scienza, diversity, diritti del lavoro, CSR e Corporate Sustainability: per quali mondi?

Luciano Pilotti

La scure trumpiana per fermare il mondo si è scaricata sulla canoscenza di dantesca memoria scatenando le reazioni diffuse delle più grandi riviste scientifiche globali come Nature, Lancet e Science.

Come? Imponendo “occhiali ideologici” di taglio dei finanziamenti federali (e non solo) verso la società totalitaria e oscurantista del George Orwell di 1984 (scritto nel 1949). Ossia il “il divieto di studi che menzionano parole e concetti relativi a sesso, genere, razza, disabilità e altre caratteristiche protette” e che un infuocato editoriale di Nature definisce un “assalto senza precedenti alla libertà della scienza” che è alla base della nostra Civiltà, dell’Occidente e delle Democrazie Liberali verso il “caos americano” di Lancet. Mannaia definita dall’American Association for the Advancement of Science su Science su ciò che Trump chiama “ideologia di genere woke“, lasciando migliaia di ricercatori per strada (con le famiglie) compresi i loro progetti di ricerca all’insegna di un insensato negazionismo climatico, promuovendo uno spirito e un clima diffusamente anti-scientifico perlevitazione di oscure “elegie mistiche di preghiera” sempre a favore di telecamere ca va sans dire. Dunque quale primato tecnologico senza scienza e se così per quale contrasto alla Cina? L’ America può permettersi tutto questo? No, perché il progresso degli USA, la sua stessa esistenza e attuale primazia come quello dell’Umanità si fondano su questa forza della scienza e del pensiero critico e libero da oltre 250 anni e che ne hanno fatto la potenza economica, tecnologica e liberal-democratica che è nata dalla fratricida American War of Indipendence come una Revolutionary War per la libertà di pensiero e contro lo schiavismo.

Producendo quel virtuoso melting pot di culture scientifiche e libertarie differenziate che han trovato spesso unità, potenziamento e convergenza proprio nelle grandi praterie delle diversità USA. La scure dunque tocca anche le categorie di sostenibilità, inclusione e diversity che hanno alimentato negli ultimi 30 anni la crescita degli investimenti ESG in molteplici campi industriali, manifatturieri e dei servizi spingendo gli stessi processi diffusi di digitalizzazione e la sconfitta del Covid19 con una rincorsa velocissima ai vaccini a RnMA salvando centinaia di milioni di persone. Assistiamo ad un taglio normativa netto a tutte le social corporate policy rappresentate dalla sigla Dei (diversity, equity, inclusion) denunciata come “illegale”. Dunque introducendo sanzioni per tutte le Corporation che non si allineeranno e che tuttavia spacca il Corporate World tra fedeli (per es. Meta, Disney, Walmart, Amazon, Goldman Sachs, Citi) e infedeli (Apple, JP Morgan, Costco) e con molte soluzioni creative intermedie.

Certo con tagli miliardari agli investimenti già realizzati o in via di realizzazione per centinaia di migliaia di imprese che hanno investito sulla diversity. Le borse reagiscono male e Wall Street “vota“crollando. Anche perché cancella traiettorie di innovazione produttiva ed energetica guidate dalla decarbonizzazione e da scelte di consumo più eticamente responsabili e green. Spazzando via in un colpo solo quello stakeholder capitalism che aveva allargato lo sguardo oltre lo shareholder value e che ridefiniva il profitto come uno strumento di crescita e non un fine da massimizzare e dunque dominando la business community negli ultimi 30 anni comprese le 1000 Business School americane che ora saranno costrette a retromarce, frenate e tagli a progetti e docenti. Impatti e schegge si sentono anche in Europa che “reagisce” esplorando regole meno rigide sulla sostenibilità come peraltro atteso da tempo ma soprattutto semplificando e snellendo le procedure sui report dei bilanci ambientali e sociali delle imprese e estendendo le tempistiche di verifica e valutazione “allungando il brodo di tre anni” guardando all’automotive. Infatti, in UE non si potrà rinunciare a questa traiettoria strategica di lungo periodo per contrastare il climate change e stimolare linee di innovazione lungo la decarbonizzazione in linea con l’Agenda di Parigi 2015 e salendo sul treno del Fit55. La controrivoluzione trumpiana è pericolosamente avviata e fa rotolare indietro gli USA – trascinandosi pezzi di mondo occidentale e non solo – di oltre 60 anni con vecchie politiche autarchiche e barriere tariffarie abolendo con alcuni ordini esecutivi anche la legislazione del 1965 contro la discriminazione sul lavoro di imprese con contratti federali. Che aprirà a catene di controversie giudiziarie sul nervo scoperto del razzismo, dell’inclusione di genere e dunque puntando alla ri-esplosione diffusa del conflitto sociali dividendo un paese già dilaniato e contraendo produttività ed efficienza. Configurando di fatto ad un rovesciamento della lotta alla “discriminazione” ma antitetica rispetto alla meritocrazia.

