L’eredità sociale della Rerum Novarum nel Magistero del nuovo pontefice
di Riccardo Piroddi
Quando papa Leone XIII pubblicò l’enciclica Rerum Novarum, il 15 maggio 1891, la Chiesa ruppe un lungo silenzio sulla questione sociale, con una forza che sorprese sia i critici che i fedeli. Fu il primo intervento sistematico del Magistero pontificale sulle condizioni di vita della classe lavoratrice, sulla giustizia economica e sulla responsabilità politica. La Rerum Novarum è una mappa concettuale che, ancora oggi, orienta la dottrina sociale della Chiesa. Con un linguaggio lucido e denso di contenuti etici e filosofici, Leone XIII pose le basi per una teologia del lavoro, una visione integrale dell’uomo e un ripensamento del ruolo dello Stato, fondati su radici cristiane, tomistiche e personaliste.
A oltre un secolo di distanza, nel contesto radicalmente mutato del XXI secolo, papa Leone XIV riscopre e rilancia questa visione, mostrandone l’attualità drammatica. In un mondo attraversato da nuove forme di povertà, solitudine e sfruttamento, la Rerum Novarum diviene una lente per leggere il presente con spirito profetico.
La pubblicazione dell’enciclica avvenne nel pieno della “questione sociale”, quando gli effetti della rivoluzione industriale avevano trasformato la società europea in senso profondamente diseguale. Da un lato, vi era il liberalismo economico che celebrava il libero mercato, tollerando lo sfruttamento e l’emarginazione; dall’altro, l’ascesa del socialismo rivoluzionario minacciava di distruggere la proprietà privata e la struttura familiare tradizionale. Leone XIII non aveva dubbi: entrambi gli estremi erano pericolosi e antiumani. Il liberalismo borghese era cieco al bene comune, mentre il socialismo era cieco alla persona.
Nel prologo dell’enciclica, il pontefice descrive la tensione sociale crescente come una sete di cambiamento che ha travolto gli equilibri dell’antico ordine. Questa sete non è di per sé condannata: è sintomo di una coscienza nuova, specialmente tra i lavoratori. Tuttavia, ha prodotto effetti collaterali: instabilità, ingiustizie, rivolte, odio sociale. Qui si mostra il realismo del papa, che non nega i problemi ma li affronta, tentando di rispondere con lucidità e dottrina.
Il pontefice fonda la legittimità della proprietà privata su basi filosofiche e teologiche. La proprietà non è un privilegio concesso dallo Stato, quanto un diritto radicato nella natura umana, poiché riflesso della razionalità, della libertà e della capacità previsionale dell’uomo. Questo è un punto centrale della visione cristiana: l’uomo non è solo homo oeconomicus ma persona dotata di dignità, orientata al bene e alla responsabilità. Tuttavia, il papa chiarisce che la proprietà è un diritto connesso a un dovere: non è assoluta, né può essere usata in modo egoistico o distruttivo. L’uso legittimo dei beni comporta la loro funzione sociale. La Chiesa rifiuta la proposta socialista di collettivizzazione dei mezzi di produzione, non solo perché distruggerebbe il diritto di proprietà ma perché nega la libertà personale, impone l’assorbimento dell’individuo nello Stato e distorce l’ordine naturale e familiare. In questo rifiuto, Leone XIII dimostra un acuto intuito: coglie la potenziale deriva totalitaria insita nel progetto socialista della sua epoca. Tale critica, però, non è una difesa dell’individualismo liberista: l’enciclica, infatti, rigetta tanto il socialismo quanto il capitalismo sfrenato, proponendo, invece, una “terza via” etico-sociale, radicata nel Vangelo e nella legge naturale.
Nel testo affiora con forza una visione antropologica del lavoro: l’uomo lavora non solo per vivere ma per esprimere sé stesso. Il lavoro è personale, libero, nobile, non è una merce. Di conseguenza, il salario non può essere fissato solo dal mercato ma deve essere “giusto” in senso morale: sufficiente a garantire la sopravvivenza dignitosa dell’operaio e della sua famiglia. Questa affermazione scardina la logica del laissez-faire ottocentesco, dove l’operaio veniva ridotto a puro strumento. Il papa sostiene che il profitto non giustifica lo sfruttamento. È una visione profetica, che prefigura molti elementi dei successivi diritti sociali (salario minimo, limite di orario, riposo festivo, sicurezza sul lavoro). Leone XIII non teme di usare parole dure contro i “padroni ingordi” che abusano del bisogno degli operai, né contro “speculatori” e “usurai” che continuano a esistere nonostante le condanne della Chiesa. C’è un’energia morale in questi passaggi, che denuncia l’ingiustizia strutturale come peccato sociale.
