Primo dialogo
“La felicità comincia a casa. Non su internet, ma a casa in contatto con le altre persone”. Ha scritto Zygmunt Bauman. Gli americani lo hanno scritto nella loro costituzione. Diritto alla felicità. E prima di loro filosofi, sociologi e scrittori ne hanno tessuto le lodi. Ma quale può essere nel nuovo millennio una via per la felicità?
Davide: Più che di diritto alla felicità parlerei di diritto al perseguimento della felicità: lo Stato, che nel ‘700 ha raggiunto già un alto livello di controllo sulla vita di tutti i cittadini, non è in grado da solo ovviamente di fornire la felicità, ma dovrebbe almeno garantire le basi perché chiunque possa tentare di ottenerla. E non è in grado di fornire direttamente la felicità perché è sempre stato molto difficile trovare una definizione univoca di felicità e di conseguenza è altrettanto complesso normare qualcosa di non oggettivo. Il sottinteso per il raggiungimento della felicità americana, per come era stata pensata quantomeno, è lo stesso fattore che sta alla base della Costituzione italiana, ovvero il lavoro, attraverso cui un uomo del ‘700, nel Nuovo Mondo molto più che in un’Europa reazionaria, può riuscire a cambiare la sua vita in meglio. E, come riteniamo assurdo pensare oggi che lo Stato italiano possa garantire che nessuno resti disoccupato (anche se si può sperare che incentivi politiche di assunzione), era ed è impensabile che qualcuno potesse dare la responsabilità al governo federale statunitense di garantire quello che è l’assoluto benessere di ogni cittadino.
Come può essere una via per la felicità? Indossate l’abito dell’umiltà e poi tanta, tanta obbedienza. Obbedienza a sé stessi, alla voce della saggezza, alla propria vocazione, ai consigli di chi ci ama e di un buon amico, sfuggire alla tentazione d’immaginare sempre un’altra vita, o un’altra via, altrove.
Davide: Lo diceva già Seneca: “non basta mutare il cielo sotto cui vivi, devi cambiare la tua anima” (Lettere a Lucilio, III, 7). Concetto molto attuale, anche se ovviamente da prendere con le pinze in determinati contesti. La tentazione della fuga per l’uomo è sempre immensa ed è la naturale reazione alle regole che ci autoimponiamo vivendo in una società civile, ma forse in un periodo in cui si parla solo di diritti è dalla riscoperta dei doveri, attribuitici dalla Costituzione in egual misura, che può ripartire una ricerca della felicità che sì è inceppata in un periodo di profonda cupezza dovuta ad una transizione che genera crisi, paura e disparità. L’obbedienza era in fin dei conti alla base del pensiero medievale, un pensiero che abbiamo riscoperto essere profondamente ottimista e foriero di enorme progresso (almeno prima della brutale crisi del 1300). La curiosità (essenza dell’illuminismo che lotta per emanciparsi dalla visione medievale), spesso contrapposta all’obbedienza e che resta una caratteristica essenziale e vitale degli umani, non deve comunque essere abbandonata a sé stessa, urge piuttosto trovare una sintesi tra i due concetti, ammesso che sia possibile.
E’ l’epica quotidiana (la combatte ogni uomo e ogni donna): essere molte cose assieme. Quello che ci rende schiavi è il nostro inconscio squinternato, l’ansia, i rimorsi, i progetti strampalati. Quello che vorremmo, e sogniamo, è essere amati. Tutte le altre cose passano in second’ordine. Essere amati, cosa c’è di meglio! Ma spesso le persone tradiscono, o amano in un modo imperfetto, non come desideriamo, in un modo limitato, che non colma il desiderio di amore.
E’ l’epica dell’ordinario, l’eroismo di svegliarsi ogni mattina sapendo di fare tutto ciò che abbiamo già fatto il giorno prima, e di sorridere. E’ la forza di stare nel proprio ruolo, rispondere delle proprie responsabilità. Il segreto è accontentarsi, essere contenti di sé stessi, sfuggire alla tentazione di disprezzare chi ha più di noi. Ovviamente è un eroismo piccolo e semplice. “Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo, ha scritto Emanuel Kant, ma ognuno può ricercare la sua felicità per la via che a lui sembra buona”.
