di Giorgio Fiorentini
In Italia ci sono circa 4,6 milioni di volontari, con una leggera flessione rispetto agli anni precedenti. Il calo è attribuito principalmente alla diminuzione demografica e all’invecchiamento della popolazione. Nel contempo aumenta la professionalizzazione di servizio grazie anche alla formazione che aumenta il livello di competenza,
Il volontariato è un “lavoro di competenza” e di relazione di base su cui si innesta l’approccio solidale. Il dibattito aperto è se la relazione positiva è un valore che nasce prima della solidarietà o viceversa. La tesi dominante è che la solidarietà nasce e si sviluppa all’interno di relazioni autentiche. Quando le persone si conoscono, si ascoltano e si comprendono, si crea un terreno fertile per l’empatia e il sostegno reciproco. Senza relazione, la solidarietà rischia di diventare un gesto astratto o paternalistico.
I volontari sono tutti “capitani coraggiosi” (ricordo l’opera di fine ‘800 di Rudyard Kipling in cui il tema della solidarietà e della comunità era presente con spessore).
Essi offrono una forte vitalità nelle comunità locali, con una partecipazione significativa di giovani, ma anche delle fasce più anziane della popolazione.
Per esempio, a Milano ci sono circa 180.000 “capitani coraggiosi” che aiutano la città a mantenere il suo volto vivibile e di cittadinanza sostenibile anche per i ceti sociali deboli e svantaggiati per le nuove crisi sociali (i NEET -Not in Education, Employment or Training -, i single anziani, ecc).
Sono volontari organizzati (circa due terzi dei volontari milanesi) e non, che aiutano i cittadini “dimezzati” (circa 78.000 non sono autosufficienti: handicappati, anziani), sofferenti (circa 15.000 malati psichici), disoccupati, extracomunitari (270.000 cioè il 19.6% della popolazione) ecc.
I volontari sono cittadini che applicano il civismo praticando una costante imprenditorialità solidale e tendono ormai a mutare la propria funzione “riparatrice” ed emergenziale in costruttiva, stabilizzante-istituzionale e di sviluppo a favore sia delle fasce deboli, ora anche del ceto medio “in scivolo” verso la povertà, sia della città in toto.
Sono volontari che aiutano gli altri in una dimensione non solo di dono ma anche di utilità per il sistema paese e città dove l’altro è uno stakeholder. Senza scandalo concettuali i senzatetto ed i clochard sono i clienti delle organizzazioni di volontariato di assistenza.
Aumentano le relazioni, riequilibrano le disuguaglianze, organizzano “supplementi” di servizio sussidiari ai “servizi pubblici”, regolano il traffico, fanno il “doposcuola”, imboccano i malati senza assistenza, fanno cultura e valorizzano le opere artistiche, animano lo sport, bonificano le aree nella salvaguardia dell’ambiente ecc.
Ma qual è il profilo del cittadino “coraggioso”: è una persona che ascolta con attenzione i messaggi della città e legge i bisogni per creare risposte organizzate (e non) e improntate alla continuità, all’efficienza ed all’efficacia quasi fosse “un’azienda di volontariato”. I volontari sono dei buoni marketer sociali e solidali, profilano i cittadini perché li “conoscono bene” e offrono servizi a “km0”.
Si crea l’occupazione come condizione di solidarietà e trasforma le opere di carità e solidarietà in “valori per le città” e capitale sociale. È orientato all’imprenditorialità non profit come “protagonismo sociale ed economico”; è componente dinamica della ricchezza della città ridimensionando le spinte pauperistiche e le scelte del “sotto tono” intese come virtù. È uno “speculatore in positivo” ed adotta formule organizzative che farebbero il successo delle imprese for profit. Usa la partecipazione, la capacità di spingere le vendite per “opere di bene” con professionalità.
La mancanza di gerarchia organizzativa verticale è compensata da una condivisione orizzontale della cultura del “bene comune” e del “bene collettivo”. Se li ringraziamo essi quasi si scherniscono anche se penso che si debba dare meno targhe che esauriscono il valore in un giorno e invece più “premi strutturali”; per esempio disponibilità agevolata di locali, personal computer, servizi amministrativi, un numero verde per il volontariato, e così via. Questa è l’attenzione costante da parte del sistema pubblico e privato. Non si può chiedere ai volontari di annullarsi nell’altruismo e nell’indigenza operativa perché altrimenti, a medio e lungo periodo non si riuscirebbe a reggere lo sforzo.
Dei 4.6 milioni di volontari in Italia circa 300.000 giovani (19-29 anni) sono impegnati, soprattutto nel settore sanitario e in attività di orientamento e supporto sociale. Essi sono cittadini e “capitani coraggiosi” dove il coraggio non è più solo quello epico o militare, ma spesso silenzioso, quotidiano, civile, emulativo e da emulare. Oggi, i “capitani coraggiosi” sono coloro che, guidano con l’esempio, e affrontano sfide civili e si assumono la responsabilità operativa per il bene comune.
Figure iconiche come gli attivisti per il clima e l’ambiente, come Greta Thunberg, ma anche leader locali che difendono territori minacciati da deforestazione, inquinamento o speculazione sono un modo di fare “compartecipazione”,”coprogrammazione” e “coprogettazione “in iniziative di miglioramento dell’asset civile. Tutto questo comunque deve trovare un equilibrio e tralasciare il radicalismo. D’altro canto, dal più si va al meno e non viceversa.
Questi “capitani coraggiosi “durante la pandemia hanno mostrato un coraggio straordinario, spesso in condizioni precarie, mettendo la vita degli altri davanti alla propria.
In termini tecnici: ben venga questa retorica “deliberativa” che costruisce il futuro e che evita la retorica solo elogiativa o di biasimo del presente.












