di Francesco Monico
Un osservatore esterno, posizionato al margine degli eventi che si susseguono con velocità e portata impressionanti, potrebbe scorgere in questi atti i segnali di una trasformazione epocale. Gli ordini esecutivi emanati da Trump – dalla dichiarazione di stato di emergenza nazionale alla mobilitazione dell’esercito ai confini, passando per la grazia a 1.500 condannati per insurrezione, la fine della propaganda woke e l’abolizione dello ius soli – non rappresentano solo un mutamento giuridico, ma un radicale cambiamento simbolico nell’immaginario collettivo.
Questa visione è amplificata dalla comparsa dei CEO delle Big Tech accanto a una nuova leadership politica, un’immagine che suggella un’alleanza immane tra potere tecnologico e politico. La notizia di un presunto saluto romano di Elon Musk, qualora confermata, aggiunge un elemento estetico che trasforma un gesto in una narrazione potente, recuperando l’idea del “governo dell’arte” che il XX secolo aveva emarginato. La promessa di “salvare la civiltà” attraverso la colonizzazione di Marte diventa parte di un progetto simbolico più ampio, oscillante tra immaginario apocalittico e tecnoutopia, in cui l’ambizione tecnologica sfida i limiti del presente.
Non meno significativi sono gli effetti materiali di queste azioni. L’uscita degli Stati Uniti dal Trattato di Parigi segna un netto disimpegno dalla globalizzazione, mentre l’abbandono dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, accompagnato dall’inaudito salvacondotto preventivo a Fauci, suggerisce una strategia di frammentazione del consenso internazionale. Il ritiro dall’accordo OCSE sulla tassazione minima globale e la proposta di rinominare il Golfo del Messico come “Golfo d’America” appaiono come tasselli di un disegno più vasto: riscrivere simboli geografici e culturali, recuperando immaginari radicati nella storia statunitense, da Theodore Roosevelt al Monte Rushmore.
Questi atti, apparentemente frammentati, compongono una narrazione coerente di trasformazione dell’immaginario collettivo. Non si tratta solo di decisioni politiche o economiche: ogni gesto, ogni scelta sembra parte di un progetto più ampio di ridefinizione del moderno. L’era moderna, con i suoi miti e le sue aspirazioni, ha ceduto il passo a una nuova configurazione che fonde ambizioni tecnologiche, estetiche del controllo e narrazioni apocalittiche. Il moderno, per come lo abbiamo conosciuto, sembra giunto al termine.
Ma ciò che rende questo momento ancora più significativo è il ritorno del soggetto politico. La storia, lungi dall’essere una forza impersonale o guidata esclusivamente da processi collettivi, viene plasmata da individui capaci di concentrare e indirizzare le tensioni della propria epoca.
Figure come Donald Trump, che alla veneranda età di quasi ottant’anni è riuscito non solo a farsi eleggere ma a imporsi come catalizzatore del cambiamento, dimostrano il ripresentarsi della centralità del soggetto politico. Trump ha compattato le Big Tech, ha attaccato i nemici, ha riscritto i confini ideologici e simbolici di una nazione, incarnando una forza trasformativa che sfida l’idea stessa di declino personale o istituzionale ridando un grande ottimismo agli americani e agli Stati uniti d’America.
Così è che la ricomparsa del soggetto politico potrebbe rappresentare anche un’opportunità per il fronte progressista. Dopo anni di frammentazione e una deriva etica che ne ha indebolito la coerenza, questo rinnovato scenario potrebbe spingere le forze progressiste a ritrovare coerenza, compattezza e visione strategica. Perché ciò avvenga, però, è indispensabile che non si cada nella tentazione della violenza, come precipitosamente proposto da un noto scrittore italiano. In queste fasi storiche, ciò che conta davvero è la dialettica: il confronto tra idee e posizioni, la capacità di costruire una narrazione alternativa attraverso il dibattito e il pensiero critico.
In un’epoca che sembrava aver relegato il leader carismatico al passato, l’ascesa di Trump rappresenta una rinascita del soggetto politico come motore della storia. Questo ritorno sottolinea una verità spesso dimenticata: la storia è fatta da uomini e donne che osano sfidare il corso degli eventi, imponendo la propria visione su un mondo in trasformazione. Ed è proprio questa capacità di agire, di dirigere il flusso degli eventi, che dà forma a una narrazione in cui il futuro appare più aperto, contraddittorio e conteso che mai.