Da un giorno all’altro, dopo due mesi di giornate torride, secche, senz’acqua, siamo precipitati in un autunno che si è mostrato con una violenza in linea con i mutamenti climatici in atto ormai da diversi decenni: piogge torrenziali, grandinate, frane, smottamenti, esondazione di fiumi e torrenti…
In fretta e furia abbiamo recuperato dagli armadi golf di lana, felpe, giacche, che odorano di naftalina, k-way e scarpe da pioggia. Con la stessa repentinità, ormai forse senza troppi rimpianti dopo una lunga e torrida estate che sembrava non finire mai, abbiamo abbandonato il nostro ombrellone sulla spiaggia, le camminate salutari su e giù lungo la battigia o i bagnasciuga dove l’acqua arriva solo alle ginocchia; anche le nuotate così liberatorie e rilassanti oltre gli scogli o le remate in barca attratti e affascinati dalla linea dell’orizzonte. Abbiamo dimenticato le insalate di riso, i timballi, il prosciutto e melone consumati in spiaggia mentre dai bistrot vicini ci avvolgeva il profumo di arrosticini e pesce fritto e nell’aria si spandevano le musiche “ossessive” mandate a tutto volume da nuvoli di giovani ammucchiati sotto la grande “palma” vicina alla nostra più modesta “palmetta”.
Mentre le località marine, montane o lacustri e le città artistiche si svuotano dei turisti per restituirsi agli abitanti abituali, con i primi rigori autunnali si torna a scuola, al lavoro, alla vita che ci è propria durante la maggiorparte dell’anno.
Si guarda alla propria casa con un affetto rinnovato: si accarezzano i braccioli della nostra poltrona di fronte al televisore e al calore del primo fuoco serale del caminetto; si osserva dalla finestra l’ultima rosa del nostro giardino un po’ pallida, ormai priva del proprio vigore, avida di luce e di un sole sempre più avaro; sul davanzale tornano i vasetti di ciclamini che con il loro rosso vermiglio sembrano voler opporsi al grigiore dell’inverno, alle nebbie, alle nuvole.
Ormai si aspetta il pettirosso che reclamerà le nostre mollichine di pane ai primi di dicembre, le caldarroste bruciate sulla fiamma che, rinchiuse nel loro sacchetto di carta scalderanno le nostre mani, regalandoci un sapore antico, quello che ha sottratto alla fame i nostri antenati fin dalla notte dei tempi.
Lasciati alle spalle i piatti freddi e le insalatone, si riprende in mano il quadernone con le ricette scritte a mano, con calligrafie diverse, della nostra nonna, poi di nostra madre.
Insieme al sapore dei ricordi che ci fanno rivivere gesti rimasti impressi nella nostra memoria, rivediamo le mani che ripiegano con destrezza la pasta per i tortellini tirata col mattarello sul tavolo della cucina; sentiamo il profumo dei fegatini e della noce moscata che si spande dal sugo che pippia sul fornello; intanto mia madre nel suo grembiulino a quadrettini bianchi e rossi chiacchiera con nonna; alternano un caffè a una Giubek sfilata dal pacchetto giallo.
Tra un “ti ricordi” e l’altro si rifà la storia della nostra famiglia, delle generazioni che ci hanno aperto la strada… Intanto la memoria ci dà forza, consapevolezza delle nostre radici che sentiamo di dover trasmettere ai nostri figli e ai nostri nipoti a cui sono affidati i grandi problemi che attanagliano l’umanità, anche i grandi eventi climatici devastanti, anche la stessa sopravvivenza del genere umano…
Con questi pensieri si aspetta il Natale e poi, con quella corsa del pensiero in avanti, si spera che torni di nuovo la primavera, che si mostrerà già a febbraio con i ranuncoli e le forsizie gialle che daranno colore alle siepi che circondano la nostra casa. Li sentiremo come la promessa che torneranno il sole, le giornate interminabili piene di luce e di calore…
E la ruota della vita riprenderà di nuovo con le sue promesse, le sue lusinghe, i suoi inganni…
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