FORSE: [lat. fŏrsit, comp. Di fors «sorte, caso» e sit «sia»]
La lingua italiana ha un privilegio, una ricchezza rara che poche altre lingue possiedono: il congiuntivo. Eppure, cosa sta accadendo? Perché i giornali, la televisione, i media lo usano sempre meno? Il congiuntivo, capite, non è solo una forma grammaticale: è il regno del forse, dell’ipotesi, della possibilità. È quel verbo che ci permette di dubitare e così di immaginare mondi che potrebbero essere, ma che non sono ancora, ma che saranno, forse. Il congiuntivo è la lingua dell’incertezza, della riflessione, del “non so”. È come vagabondare di notte in una città appunto italiana: ogni passo apre a nuove possibilità, ogni angolo può rivelare una sorpresa.
L’indicativo, al contrario, è la lingua della certezza, del “so già”, del “è così”. Prendete una frase come: “Non so se questa sia la decisione giusta.” Ora, togliete il congiuntivo e leggete: “Questa è la decisione giusta.” È un altro mondo, un mondo chiuso, finito, dove non c’è spazio per il dubbio.
Ma è proprio questo il punto. Viviamo in un’epoca che odia il dubbio. Una società che vuole solo certezze. Siamo circondati da voci che non pensano, non si interrogano, non sospettano. Oggi tutti sanno, tutti affermano. Pochi ritengono, ma troppi assicurano, garantiscono. E così, in questo deserto di riflessione, la nostra società ha trasformato l’ignoranza in una virtù e l’arroganza in un modello da imitare. E sappiamo bene cosa succede quando la certezza diventa assoluta: si trasforma in violenza. La violenza del non voler vedere, del non voler ascoltare. Oppure — e forse è peggio ancora — si trasforma in idiozia pura (da idiota, chi si fa idolo di sé).
E ai giovani, ai ragazzi, ai miei studenti, che mi chiedono a cosa serva il congiuntivo, io rispondo: il congiuntivo serve a vivere. Il linguaggio è il sistema simbolico a cui ci riferiamo e così l’indicativo è come la nostra prigione, sicura e vincolante. Sai dove porta ogni porta, cosa troverai dietro ogni angolo. Ma è una prigione chiusa, soffocante, dove ogni giorno è uguale all’altro. Il congiuntivo, invece, è come uscire di casa, è come lanciarsi in un mondo incerto, un mondo pieno di possibilità. L’indicativo ti tiene fermo, il congiuntivo ti spinge avanti. Imparare il congiuntivo è un esercizio di libertà, perché è imparare a vivere nell’incertezza, nella complessità. Dietro a questa forma sta un destino, che è il valore avverbiale del forse – partendo da quel ‘probabilmente’ che significa, da quell’assenza di certezza.
Il forse è la parola più rivoluzionaria che abbiamo. Una di quelle presenze così fondamentali, di uso talmente automatico che isolarla dai discorsi per trattarla da sola è già disorientante. Perché forse significa non chiudere le porte, significa tenere aperti gli orizzonti. Il forse è il contrario di tutto quello che la nostra società oggi ci impone: è il rifiuto della certezza, il rifiuto della semplificazione. È una parola che ci porta verso l’infinito, verso la scoperta, verso il pensiero critico.
Ricordate sempre questo: ci sono persone che sono convinte di sapere tutto, e purtroppo è tutto quello che sanno. Vivono nella prigione della loro stessa certezza. Ma noi, se vogliamo essere liberi, se vogliamo essere vivi, non accontentatiamoci. Coltiviamo il dubbio, facciamo del forse la nostra strada. È solo così, con la curiosità e la ricerca, che possiamo davvero andare oltre le barriere che ci vengono imposte.
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