IL GRANDE BURATTINAIO DELLA TELEVISIONE

Un ritratto fuori dal coro di Maurizio Costanzo

Guido Barlozzetti
conduttore televisivo, critico cinematografico, esperto dei media e scrittore

“Sono un romano-romano … quella romanità che diventa indolenza di carattere di chi ha già visto tutto”, si definiva così, con auto-complicità, Maurizio Costanzo, protagonista dell’effimero e tuttavia familiare e sedimentato mondo della televisione e di quello che gli gira(va) intorno, morto a 84 anni.

Lo salutano in tanti, a cominciare da chi si è seduto nel parterre delle sue trasmissioni, quelli che nei quarant’anni del suo programma eponimo hanno via via formato una sorta di compagnia della commedia umana del Paese. Perché questo è stato il Maurizio Costanzo Show, un salotto dell’italianità con i fenomeni umani più diversi allineati per esibirsi nell’occasione della vita, comandati dalla frusta sorniona e spietata del domatore del circo, capace di sollevare agli altari del successo e al tempo stesso di fulminare con una battuta a futura memoria.

È stato lui a “inventare” in Italia quel particolare spettacolo televisivo che arrivava dall’America e aveva il nome un poco esotico di talk-show. Era il 1976, la Rai era appena uscita dalla Riforma, Costanzo entrava in un salottino, un orologio a cucù, una finestra che veniva chiusa a sottolineare una simbolica intimità, tre poltrone per gli ospiti e uno sgabello per lui.

I primi tre accolti nella prima puntata dicono di un mix che, con tutte le variazioni e le combinatorie possibili degli anni a seguire, ha guidato la sua strategia di pubblico confessore-inquisitore: Anton Giulio Majano, il regista dei grandi sceneggiati popolari della Rai del monopolio, un idraulico, e Annie Papa, che qualche settimana prima aveva scandalizzato mostrando la nudità del seno, insomma il protagonista di una televisione che senza intellettualismi si rivolgeva a tutti, un volto della folla, preso dal serbatoio infinito della “gente” e una grazia pruriginosa a presidiare, senza travalicare, il lato erotico-sessuale.

A pensarci bene, Costanzo ha fatto in televisione quello che la commedia all’italiana ha fatto al cinema, ha dato parola a un campionario di “mostri”, a un’umanità aspirante alla promessa mediatica della visibilità, ciascuno portato da una qualità/abilità esercitata nei campi più diversi – la canzone, il cinema, la televisione, il giornalismo, lo sport, i libri, le invenzioni, gli hobby… – ciascuno riconoscibile per un tic, un vezzo, un gesto, un record, magari un errore di cui fare pubblica ammenda o un retroscena da raccontare… E lui come Mangiafuoco a esibire e tele-comandare i burattini e a dirigere da maestro una partitura infallibile fatta di domande apparentemente complici, accompagnate da un controcanto allusivo, da interruzioni mai brutali, anzi accoglienti, a intessere una rete implacabile in cui era la sinfonia complessiva che contava e gli ospiti degli strumenti, sottoposti a un esercizio sado-maso tra narcisismo, voyeurismo dell’audience e, appunto, commedia umana.

Quanti ne sono usciti con la conquistata aureola della celebrità: Vittorio Sgarbi, Giampiero Mughini, Platinette, Enrico Brignano, Ricky Memphis, Giobbe Covatta, Enzo Iacchetti e anche chi non ne avrebbe avuto bisogno ma non seppe resistere alla tentazione della vetrina, come Carmelo Bene, Alda Merini, Willy Pasini, Stefano Zecchi…

Stiamo parlando di una televisione che non c’è più, quella degli spettatori che si riunivano all’ora stabilita dal palinsesto davanti al piccolo schermo per partecipare a un mondo parallelo e tuttavia domestico, confezionato “per tutti”.

Quando se ne farà la storia ci accorgeremo, da questo punto di vista, che i due grandi cerimonieri della conversazione del Paese con il Paese sono stati Maurizio Costanzo e, nella sua estensione parlamentare-politica, Bruno Vespa con Porta a porta.

Senza dimenticare un coté “politico” che nel caso di Costanzo si manifestò con la trasmissione in comune con Samarcanda di Michele Santoro, culminata nella maglietta bruciata in diretta con la scritta “Mafia made in Italy”. C’era il giudice Giovanni Falcone in quella serata, che non fu certo estranea all’attentato che Costanzo subì poco dopo, nel 1993, a via Ruggero Fauro, restando illeso per una casualità.

Ma a dire della sfaccettatura di una personalità va anche ricordata la sua candidatura con i Radicali nel 1986, l’iscrizione alla Loggia P2 di Licio Gelli, una società fondata nel 2000 con Alessandro Benetton – la scuola per aspiranti a un’immagine pubblica Maurizio Costanzo Comunicazione – la presidenza di Mediatrade e cioè del ramo-fiction di Mediaset…

Costanzo non è stato solo un conduttore geniale, “una brava persona che ha fatto un programma durato quarant’anni” – come diceva a chi gli chiedeva come avrebbe voluto essere ricordato – non è stato solo una figura della televisione, ha anche frequentato le stanze del potere, forte della sua autorevolezza mediatica, che fossero quelle del giornalismo, della televisione e, in un Paese dove le contiguità non mancano mai, della politica come si è svolta e intrecciata con la vita e lo spettacolo.

Assurto ormai a icona di sé stesso, alla tautologia di Costanzo, ha continuato con ostinazione a presidiare un suo posto nell’acquario televisivo, non importa che fosse notte inoltrata o che non restassero che i ricordi rivisitati con Enrico Vaime, anche quando lo show del suo talk da incantatore era finito.


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