“D’ANNUNZIO CUSTODE DEL DISORDINE”

L’UOMO CHE LEGGE, CONSIGLI DI LETTURA DAL DIRETTORE

è il nuovo saggio di Claudio Siniscalchi, appena uscito per le edizioni OAKS (120 pagine, 15 euro), accompagnato dalla prefazione di Marcello Veneziani. Un saggio breve dedicato quasi integralmente al «d’Annunzio politico». Il «Vate degli italiani» è la cartina di tornasole nella quale si riflettono la crisi del regime liberale, la Grande Guerra, il tormentato dopoguerra, l’avvento e il consolidamento del fascismo.

La fortuna di d’Annunzio, come scrittore e personaggio pubblico, si afferma nell’Italia liberale. Durante il ventennio fascista lievita a livelli altissimi. Successivamente scivola nel pantano della denigrazione e nel disinteresse – tranne rarissime eccezioni – degli studi […]. Il mio interesse è rivolto al «d’Annunzio politico», protagonista di primissimo piano della «rivoluzione conservatrice» italiana. Il suggerimento di inserire d’Annunzio nel pensiero della «rivoluzione conservatrice» italiana, mi arriva da Marcello Veneziani. Potrebbe apparire una lettura dell’«ideologia italiana» superficiale. Un’etichetta semplificatrice. Ma non lo è. O, perlomeno, è nostro convincimento che non lo sia. Veneziani, andando decisamente controcorrente rispetto alla storiografia e alla pubblicistica dominanti, individua, e descrive compiutamente, un’«ideologia italiana» al tempo stesso «rivoluzionaria» e «conservatrice», sviluppatasi in concomitanza con il processo di unificazione nazionale.

Si accresce con il delinearsi del pensiero nazionalista, disegnato nelle varie componenti. Trova un prolungamento nell’esplosiva effervescenza delle riviste fiorentine di inizio secolo, dove spiccano i nomi di Giovanni Papini e, soprattutto, Giuseppe Prezzolini […]. Nella battaglia interventista si uniscono nazionalismo, vocianesimo, avanguardismo futurista, sindacalismo rivoluzionario. Destra e sinistra insieme. «Rivoluzione conservatrice» italiana dunque. Di cui d’Annunzio è la massima incarnazione. È lui alla guida delle «radiose giornate» di maggio, che spingono l’Italia all’entrata in guerra. È lui il «condottiero», peraltro «poeta condottiero», o, se si preferisce, «esteta (Ariel) armato», dell’Italia in grigioverde. È lui il Poeta della Vittoria. Ma la storia prende un’altra piega. La Vittoria – è sempre lui a denunciarlo – è «mutilata». Occorre reagire. Nel 1919 spunta la stella di Benito Mussolini. Rivoluzionario da sempre. Dal socialismo massimalista ai Fasci di combattimento […]. Con il 1920 il movimento fascista da sinistra si spinge a destra. Da «rivoluzionario» a «conservatore». Nel mezzo si colloca Fiume. Lo «stato dannunziano». Poi c’è il fascismo: da «movimento» a «regime». Ma anche completamento della «rivoluzione conservatrice».

E d’Annunzio viene elevato a «Vate degli Italiani». Nel fascismo vi trovano spazio, magari con riluttanza, d’Annunzio e il fondatore del Futurismo Filippo Tommaso Marinetti. Non per convenienza. Né per tatticismo. Ma perché la «rivoluzione conservatrice» ha compiuto il passo finale: la definitiva «nazionalizzazione delle masse». Il Risorgimento aveva fallito.

La «classe politica» liberale non era riuscita a costruire una «mitologia nazionale». Il solo statista di livello a provarci, alla fine del XIX secolo, era stato Francesco Crispi. In gioventù cospiratore (visse un decennio in esilio), mazziniano (da Giuseppe Mazzini aveva ereditato l’idea di «educare gli italiani»), garibaldino, repubblicano convinto, scendendo nell’agone politico e assumendo le redini del governo (dal 1887 al 1891 e dal 1893 al 1896), Crispi era diventato monarchico, oltreché estimatore di autoritarismo e militarismo impressi alla Prussia dal «cancelliere di ferro» Otto von Bismarck […]. La parte conclusiva dell’Ottocento registra la progressiva democratizzazione della partecipazione politica, segnata dall’ampliamento del suffragio, dal trasformismo e dalla stabile crescita delle forze socialiste e cattoliche. Crispi cercò di gestire questa fase di transizione accentuando la componente «carismatica», attraverso una dimensione popolare e mediatica della gestione del potere. Assertore di una «religione civile» nazionale e persuaso che gli italiani si sarebbero uniti in maniera definitiva attraverso la guerra, sicuro di risollevare la propria fortuna politica, Crispi si imbarcò in un’avventura coloniale.

Ma la guerra di Abissinia si rivelò un disastro. Il primo giorno di marzo del 1896, ad Adua l’esercito italiano subì una sconfitta disastrosa. Renzo De Felice considera Crispi un «proto-nazionalista», la cui retorica aveva preceduto «di oltre un trentennio quella dannunziana, quantunque da essa ben diversa, nella forma come nei contenuti»[…]. Uno scritto minore di Curzio Malaparte, datato primi anni Trenta e dedicato al «trasformismo» politico nell’Italia liberale (inaugurato da Agostino Depretis nel 1876 e proseguito prima da Crispi e poi da Giovanni Giolitti), ha per titolo custodi del disordine. Definizione che ben si adatta al «d’Annunzio politico». Un «custode» («conservatore») del «disordine» («rivoluzionario»). Seguendo questa linea ideologica e culturale, il «Vate degli Italiani» – oltre ad essere d’Annunzio, cioè un inclassificabile – finisce per incarnare la più importante espressione della «rivoluzione conservatrice» italiana.


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