di Michele Campanozzi
In passato tanti pensatori hanno rivolto la loro attenzione su questo argomento: a partire dal filosofo greco Eraclito (475 a.C.) sostenitore del principio che “Tutto scorre” si è arrivati al naturalista Charles Darwin (1809-1882) con la Teoria della Evoluzione tramite la selezione naturale e poi a A.-L. de Lavoisier (1743-1794) secondo il quale “Nulla si crea, ma tutto si trasforma”. Cosa dire a questo proposito, dal momento che si sta osservando a continui e rapidi cambiamenti anche tecnologici nel modo di vivere e di affrontare la realtà con una tale facilità che spinge a dimenticare tutto quello che è stato fatto nel passato e a intraprendere nuovi cammini spinti troppo spesso da motivi poco nobili? Non è principalmente quest’ultima la modalità seguita oggi dai singoli e dalla politica?
Un tempo la Storia veniva scritta molto più lentamente, anche se non rare volte ricorrendo spesso alla violenza. Il fatto era e ancora oggi è che essa è in continuo movimento: non è mai la stessa, ma tutto dipende ed è condizionato dalla natura e qualità mentali di chi ne traccia le linee. Tanti elementi contribuiscono a generare questa variabilità: le contingenze temporali, i problemi che periodicamente nascono e hanno bisogno di trovare se non una soluzione almeno una risposta, il cambio dei protagonisti che l’attraversano con i loro rispettivi umori, i limiti e gli interessi che vengono preposti a ogni tipo di particolare scelta, l’eccessiva ricerca di una superiore forma di sopravvivenza da parte di chi in buona dose già la possiede a scapito di chi ne è totalmente sprovvisto, l’assurdità di guerre in nome di un presunto potere (su chi e su che cosa poi?), pur sapendo che esso è transitorio e passeggero e che in ogni caso prima o dopo va lasciato o si sarà costretti a lasciarlo, la furba ingordigia sviluppata in azioni troppo spesso ricche di sotterfugi ai limiti della liceità e che nulla hanno a che vedere con la linearità richiesta da un ragionevole sviluppo dell’Essere umano con il rispetto di quella Vita di cui esso è portatore, il credere in un possesso eterno di quanto si ha con la grande stupidità di uno sterile gioco che si propina in giro credendo di esserne fini tessitori dei destini e dei fili del vivere, la manipolazione sistematica della verità con una disinformazione programmata a far prevalere gli unici propri punti di vista, l’assenza spesso quasi assoluta di onestà nel pensare le scelte da compiere, insomma la negazione dell’Essere e il trionfo di un misero apparire. Questo sarebbe il modo di scrivere la Storia?
A mio parere, se si continua a procedere così, essa diventa solo teatro di disastri ed espressione di superficialità con la quale si leggono le cose. Occorrerebbe sapersi proiettare oltre le stesse e imparare a saper osservare ciò che le determina. A realizzarle nel modo incongruo come le conosciamo vi è la tendenza più o meno inconscia, o se si vuole determinata, a tutelare e garantire prevalentemente la propria sopravvivenza come quella dei propri cari. Si ha paura cioè dell’ignoto, dell’incerto e della scarsa voglia a creare e allora si tende a rendere presente e visibile quanto serve per conservarle a lungo. Al contrario vi è una legge della stessa Natura, che in fondo, rimanendo l’artefice di ogni nascita, richiede la ricerca di un necessario equilibrio o, se si vuole, di una armonia nel vivere. Oltre a questa forza, diciamo, nascosta, esiste però anche una coscienza che poi costituisce la massima espressione evolutiva della stessa Natura e dell’intero Universo. Essa spinge a ricercare non solo la personale misura, ma anche quella della collettività. Alla consapevolezza di questo grado di sviluppo dell’Essere arrivano, però e purtroppo, solo poche persone e sono quelle più indicate a dover dirigere e governare le sorti dei popoli. Tanti inutili e sanguinosi conflitti con milioni di morti non ci sarebbero se ci fossero queste premesse e simili personaggi ad accompagnare gli eventi. A questo punto io parlo di Metastoria.
Il termine è stato introdotto per la prima volta nel 1937 dallo storico Aldo Ferrabino (1892-1972) che, pur escludendo qualsiasi riferimento metafisico, rintracciava nella Storia degli elementi che permanevano costanti nello scorrere del Tempo per cui si poteva andare oltre ogni tipo di pessimismo storico. Scriveva infatti: “Ciò che non è di questo mondo, che non può diventare realtà nei transeunti istituti umani, vive d’una vita incorruttibile fuori dalle forme esterne del processo storico, per entro le forme interiori dello spirito immortale: e ha ivi nome di assoluto”.
