di Giorgio Fiorentini
Usando un titolo provocatorio e con iperbole il messaggio è: la gentilezza è un insieme di atti, servizi, reazioni e comportamenti gentili che si traducono nella non violenza contro la violenza, nel non essere aggressivi, nel non sopraffare, nell’ascoltare e nel rispettare le idee altrui. Tutto questo non si ferma ad una sorta di comandamenti, ma in azioni che impattano. E sono fatte con il sorriso.
In questi ultimi tempi la gentilezza è sotto i riflettori mediatici in attesa della Giornata mondiale della gentilezza del 13 novembre pv.
La volata è stata tirata da interventi importanti e di autori di fama su vari giornali, riviste, sui social e in vari talk show. Forse il concetto più efficace è che la gentilezza fa bene alla salute (mentale e fisica) in senso ampio ed anche il Dalai Lama sottolinea quanto gli atti di gentilezza sono parte integrante della nostra sopravvivenza.
La gentilezza è anche un atto ed un gesto politico ed è spesso percepito come una affermazione dissacrante rispetto alla sacralità del valore della gentilezza stessa. Con respiro critico costruttivo e con la premessa che un atto politico è “atto e azione” di senso e di valori (altruismo per il bene comune, scelte di senso dell’agire umano, valore di equità, civismo come reciprocità di rispetto) applichiamo questa concettualizzazione alla gentilezza.
I principi di gentilezza sono presupposto e determinano azioni e opere di sollievo. Ed infatti “la gentilezza senza le opere è morta” è l’equivalente semantico della frase “la fede senza le opere è morta” (lettera di Giacomo nel Nuovo Testamento -Giacomo 2:26). Questo significa che la fede autentica non può esistere senza essere accompagnata da azioni concrete che la dimostrino).
Ed infatti si dice che una persona ha fatto “un atto gentile” ed ha avuto “un comportamento gentile “che è la traduzione nel reale operativo della gentilezza. La metafisica della gentilezza diventa ontologia gentile e ci si potrebbe riferire a una visione dell’essere (ontologia) che mette al centro la cura, la relazione, la vulnerabilità e la gentilezza come categorie fondamentali dell’esistenza (si veda Emmanuel Lévinas o Martha Nussbaum).
Tutti dovremmo fare “atti gentili” ed avere comportamenti gentili, ma esistono persone come le volontarie ed i volontari che si sforzano di essere “sempre” gentili con degli atti gratuiti. È un loro dovere valoriale e quasi professionale. Tu volontario che cosa fai? La mia professione è essere gentile e offrire servizi che sono “vestiti” di gentilezza. Quindi non solo forma gentile, ma sostanza operativa e ontologia.
Si pensi alla gentilezza nelle cure sanitarie. Vuol dire umanizzazione delle cure e restituire alla persona la sua centralità per il tramite della relazione, l’accoglienza, riconoscendone la storia, le emozioni, le paure e far sì che oggi è parte del suo futuro. Non siamo così sprovveduti dall’affermare che con la gentilezza si guarisce, ma siamo convinti che si aiuta a stare meglio.
La gentilezza in sanità è un insieme di atti e servizi per aumentare l’efficacia della la cura come atto tecnico e prendendosi cura come atto umano.
La gentilezza è un sollievo psicologico ed ha effetti anche misurabili. Riduce l’ansia, attenua la paura, combatte il senso di solitudine. In ambienti ospedalieri, dove il dolore e l’incertezza sono spesso presenti, un gesto gentile potenzia la diagnosi, la cura, la riabilitazione. È un sollievo che non costa nulla, ma vale moltissimo.
“Se senti un dolore vuol dire che sei vivo. Se senti il dolore dell’altro vuol dire che sei umano” (Lev Tolstoj).