Davide: Prima di Kant è stato Montaigne a dire che è impossibile misurare l’altrui felicità senza prima chiedere al soggetto in questione come si sente. La felicità è decisamente soggettiva in effetti e ci sono infiniti esempi di uomini in apparenza dotati di tutte le fortune che restano però infelici. Questa apparente contraddizione ha addirittura portato alcuni moderni studiosi a ritenere la felicità una questione anche genetica! Alla faccia degli indicatori economici, PIL e molte altre formule che dovrebbero poter misurare il grado di felicità di uno Stato o una comunità.
Essere indipendenti dal giudizio altrui. È fondamentale arrivare, passo dopo passo, a riconoscersi per quello che si è, indipendentemente da quello che pensano gli altri.
“Ognuno per sé e Dio per tutti”, “chi vuole grazia da Dio se lo prega”, detti antichi, ma senza fiducia non si costruisce nulla. Si rimane immobili nel presente, solo la fiducia permette al futuro di essere costruito. Avere fiducia in sé stessi. La fiducia va costruita, si inizia imparando ad accettarsi, conoscendo e riconoscendo il proprio valore. L’egoismo come energia vitale.
Davide: Già ai tempi di Aristotele era chiaro per gli intellettuali dell’Accademia che la felicità era insita nella condivisione, almeno con una persona, e che essere felici da soli è una sorta di controsenso. L’uomo si conferma dunque essere un animale sociale, ma è difficile poter essere amati da qualcun altro se si riflette troppo l’insoddisfazione che si ha verso se stessi, quantomeno così vuole il pensiero comune.
Purtroppo ciò che manca – a parte il tempo, il parcheggio e la coca light alla ciliegia, sempre introvabili – sono uomini e donne adulti, capaci cioè di giocarsi la vita, seriamente. In questo sì che c’è una parità indiscutibile. Difficile trovare uomini e donne che non siano eterni adolescenti che credono di avere sempre davanti a sé un bivio, un’altra possibilità, una seconda palla da giocare, quando invece è soltanto necessario stare lì, fermi, per giocare la palla che la vita ci ha tirato. Una vita che dobbiamo imparare a spendere tutta. Per sé e per il bene comune.
Davide: Viene da chiedersi come mai mancano! È vero che viviamo in una società che i fornisce un alto livello di benessere generale, ma per molti, che non hanno paragoni al passato, questo benessere è comunque del tutto insufficiente. L’edonismo sfrenato di una società fieramente capitalista eccita continuamente la speranza di soddisfare nuovi desideri, rendendo quasi impossibile godere della vita e delle comodità che abbiamo, eccetto che per alcuni tra coloro che riescono a raggiungere risultati davvero ragguardevoli in un qualsiasi campo. È difficile nel mio modo di vedere incolpare la gente comune di non saper apprezzare ciò che ha quando ogni cosa attorno a lei cospira costantemente per farle desiderare qualcos’altro di nuovo e migliore.
“Il denaro muta la fedeltà in infedeltà, l’amore in odio, l’odio in amore, la virtù in vizio, il vizio in virtù, il servo in padrone, il padrone in servo, la stupidità in intelligenza, l’intelligenza in stupidità. […] Confonde e inverte ogni cosa, è la universale confusione e inversione di tutte le cose. […] Costringe gli oggetti contraddittori a baciarsi. Ma se presupponi l’uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come un rapporto umano, potrai scambiare amore soltanto con amore, fiducia solo con fiducia”. Ha scritto Carlo Marx.
Secondo dialogo
C’è aria di novità. Un’aria leggera, fresca, profumata che viene da vecchi edifici delle nostre città abitati dalle scolaresche o dalle aule delle Università. Si leggono riviste e libri stampati, si è riacceso l’interesse per la lettura e anche l’ascolto della musica attraverso i vecchi dischi in vinile. Sono i più giovani, la cosiddetta Gen Z, quella ‘nativa digitale’ cresciuta immersa nelle straordinarie possibilità della rivoluzione digitale. Nel 2023 le vendite di musica (dai vinili ai cd) sono aumentate rispetto all’anno precedente, arrivando a una quota di mercato del 14%. Ovviamente lo streaming è il padrone assoluto per vendite e ascolti, tuttavia cresce l’interesse – e addirittura la passione – per il vintage shop dei dischi.