Dall’anno della sua conversione al cristianesimo (dal 1945 in poi) Aldo Ferrabino considererà la Metastoria in un senso apertamente religioso per cui lo Spirito immortale assoluto diviene lo Spirito Dio, Spirito di verità e della vita eterna al quale si devono necessariamente rapportare le singole esistenze storiche per poter acquistare così dignità, valore e garanzia del loro pensare e vivere la Storia.
Anche Benedetto Croce (1866-1962) ha adottato il termine Metastoria che egli però riferiva a quelle storie che hanno per argomento non i singoli avvenimenti, ma il complesso dei fatti naturali collegati al loro sviluppo temporale come ad esempio: la formazione del sistema solare, la nascita e sviluppo degli organismi umani ecc….
Hayden White (1928-2018), Professore presso la University of California (Santa Cruz), su questo argomento approdò invece a considerazioni diverse dopo un percorso di formazione storica e filologica, con un occhio giovanile a Croce e alla sua Storia come pensiero e come azione (1938), ma anche a Roland Barthes (1915-1980), Northrop Frye (1912-1991), Kenneth Burke (1897-1993). White è autore di un libro-simbolo di quella che a molti è sembrata una rivoluzione all’interno del concetto di Storia, cioè “The Historial Imagination in Nineteenth-Centrury Europe” (1973): in esso parla infatti della consapevolezza relativa all’esistenza di un piano metastorico. Nuovo è l’uso del termine: Metahistory significa per l’Autore un discorso sulla Storiaintesa come semplice discorso. Egli mira infatti a fondare una teoriadell’opera storica, in grado di decodificare la retorica della storiografia e, dietro questa, le rappresentazioni ideologiche che conducono lo Storico o il Filosofo della Storia a esporre o disporre i fatti secondo un certo modello narrativo. Esso, però, è del tutto permeato dalle preoccupazioni del presente, del tempo delle rivoluzioni, come Jacob Burckhardt (1918-1997) amava chiamare il proprio secolo. La Storia, secondo lui, di per sé non ha un soggetto particolare, però ha bisogno continuamente di un soggetto in grado di darle corpo. Lo storico, dunque, diventa così allo stesso tempo narratore e interprete dei fatti, ma non certamente un suo Autore.
Nel contesto del nostro discorso per Metastoria qui intendo invece soprattutto il rapporto non tanto con la letteratura, l’arte o le analisi teoriche quanto quello con la società, cioè il saper andare oltre gli steccati delle apparenze, dei palcoscenici e della pubblicità, dei giochi e giochini transitori di uno sterile e spesso vuoto esercizio del comando, che crede di essere onnipotente e di decidere le sorti di tutti, quando fondamentalmente non sa cosa sia né a cosa realmente serva fino a uscire fuori moda e a conoscere l’inarrestabile declino.
Una simile Metastoria può essere scritta potenzialmente e desiderabilmente da tutti, ma, non accadendo così sempre, almeno quelli che hanno preso coscienza di questa dimensione profonda dell’Esistere hanno il dovere di far maggiormente sentire la loro voce, al di là degli angusti ambiti della maggioranza. Questo, diversamente da come proponeva Platone (428-348 a. C.: i filosofi), ma come vorrebbe invece il semplice buon senso (COS: Competenza, Onestà, Saggezza), è l’auspicio e la premessa per avere un mondo veramente migliore, teso a garantire pace, lavoro e giustizia per tutti e un sereno e superiore controllo dei fatti che si susseguono. Se tutto si consuma e passa (Re, Presidenti, Papi, Imperatori, politici, tutti…), sarà così anche nel futuro? Se nel nostro mondo di oggi molto va male con tutti i disastri e le frequenti infelicità cui si è costretti ad assistere non è forse perché non si agisce in questo modo? Chissà per l’avvenire! Fatto sta che la dominante cecità continua solo a distruggere la Natura con la sua Bellezza, le aspirazioni e le speranze di ogni Essere umano e spesso anche la stessa gioia per questa unica e irripetibile esperienza che ci è stata regalata da una Grande Madre che si chiama Vita.
Alla fine, ci chiediamo, chi vincerà: “Homo homini lupus” di Thomas Hobbes (1588-1679) o “Homo homini Deus” di Cecilio Stazio (168 a.C.) e di Baruch Spinoza (1632-1677))? Si vedrà!