Un altro asse portante dell’enciclica è la centralità della famiglia. Essa precede lo Stato, ha diritti propri e deve essere protetta, non invasa, dall’autorità politica. In quest’ottica, la proprietà familiare non è solo un mezzo di sostentamento ma anche uno strumento educativo e di trasmissione dei valori. La denuncia verso lo Stato che “assorbe” o “invade” il ruolo della famiglia è chiarissima: l’assistenzialismo statale non può sostituire le responsabilità paterne e materne. Questo punto si ricollega al principio di sussidiarietà, che sarebbe stato formalmente codificato in encicliche successive (come nella Quadragesimo Anno di Pio XI). Leone XIII afferma che lo Stato ha precisi doveri verso la giustizia sociale: non solo mantenere l’ordine ma proteggere i deboli, assicurare la pace tra le classi, garantire condizioni eque di lavoro, vietare lo sfruttamento. Ciò rovescia la visione liberale che voleva uno Stato “minimo”. Il testo fonda un’idea di Stato attivo ma non invasivo, “giusto ma non padrone”, che tutela la famiglia, i lavoratori, i diritti naturali e il bene comune.
La Rerum Novarum propone anche la rinascita delle corporazioni di arti e mestieri, intesi come forme associative volontarie, autonome, ispirate ai valori cristiani, capaci di offrire aiuto reciproco, formazione morale, sicurezza in caso di malattia, invalidità o disoccupazione, anticipando il principio della società intermedia: tra individuo e Stato esiste uno spazio sociale che va valorizzato. Queste associazioni non sono solo strumenti economici ma anche formazioni morali, comunità di senso. La loro efficacia dipende dall’autonomia e dall’etica condivisa.
Il capitolo conclusivo è teologicamente e spiritualmente il cuore pulsante dell’enciclica. Leone XIII dichiara che nessun sistema sociale può funzionare senza la carità. La carità è superiore alla giustizia, perché tocca il cuore dell’uomo. È il cemento che può unire ricchi e poveri, padroni e lavoratori, in una fraternità autentica. La visione sociale di Leone XIII non è utopica ma profondamente esigente: propone un cambiamento delle strutture e, soprattutto, delle coscienze. È la conversione morale, non la rivoluzione politica, a salvare il mondo.
La Rerum Novarum ha inaugurato la tradizione della dottrina sociale della Chiesa, che sarebbe stata ripresa e sviluppata dai papi successivi: Quadragesimo Anno (Pio XI), Mater et Magistra (Giovanni XXIII), Laborem Exercens e Centesimus Annus (Giovanni Paolo II), fino alla Laudato Si’ (Francesco), che ne amplia l’orizzonte all’ecologia.
Ogni volta, la Chiesa ha riletto i princìpi enunciati da Leone XIII, adattandoli ai tempi, pur mantenendone l’intelaiatura fondamentale: dignità della persona, centralità del lavoro, funzione sociale della proprietà, sussidiarietà, solidarietà, carità come vertice dell’azione sociale. La Rerum Novarum ha segnato l’ingresso della Chiesa nella modernità, non con compromessi ma con una visione originale e potente della giustizia sociale.
Oggi, Leone XIV riprende quel testimone con determinazione, consapevole che le “Cose Nuove” del nostro tempo non sono meno decisive di quelle che turbavano la fine dell’Ottocento. L’Intelligenza Artificiale sta ridefinendo il lavoro, la coscienza e persino la relazione con la verità. L’economia dell’attenzione plasma desideri, pensieri e comportamenti, trasformando le persone in utenti e i dati in merce. La solitudine di massa, alimentata da ritmi disumani e relazioni digitali, erode il tessuto comunitario. La transizione ecologica, infine, è un crocevia morale prima ancora che tecnico: obbliga a ripensare il nostro rapporto con il creato, con i poveri e con il futuro.
Eppure, al cuore delle sfide di ieri come di oggi restano le stesse domande radicali: “Che cos’è l’uomo?”. “Qual è il senso del lavoro?”. “Qual è il fine dell’economia?”. La Rerum Novarum ha fornito risposte che non si esauriscono nel contesto storico in cui sono nate. Radicate nel Vangelo e illuminate dalla ragione, quelle risposte non sono soluzioni tecniche ma orientamenti etici universali, bussola per discernere in ogni epoca.
Leone XIV, raccogliendo questa eredità, non si limita a conservarla: la rilancia. Vuole una Chiesa che non si ritiri nell’irrilevanza, che non si lasci disinnescare dal potere o assorbire dalla cultura dominante. Una Chiesa profetica, che non ha paura di denunciare l’ingiustizia. Popolare, perché cammina accanto agli ultimi. Libera, perché parla con voce limpida, senza ambiguità né compromessi. Ed è su queste basi che, auspicabilmente, continuerà a costruire il suo Magistero.
Commenti
Una risposta a “DALLE “COSE NUOVE” AL NUOVO UMANESIMO: LEONE XIII E LEONE XIV”
articolo illuminante. la dottrina sociale della Chiesa nel volgere delle encicliche papali. Grazie