Così nel settore dei libri: lo scorso anno – secondo un report dell’Associazione Italiana Editori – e-book e audiolibri occupano una piccola porzione del mercato mentre gli acquisti in libreria sono passati dal 53,5% al 54,7% a differenza dell’acquisto sulle piattaforme digitali, fermo al 41%.
Oggi a fare la differenza nella ricerca e nell’acquisto di un libro o di un vinile sono soprattutto i giovani, Un fenomeno che racconta anche di una lenta fuga dalla saturazione digitale, anche se i più giovani hanno tassi di utilizzo dei social media elevatissimi. Ma allo stesso tempo il ritorno all’esperienza dell’oggetto fisico, per leggere o ascoltare musica, segnala un bisogno.
Davide: Un dato interessante che conferma due costanti storiche: l’amore, talvolta irrazionale, degli uomini per il loro passato (particolarmente evidente negli antichi che per cercare di introdurre una novità in un qualsiasi ambito della loro vita si sforzavano in ogni modo di farla passare come un ritorno alla tradizione) e la smania di possesso materiale che, in particolare in Occidente, facciamo davvero fatica a combattere (non a caso né a torto il difetto per cui da sempre ci accusano le altre culture è la nostra avidità).
C’è un allarme sociale per la fragilità dei giovanissimi resi schiavi dello smatphone o dai videogiochi, per esempio lo scorrimento rapido dei contenuti è certamente una modalità alienante, perché ‘scrollare’ è un atto caratterizzato da accelerazioni continue. Il digitale offre grandi opportunità, ma è anche un grande rischio se non è governato per quello che è, uno strumento, un mezzo al servizio dell’uomo. L’alternativa è la conoscenza, il sapere, la cultura, la lettura, l’ascolto, strumenti antichi come i libri, i giornali, la musica, il cinema, le arti. In definitiva la partecipazione alla vita sociale, l’esperienza dell’incontro, per esempio confrontarsi con il limite fisico di una pagina, mantenere il contatto con noi stessi e l’ambiente che ci circonda, per una nuova esperienza.
Davide: è senz’altro vero che una felicità piena deve partire dalla consapevolezza, ma non è un’alternativa facile. Per un uomo di oggi (ma anche di ieri) è molto più semplice abbruttirsi tra gli svaghi più frivoli che impegnarsi concretamente in un’azione di acculturamento che possa portare ad una felicità più consapevole e quindi più piena. Il tutto ammettendo che ciò sia effettivamente possibile e sempre vero visto che la felicità è soggettiva e spesso, non solo in questo tempo ma anche guardando al nostro passato, ci sembra più felice chi meno sa: beata ignoranza!
Per questo dopo due anni di produzione di un settimanale digitale come questo su cui scriviamo abbiamo deciso di mettere in edicola IL MONDO NUOVO, un magazine trimestrale di 128 pagine. Chi è il mondo nuovo? Vuole essere una impresa culturale e politica, soprattutto una iniziativa civile. Consapevoli che il mondo cambia ad una straordinaria velocità, nulla è come prima, serve fermarsi a riflettere, guardarsi intorno, avere cura dei nostri giovani, conquistare una nuova visione, elaborare un nuovo pensiero, saper mettere in relazione parole, immagini, letteratura, musica, scienza. Imparare di nuovo a sognare e di conseguenza creare cultura e non solo parlare di cultura. Ma anche un magazine utile a fare memoria dei nostri ricordi, fare memoria per scrivere la nostra Storia, per riflettere sul passato, per comprendere il presente e costruire il futuro.
“Non è più la speranza apocalittica della lotta finale. E’ la speranza coraggiosa della lotta iniziale: necessità che si restaurino una concezione, una visione del mondo, un sapere articolato, un’etica, una politica”. Ha scritto Edgar Mori.
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