Ma ciò che di fatto si realizzerà sarà proprio una lotta alla “meritocrazia” escludendo dal recruitment delle persone tutti o tanti candidati provenienti da minoranze. Arrivando all’estremismo di Mark Zuckerberg di Meta che ha “bruciato il Dei” scaricando le schegge con inaudita violenza contro imprese cosiddette “effeminate e castrate”, dopo che per 20 anni si è venduto come paladino dei diritti umani e sociali contro tutte le discriminazioni, seguito in questo da Amazon e Google che hanno cancellato tutti i riferimenti alle pratiche Dei con una inversione a U di 360 gradi incredibilmente insensata, incoerente e controproducente e che faranno scattare reazioni degli utenti di mezzo mondo. Che dovrebbe spingere l’Europa ad investire rapidamente in imprese “parallele” ma europee come peraltro fatto “intelligentemente” dalla Cina. Oltre all’allineamento servile delle Big Tech hanno “seguito” inginocchiandosi in questa direzione non solo il più grande gruppo commerciale USA come Wallmart, ma anche Disney o PepsiCo in ossequio al nuovo monarca assoluto. I Fondi d’investimento fortunatamente mostrano più cautela e ragionevolezza sugli sviluppi di questa “messa al bando” della sostenibilità, dell’inclusione e diversity (se escludiamo BlackRock altro paladino degli investimenti ESG e che ora fa marcia indietro) e dunque sul ruolo delle donne nei CdA (fondi ETF) a valorizzazione della diversity come fonte di creatività per attrarre investimenti e talenti. Anche perché i Fondi sono più aperti ad azionariati diffusi e plurali e operano in mercati multinazionali compresa l’Europa in particolare. Ma che ne sarà delle B-Corp cresciute negli ultimi 20 anni? Tuttavia il quadro normativo americano darà ai tribunali materiale su cui lavorare per resistere a queste discriminazioni sui luoghi di lavoro compatibili con la CSR e gli investimenti ESG. Cosi come la normativa europea e in particolare gli aggiornamenti con la direttiva 2022/2381 recepita anche dall’Italia o la 2023/970 che mira a promuovere la parità di remunerazione tra uomo e donna. E a cui dovranno adeguarsi anche le multinazionali USA che operano nell’UE per esempio con l’obiettivo della direttiva 28/12/2024 che stabilisce che il 40% dei posti di Amministratore senza incarichi esecutivi e il 33% del totale dei posti di Amministratore sia occupato dal sesso sotto-rappresentato, cioè le donne.

Tutto questo per segnalare che la ratio di queste norme anti-discriminazione e a favore della diversity non è tanto (o non solo) di tipo etico ma di efficienza ed efficacia delle organizzazioni d’impresa facendo recruitment del personale senza alcuna discriminazione verso minoranze e guardando solamente al merito e alla varietà come fonte di produttività, creatività e intelligenza collettiva. Tutto questo è segnalato da molteplici ricerche sulle performance differenziali tra imprese inclusive e non in tutto il mondo e svolte da prestigiose università americane come Harvard Business School e Sloan Management School da oltre 30 anni. Sottolineando le superiori performance di medio-lungo-periodo delle prime sulle seconde guardando al potenziale di diversity e di sostenibilità sia nelle quotate che nelle non quotate e che trovano ampie conferme anche in Europa. Anche se a Bruxelles si va verso una semplificazione delle norme  di due diligence allungando i tempi di valutazione da 1 a 5 anni nell’ambito del Green Deal, in particolare con la direttiva CsdddCorporate Social due Diligence Directive (EU-2024/1760), comunque a sostegno e a difesa dei diritti dei lavoratori e della sostenibilità nelle filiere globali dal tessile all’alimentare al meccanico all’IT guardando alle aree più carenti come segnala l’OCSE in Asia e in quella Orientale per l’elettronica e in America Latina per alimenti, carni e bevande. Non la scure trumpiana ma una semplificazione burocratica allungando i tempi di verifica senza spegnere nessuna luce ma “guidando” ordinatamente le greggi verso un capitalismo democratico e inclusivo, e con leadership umanistiche, più efficienti, creative e anche felici.